Quando il prete diventa sociologo si dimentica di Dio
di Vittorio Messori
il Giornale, Gio, 14/04/2016
Infiltrata dalla corrente oggi prevalente in Occidente, e che tende a creare una sorta di «società liquida», dove tutto sembra, appunto, liquefarsi in tutto, anche la Chiesa pare volere dissolvere i contorni netti della fede in una sorta di brodo indeterminato e rimescolato dal «secondo me» di certi sacerdoti.
Non ostacolati, anzi istigati, dai teologi che sappiamo. Ebbene: della fede, i sacramenti sono l'espressione, il frutto, il dono più alto e prezioso.
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Alla base di tutto quanto succede nella Catholica ormai da decenni, c'è quanto l'autore denunciava anche nei libri precedenti: quella «svolta antropocentrica che ha portato nella Chiesa molta presenza dell'uomo, ma poca presenza di Dio». La sociologia invece della teologia, il Mondo che oscura il Cielo, l'orizzontale senza il verticale, la profanità che scaccia la sacralità. La sintesi cattolica - quella sorta di legge dell'et-et, di unione degli opposti che regge l'intero edificio della fede - è stata troppo spesso abbandonata per un'unilateralità inammissibile.
Quanto ai sacramenti in particolare, da laico sarei tentato di lanciare una sorta di monito ai sacerdoti. Attenti! - mi verrebbe da dire - non sappiamo che farcene (ne abbiamo già troppi) di sociologi, sindacalisti, politologi, psicologi, ecologi, sessuologi e, in genere, di tuttologi! Attenti, perché non c'è bisogno di preti, frati, monaci che esercitino i mestieri che dicevo, per giunta spesso da improbabili orecchianti.
Non si dimentichi mai che quella che soltanto il consacrato può esercitare, quella dove non ha e non può avere «concorrenza» è la funzione di tramite, di legame, tra l'uomo e Dio. Nell'amministrazione, appunto, dei sacramenti. È il «santificare» il munus che - per ridurci all'essenziale - ne giustifica l'esistenza e la presenza.
Ottimo, se ben condotto, l'impegno clericale nel sociale, nella cultura, in ogni campo dell'attività umana. Ottimo ma non indispensabile: anche noi laici quegli impegni sappiamo esercitarli e li esercitiamo, assai spesso, ben meglio. Da professionisti e non da dilettanti. Ma solo un uomo cui sono state imposte le mani scandendo sul suo capo le parole alte e terribili «tu es sacerdos in Aeternum», solo un uomo così può assicurarci il perdono di quel Cristo di cui è tramite; e può trasformare, nella fede, il vino e il pane nel sangue e nella carne del Redentore. Lui solo. Nessun altro al mondo.
Le folle si accalcano, per un istinto profondo, attorno all'altare e al confessionale di padre Pio, spintonando per essere il più vicini possibile alla sua eucaristia e per poter avere il privilegio di affidare a lui i peccati che Gesù giudicherà. Ma non si conoscono folle, se non di studenti iscritti a quel corso, attorno alla cattedra del chierico teologo che spiega che è puerile credere alla realtà anche «materiale» dell'eucaristia. E che è una sceneggiata, indegna del cristiano adulto, pensare che il perdono dei peccati passi attraverso uno strumento, un uomo come noi. Già, ma al contempo, invisibilmente, diverso. Diverso perché consacrato.
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