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Commento al Vangelo della solennità di Pentecoste
di Monsignor Giovanni Scognamilio Clá Dias,
fondatore degli Evangeli Praecones
"Formiamo un solo corpo, e tutti noi beviamo da un solo Spirito"(1 Cor 12,13).
Chi è lo Spirito Santo, come sono state le circostanze e quali le principali grazie concesse a Maria e ai discepoli in occasione della Pentecoste?
Ecco gli insegnamenti che la Liturgia ci mette a disposizione nella festa di oggi, facendoci comprendere dove si trova la vera pace.
Vangelo della solennità di Pentecoste
19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi". 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20, 19-23).
I – La Chiesa in occasione delle Pentecoste
Preghiera in una atmosfera di armonia e concordia
Come tante altre feste liturgiche, la Pentecoste ci fa ricordare uno dei grandi misteri della fondazione della Chiesa da parte di Gesù. Si trovava infatti in uno stadio ancora quasi embrionale – allegoricamente, si potrebbe paragonarla ad una bambina di tenera età – riunita intorno alla Madre di Cristo. Lì nel Cenacolo, conforme quanto ci descrivono gli Atti degli Apostoli nella prima lettura, si verificarono fenomeni mistici di eccelsa grandezza, accompagnati da manifestazioni sensibili di ordine naturale: rumore come di un vento impetuoso, lingue di fuoco, i discepoli che si esprimevano in lingue diverse senza averle mai prima apprese. L’alto significato simbolico dell’insieme di questi avvenimenti, come di ognuno in particolare, ha costituito materia per innumerevoli e sostanziosi commenti di esegeti e teologi di grande valore, come risulta chiaro da precedenti osservazioni da noi svolte in un articolo pubblicato nel 2002. Oggi, è opportuno mettere in rilievo altri aspetti di non minore importanza collegati alla narrazione fatta da San Luca (At 2, 1-11), per meglio intendere così il Vangelo in questione e, pertanto, la stessa festività di Pentecoste.
In quanto figura esponenziale, si distacca Maria Santissima, predestinata da tutta l’eternità a essere Madre di Dio. Si diceva che avesse attinto la pienezza massima di tutte le grazie e di tutti i doni, quando invece, nella Pentecoste, Le sarebbe stato concesso molto di più. Così come era stata eletta per l’insuperabile dono della maternità divina, doveva ora diventare Madre del Corpo Mistico di Cristo e, proprio come era avvenuto nella Incarnazione del Verbo, è sceso sopra di Lei lo Spirito Santo, per mezzo di una nuova e ricchissima effusione di grazie, al fine di adornarLa con virtù e doni appropriati e proclamarLa "Madre della Chiesa".
Seguono poi gli Apostoli; essi costituiscono la prima scuola di araldi del Vangelo. Rispettavano le condizioni essenziali per essere adatti all’alta missione che aveva loro destinato il Divino Maestro, come ci riferisce la Scrittura: "Tutti costoro perseveravano concordi nella preghiera con le donne e con Maria, Madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (At 1, 14). Questa perseveranza nella preghiera si è realizzata in forma continuata e nel silenzio, nella solitudine e nel chiuso del Cenacolo. L’atmosfera era di massima concordia, armonia ed unione tra tutti, di vera carità fraterna. San Luca nel suo racconto ci tiene a far risaltare la presenza di Maria, certamente per rendere evidente quanto Lei stessa si rallegrasse di essere una fedele partecipante della Comunità. Un segnale evidente è la sottomissione e l’obbedienza al Vicario di Cristo come traspare nei versetti successivi, che riferiscono sul primo atto di governo e giurisdizione di San Pietro (At 1, 15-22).
In sintesi, la vera efficacia dell’apostolato è evidenziata lì, sotto il manto della Santissima Vergine, nell’unione effettiva di tutti con la Pietra sopra la quale Cristo ha edificato la sua Chiesa.
L’efficacia dell’azione si trova nella contemplazione
Questo grande avvenimento è stato preceduto non solo dai dieci giorni di preghiera continua, ma anche da molti altri momenti di raccoglimento. Il trauma avuto in occasione della drammatica Passione del Salvatore esigeva ore e ore di isolamento e riflessione. Oltre a ciò, il timore di nuove persecuzioni e tradimenti imponeva a tutti loro prudenza, a parte l’abbandono delle attività comuni dell’apostolato anteriore.
Curiosamente, in generale, Cristo Risorto sceglieva occasioni come questa – di riflessione e compenetrazione da parte di tutti – per apparire loro, così come lo Spirito Santo, per infondere in loro i suoi doni. Questa è una importante lezione che la Liturgia di oggi ci offre: la vera efficacia dell’azione si trova nella contemplazione. Lo stesso Apostolo per eccellenza, che è giunto ad esclamare: Vae enim mihi est, si non evangelizavero! – Guai a me se non annunciassi il vangelo" (I Cor 9,16), trascorse un lungo periodo di preghiera nel deserto al fine di prepararsi per la predicazione.
Chi assume il compito di analizzare passo passo le attività di un uomo zelante e apostolico può giungere a sbagliarsi se le giudica semplice frutto della sua personalità intraprendente, o del suo carattere dinamico, o addirittura della sua costituzione psicofisica. Sono numerosi gli uomini operanti e proficui che tirano fuori dal proprio essere l’inimmaginabile. Dove si trovano, di fatti, le energie impiegate da questi leoni della fede e dell’ efficenza? Più ancora ci potremmo chiedere: come riescono loro, in mezzo alla valanga di attività, a conservare un cuore mite e soave nel trattare gli altri?
Ricordiamoci del consiglio dato da San Bernardo di Chiaravalle al papa dell’epoca, Eugenio III: "Temo che in mezzo alle tue occupazioni ti disperi per non poterle portare a termine e si indurisca la tua anima. Agiresti con buon senso se le abbandonassi per qualche tempo affinché esse non ti dominino né ti trascinino verso dove non desideri arrivare. Forse mi chiederai: ‘Verso dove?’ (...) All’indurimento del cuore. Vedi dunque dove ti possono trascinare queste occupazioni maledette se continui a dedicarti totalmente ad esse, come hai fatto finora, senza riservare niente per te".
Si tratta di un dottore della Chiesa che consiglia il Dolce Cristo nella terra di quei tempi, nell’esercizio della più alta funzione: il governo di questa istituzione divina. Bene, secondo il suo parere, tanto elevate occupazioni, senza l’ausilio della vita interiore, sono maledette. Questa sempre è stata la postura d’animo dei santi, spiritualisti e Padri della Chiesa. Sant’Agostino afferma, per esempio: "Ogni apostolo, prima di sciogliere la lingua, deve elevare a Dio con brama la sua anima, per esalare ciò che deve, e distribuire la sua pienezza" (De civitate Dei XIX 13: PL 41, 640)
Fatte queste considerazioni emergenti da una prima lettura (At 2, 1-11) ci sentiamo più preparati a contemplare le bellezze del Vangelo della presente Liturgia.
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Il cedimento dei cattolici all’omosessualismo
Il 17 maggio, ci informa la news agency catto-comunista Adista, in occasione della Giornata Mondiale contro l’Omofobia diverse città italiane e straniere hanno visto lo svolgersi di veglie di preghiera «per ricordare le vittime dell’omofobia». In spregio alle direttive della Congregazione per la Dottrina della Fede, (1) in più di un'occasione i momenti di preghiera collettiva sono stati ospitati da parrocchie cattoliche: a Milano, dove la Curia ha concesso per il terzo anno consecutivo la disponibilità di una chiesa, a Padova, Genova, Firenze, Bologna e Cremona, dove l’anno passato la veglia fu addirittura presieduta dal vescovo locale. (2)
Occorre davvero una massiccia dose di ingenuità per non comprendere la portata, la profondità e l’incisività del graduale mutamento del senso comune e della mentalità dei cattolici apportate da simili iniziative. La crescente legittimazione dell’omosessualità all’interno della Chiesa non è ovviamente una novità del giorno d’oggi, ma si inserisce all’interno di un processo di «lunga durata» di cui chi scrive non ha la minima pretesa di fornire un resoconto esauriente, nemmeno a grandi linee, ma che nondimeno è palese ed evidente. (3)
Un collasso episcopale
Forse ancora più clamoroso, trattandosi di un principe della Chiesa, è però il cedimento dottrinale all'ideologia – per non dire il vero e proprio collasso – palesato nel corso degli anni da parte di monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, ex presidente di Pax Christi, già cantore delle «benemerenze» del comunismo. (4)
Già nel 2000, in occasione del Gay Pride svoltosi provocatoriamente a Roma in sfregio all’anno giubilare, tanto da essere significativamente bollato da Giovanni Paolo II come «affronto» e «offesa» ai valori cristiani della città, il presule si lanciava in queste sconcertanti dichiarazioni: «La dottrina della Chiesa ritiene che la sessualità debba essere rivolta soltanto alla procreazione. Forse però non si è tenuto conto che la sessualità ha anche altre espressioni, come quelle che possono manifestarsi verso persone dello stesso sesso. E anche la dottrina potrebbe evolversi». (5)
Nel 2008 Bettazzi si è invece espresso a favore delle unioni omosessuali: «Per tanto tempo abbiamo detto che il fine primario del matrimonio è la procreazione, fino al punto di negare il sacramento a chi è impotente, ma io credo che il fine del matrimonio sia l’amore. E se ci sono due persone dello stesso sesso che si amano, pur non chiamando la loro unione matrimonio, dobbiamo aiutarle a stare insieme» (6).
L'insidia dell'ideologia
La forza e la capacità di penetrazione delle «parole d'ordine» dell'ideologia gay in seno al mondo cattolico non devono certo stupire. Come ha mostrato Alain Besançon, è proprio delle moderne ideologie, gnostiche e totalitarie, imporre «le proprie classificazioni, il proprio linguaggio e il proprio modo di affrontare i problemi». (7) Quelle «macchine di pensiero» che sono le moderne ideologie creano la realtà, non contemplano un ordine dell'essere poiché «l'attività contemplativa e l'attività morale dello spirito sono ormai sublimate nella sola attività che sia «veramente» umana: l'attività poetica (dal greco poiein: fare) o l'attività costruttrice di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, di un dio nuovo». (8)
La cifra filosofica delle ideologie di ieri, oggi e domani è il relativismo. Si ha relativismo quando si nega la presenza di essenze e nature immutabili e, conseguentemente, l’esistenza di atti «intrinsecamente cattivi». (9) George Orwell ha sottolineato infatti che «l'aspetto più terrificante del totalitarismo non sono le sue “atrocità”, ma il fatto che esso attacca il concetto di verità oggettiva» (10).
Il precedente tedesco
Una volta incorporati i contenuti veicolati dall'artificioso linguaggio ideologico, la battaglia culturale è già persa in partenza. È sempre Besançon a ricordare come sotto il nazismo molti vescovi tedeschi avessero accettato alla stregua di un dato «naturale» quella che era in realtà un prodotto dell'ideologia nazista, ovvero la «codificazione razziale» dell'umanità, la sua fondamentale divisione in ariani ed ebrei. Ciò diede adito a numerosi «tentativi di imitazione» da parte cattolica, nei confronti dei quali meglio sarebbe stato diffidare. (11)
L'idea soggiacente era quella di individuare degli elementi «naturali» nella dottrina nazionalsocialista, mostrando al tempo stesso come il pensiero cattolico avesse già «tutto quello che può offrire la concorrenza, ma di qualità migliore». (12) Rasse, Blut und Boden (razza, sangue e suolo) diventarono così «beni naturali preziosi creati da Dio e affidati da Lui a noi tedeschi» mentre manuali pubblicati sotto il controllo dell'episcopato difendevano «il diritto di ogni popolo di salvaguardare la purezza della propria razza adottando a questo scopo misure moralmente ammissibili» e insegnavano che «la razza e il cristianesimo non sono concetti in contraddizione l'uno con l'altro: sono due ordini di natura differente che si completano a vicenda». (13)
Non mancarono le numerose conseguenze pratiche di questi «adattamenti» dottrinali, non ultima delle quali l'indifferenza pubblica manifestata nei confronti degli assassinii di molte figure del mondo cattolico avverse ai nazisti. Tra le più curiose e comiche, ma non meno tragiche anche se in apparenza più «innocue», vanno annoverate le preoccupazioni «pastorali» del cardinale Bertram, arcivescovo di Berlino, che arrivò a consigliare ai fedeli di origine ebraica di frequentare le funzioni di culto nelle ore di minor afflusso, così da non infastidire o urtare i loro correligionari ariani. (14) «Fin dall'istante in cui questa concezione del mondo veniva accettata come un dato di fatto, - scrive nuovamente Besançon - come una base razionale oggettiva dalla quale bisognava determinarsi moralmente, la volontà della Chiesa non era più libera, ma condizionata dal quadro aberrante in cui si era rinchiusa». (15)
La capitolazione dottrinale consegue all’adozione delle parole-talismano dell’ideologia. (16) Una volta ammessa come «esistente» la «realtà» della lotta di classe, al massimo si può chiedere che i «borghesi», o coloro che il potere indicherà come tali, siano trattati con moderazione e decenza. Si può cercare di «battezzare» la società senza classi o di edificare un «comunismo cristiano». Allo stesso modo, una volta «metabolizzata» l’esistenza di un fenomeno di nome «omofobia» senza riconoscerne l'origine ideologica, le conseguenze sono quelle sopraelencate: l'omofobia diventa un'«odiosa discriminazione» e opporvisi un «valore cristiano», perseguito oltretutto col ridicolo ed eccessivo zelo del neoconvertito alla causa. (17)
L'eterna tentazione del clericalismo
Al fondo di questi atteggiamenti remissivi si trova, con ogni probabilità, l’antica e mai sopita tentazione del clericalismo e la sua ansiosa ricerca di un «accordo con l’«ala marciante» della storia» nel tentativo di inserirvisi. (18)
Nel frattempo, mentre le parrocchie si stracciano farisaicamente le vesti, organizzano veglie e deplorano le «discriminazioni» omofobiche, monta una campagna intimidatoria contro gli avversari dell’ideologia omosessualista. L’ultimo episodio, l’irruzione di un gruppo «antagonista» nella parrocchia milanese di san Giuseppe Calasanzio durante la celebrazione della Messa. (19)
Trova così conferma la profonda verità, ben nota a G.K. Chesterton, secondo la quale il cristianesimo autentico, non certo quello sfigurato dagli idoli e inneggiante alle ideologie dominanti, «è sempre fuori di moda perché è sano, e tutte le mode sono insanità». (20)
di Andreas Hofer (E.F.)
Raccolto su facebook
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Finanziata dalle corporation Usa, presente nel Parlamento europeo, coccolata dall’economia. È ormai una realtà che impone le sue leggi. Persino Obama ha pagato molto cara la difesa del matrimonio
Come il peggiore dei luoghi comuni, si rafforza negandolo. Più i gay ripetono «non siamo un potere forte, né occulto», più il mondo etero si convince che «sono una lobby potentissima».
Potere gay. Quando Benedetto XVI, parlando ai nunzi apostolici dell’America Latina nel febbraio 2007, ribadì il ruolo centrale del matrimonio nella società contemporanea, «che è l’unione stabile e fedele tra un uomo e una donna», lamentando come la famiglia «mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby capaci di incidere sui processi legislativi», l’universo gay, sentendosi chiamato in causa, rispose sdegnato che la vera lobby, semmai, era quella vaticana... Ma l’opinione pubblica ebbe confermato, ex cathedra, un sospetto magari tendenzioso ma radicato.
In Italia, per ben note questioni storiche, il «potere» dei gruppi omosessuali è ancora sotto traccia. Ma nel resto del mondo occidentale, soprattutto nei Paesi anglosassoni dove i termini gay e lobby non hanno alcuna connotazione negativa, l’omosessualità, oltre che una ragione di orgoglio, pride, è anche una questione di potere, power.
E se recentemente è stato lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a fare i conti con il peso politico della comunità gay (in occasione del referendum sul matrimonio omosessuale nello stato della California è stato aspramente criticato per le sue affermazioni sul matrimonio come «un’unione sacra, benedetta da Dio, tra un uomo e una donna»), è soprattutto nel mondo degli affari e dell’economia che le quotazioni della «gay corporation» sono in costante aumento: una dettagliata inchiesta pubblicata su Corriere Economia nel marzo 2008 metteva in evidenza la straordinaria capacità da parte dei gay di «fare rete». E sottolineava come, mentre aveva fatto discutere la decisione della banca d’affari Lehman Brothers di dedicare una giornata di selezione a Hong Kong solo per gli omosessuali per accaparrarsi i talenti migliori, per tante società americane la cosa non presentava nulla di speciale. Negli Usa esiste un’associazione, Out&Equal, con sede a San Francisco - capitale storica della liberazione (omo)sessuale - che promuove il diritto all’uguaglianza degli omosessuali nei luoghi di lavoro. E in tutte le grandi banche, in Ibm, in Johnson&Johnson, esistono gruppi organizzati di «Glbt», l’acronimo utilizzato per riferirsi a gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Ed è attraverso organizzazioni come queste che la comunità omosessuale «fa network», cioè lobby.
Una lobby potente e ricca. Anzi, secondo un dossier del 2006 della rivista Tempi, ricchissima: la lobby omosessuale internazionale, che ha le sue roccaforti a New York, Washington, San Francisco e Bruxelles, è sempre più influente. Riceve finanziamenti sia dalle grandi corporation americane, sia dai governi e dalle istituzioni internazionali, spesso sotto forma di donazioni a Ong o fondi per la lotta all’Aids. Uno tra i più influenti gruppi che appoggiano le battaglie per i diritti delle comunità gay e bisessuali negli Usa come in America Latina e in Europa è quello dei «Catholics for a Free Choice», un’organizzazione che assieme all’«International Lesbian and Gay Association» (presente in 90 Paesi con oltre 400 organizzazioni affiliate) lavora a Bruxelles per far pressione sui legislatori affinché agiscano contro gli Stati che non riconoscono le unioni omosessuali.
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Avvenire 8 giugno 2011
I sacerdoti sempre orientati al futuro. Anche da anziani
Fare il prete, un «mestiere» che non finisce mai
di Piero Gheddo
I sacerdoti anziani sono sempre più numerosi, sono una riserva di santità, di umanità e di esperienza e sono anche una preziosa risorsa per la nuova evangelizzazione della nostra Italia. Il prete ha, infatti, una longevità sconosciuta ad altre "professioni", è sacerdos in aeternum e anche da anziano, a volte purtroppo non più autosufficiente, può sempre dimostrare con la sua vita, le sue preghiere e parole, i suoi scritti, la grandezza e bellezza della fede e della vocazione sacerdotale.
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Associazione Scienza & Vita di Pisa e Livorno
Documento approvato in assemblea il 16 maggio 2011 sulle norme in materia di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento
[www.scienzaevita.info]
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L’Associazione Scienza & Vita di Pisa e Livorno esprime la propria netta contrarietà rispetto al ddl riguardante “norme in materia di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento”, al vaglio della Camera, così come formulato.
Le disposizioni di esso riguardanti i trattamenti sanitari di fine-vita, nonostante il solenne preambolo all’art. 1, a nostro giudizio, non offrono, in realtà, alcuna garanzia di efficace contrasto nei confronti di condotte mediche di tipo eutanasico o di interpretazioni giudiziarie distorte e/o ingiuste.
In particolare si evidenzia che:
1. le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, pensate per difendere la dignità delle persone negli stadi terminali della loro vita o nelle condizioni di estrema fragilità perché incapaci di intendere e di volere, sono uno strumento intrinsecamente inadeguato a tale scopo, se non addirittura inutile e pericoloso, perché il consenso alle cure, con esse espresso, non può mai essere realmente “informato”, in quanto proviene da soggetto che non conosce la particolare condizione sanitaria in cui potrebbe trovarsi in futuro, né è in grado di comprendere e valutare con cognizione di causa le innumerevoli e imprevedibili situazioni in cui potrebbe versare e di fronte alle quali cambiare radicalmente il suo giudizio.
Dunque, le D.A.T., in quanto redatte “ora”, in normali condizione di salute, per avere efficacia “allora”, in un’ eventuale situazione futura radicalmente diversa, non possono avere alcun effetto giuridico vincolante perché non vi è alcuna certezza che rispecchino l’effettiva volontà dell’incapace al momento in cui si verifica l’evento.
2. Il testo normativo è improntato alla regola generale secondo cui, salvo limitate e rigorose eccezioni, non sia possibile attivare nessun atto medico senza il previo esplicito consenso del paziente, ma (v. art. 2 c. 1; art. 2 c. 2) enfatizza oltre il dovuto un (astratto) principio di “autodeterminazione” del paziente, la cui incidenza, nella prassi, è molto marginale, affidandosi, piuttosto, il malato al buon consiglio dello specialista, e rischia di ledere l’autonomia professionale del medico il quale dovrebbe sentirsi sempre libero di seguire scelte coerenti con i valori della propria professione. Il ddl in esame, dunque, intacca l’imprescindibile alleanza terapeutica, costitutiva della relazione medico-paziente, già ampiamente messa in crisi dalla giurisprudenza, aprendola prevedibilmente all’abbandono terapeutico nei confronti dei soggetti più fragili.
3. L’art. 2 c. 5 del testo riconosce paziente la facoltà insindacabile di revocare in qualsiasi momento il consenso informato, così recependo integralmente quanto sancito dall’art. 5 c. 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Conv. di Oviedo – 4.04.1997), che ancora non è stata ratificata dal nostro ordinamento e che pertanto, “pur avendo una funzione ausiliaria sul piano ermeneutico”, non ha un’ immediata e diretta efficacia e “dovrà cedere di fronte a norme interne contrarie” (Cfr. Cass. n. 21748 – caso Englaro).
Questa disposizione, pertanto, andrebbe a mutare il quadro normativo, svuotando del tutto l’art. 579 c.p. più volte richiamato (sic!) che, invece, punisce la condotta di colui che coopera causalmente alla decisione del paziente di sospendere il trattamento che lo sostiene in vita. L’uccisione della persona consenziente non sarebbe più punibile e i futuri casi come quello di Welby, che richiese ai medici che gli fosse disattivato il respiratore, non porterebbero neppure all’apertura di un fascicolo da parte della Procura per il reato
previsto e punito all’art. 579 c.p..
Ciò equivarrebbe a legalizzare l’eutanasia - della quale, non a caso, non viene data alcuna definizione nel DDL – purchè praticata in ospedale. Ma è facile intravedere un ampliamento della platea di coloro che, obbedendo alla richiesta del malato, senza correre alcun rischio, lo “accontenteranno”.
4. Nel testo, per quanto riguarda la relazione di cura “medico-paziente”, non ci si attiene alla sua originaria vocazione (guarire, curare, non nuocere), richiedendosi al “medico curante” (art. 2 c. 2; art. 4 c. 1 e 2), un coinvolgimento personale e professionale, fonte di eventuale responsabilità giuridica, oltre che morale, nella redazione delle D.A.T., ben al di là delle (ed a prescindere dalle) sue specifiche competenze. La procedura prevista, difficilmente qualificabile come “atto medico”, non contempla la facoltà del medico di astenersi dall’obbligo di ricevere le D.A.T. come tali (“clausola di coscienza”).
In ogni caso, lasciando del tutto indeterminati i contenuti che il medico potrebbe rifiutarsi di accogliere, fa prevedere una disomogeneità di interpretazioni ed impone al sanitario un compito informativo improbo, stante la molteplicità dei possibili trattamenti, degli scenari e della loro combinazione.
Si prospetta così una prassi connotata da un mero recepimento formale delle disposizioni da parte dei medici. Rimaniamo, invece, convinti che l’unica strada da perseguire sia quella di una “Pianificazione Progressiva della Cure”, in cui sia mantenuto un contesto di attualità della malattia e in cui, solo all’interno della relazione di cura fra quel medico, specificamente competente su quel “caso” concreto, e quel paziente, quest’ultimo possa realmente essere accompagnato nelle fasi della sua malattia ad acconsentire liberamente e consapevolmente ai trattamenti sanitari suggeriti.
5. Sempre sullo stesso versante, si introduce una figura ibrida, (il “fiduciario”, art. 6), a cui non è richiesta alcuna competenza specifica, quale unico soggetto abilitato ad interloquire con il medico, il quale è tenuto ad agire per un, non meglio precisato, “esclusivo e migliore interesse”(!?) del paziente, e che, addirittura, dovrebbe “vigilare” perché vengano somministrate le “migliori” (!?) terapie disponibili…; una specie di “guardiano” che, senza avere alcuna competenza, ha il compito di sorvegliare l’operato dei medici per evitare ciò che egli ritenga essere “accanimento” o “abbandono terapeutico”.
6. Si intende disciplinare la condotta del medico richiamando concetti di straordinarietà delle cure (art. 1 lett. f) , di accanimento terapeutico (art. 6 c. 3), o, a proposito del suo ruolo nella valutazione delle indicazioni contenute nelle D.A.T. (art. 7 c. 1), i criteri di “precauzione, proporzionalità e prudenza”, senza mai specificarne il significato, in coerenza con l’ordinamento giuridico vigente e i codici deontologici professionali .
7. Si introduce, nell’ ipotesi di contrasto tra il medico curante ed il fiduciario o gli altri soggetti parimenti legittimati ad esprimere il consenso per la persona incapace (tutore, curatore, amministratore di sostegno), un complicato procedimento di valutazione da parte di un collegio di medici, nel primo caso (art. 7 c. 3), o da parte del giudice, nel secondo (art. 8), dal quale dovrebbe scaturire, alla fine, la “corretta” interpretazione della volontà del paziente, oppure ciò che è “meglio” per esso, espressa in un documento che potrà, tuttavia, essere sempre impugnato davanti all’autorità giudiziaria.
8. Da ultimo, non si tiene debitamente conto che, nella valutazione e interpretazione delle D.A.T. da parte del medico curante, anche la coscienza del medico potrebbe essere condizionata dalla mentalità eutanasica o, comunque, essere incapace di opporsi a dichiarazioni velatamente eutanasiche espresse dal dichiarante e, in questi casi, quel medico troverebbe nella legge stessa la garanzia di impunità della sua condotta consenziente.
Nel complesso, dunque, il testo in discussione non solo è gravemente insufficiente a garantire quel favor vitae che, nelle sue intenzioni, il legislatore vorrebbe riaffermare con vigore, ma addirittura introduce surrettiziamente una norma che legalizza l’eutanasia. Si vuol ricordare, a questo proposito, l’incipit della L. 194/1978: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”, per ribadire che non bastano le migliori solenni affermazioni per evitare che una legge oggettivamente equivocabile, ridondante e piena di rimandi, produca effetti del tutto opposti a quelli desiderati. Inoltre, è noto a tutti che la L. 40/04, concepita secondo le migliori intenzioni ma stravolta da vari interventi della magistratura, è rimasta praticamente lettera morta per quanto riguarda la tutela giuridica del concepito.
Pertanto, Scienza & Vita di Pisa e Livorno auspica una profonda revisione del testo legislativo affinché sia efficacemente, e non solo come mero enunciato formale, protetto e rafforzato il principio - radicato nell’ordinamento ma indebolito da una parte della giurisprudenza – dell’ “indisponibilità della vita umana” e ritiene che debba essere comunque abbandonata la strada scivolosa del riconoscimento giuridico delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento
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MABEL E LA MORTE
L’EUTANASIA
In occasione della solennità dell'Ascensione del Signore, in attesa della sua Seconda Venuta, come padrone della storia, della vita e della morte, offro assieme alle www.edivi.com il mio studio sulle "Dichiarazioni Anticipate di Trattamento". Prego inserirlo quanto prima su totustuus.it in vista del dibattito parlamentare, ma anche per tutta la problematica della vita e la morte, nel contesto dell'imposizione globale della cultura della morte da parte del progetto mercantilista e materialista del potere mondiale. Padre Arturo Ruiz Freites I.V.E.
Sommario: Ia. PARTE. MABEL E LA MORTE. Da un romanzo profetico, cento anni fa... I.1. Oliviero e Mabel, e la cultura dell’immanenza I.2. L’irruzione della morte I.3. La malattia mortale I.4. La confessione della moribonda I.5. Mabel e l’ultima tentazione. Morte ed eutanasia
IIa. PARTE. L’EUTANASIA II.I. Presupposti antropologici ed etici II.I.1. Oggetto formale della questione II.I.2. Oggetto materiale adeguato della questione: la ricerca della verità nel contesto dei retti presupposti sull’uomo, sulla natura e su Dio II.I.3. “Problema bio-etico” e problema giuridico II.I.4. I princìpi generali derivati
II.II. Eutanasia II.II.1. Definizione, distinzioni, moralità II.II.1.1. Distinzioni o divisioni dell’eutanasia II.II.1.2. Il giudizio morale II.II.2. Argomenti degli eutanasisti II.II.3. Accanimento terapeutico. Cure palliative. Analgesia. Anestesia. Incoscienza II.II.4. Importanza della chiarezza di idee, dottrina e termini, evitando equivoci II.II.5. Obbligo delle cure minime II.II.6. Dichiarazione sull’obbligo delle cure minime II.II.7. Cure minime, “morte apparente” e morte reale II.II.7.1. Definizione e questioni sull’accertamento della morte II.II.7.2. Vita e morte sono dell’unica persona umana. Sofismi contrari II.II.7.3. Conclusione e princìpi etici derivati II.II.8. Disposizioni volontarie su trattamenti e cure II.II.8.1. La volontà del paziente ed il “consenso informato” II.II.8.2. Dichiarazione anticipata di trattamento (DAT) ed il cosiddetto “testamento biologico” II.II.8.3. In Italia II.II.8.4. Cultura della morte, “leggi di fine vita” e DAT II.II.8.5. La verità al paziente terminale II.II.8.6. L’urgenza di sostegno sociale e legale per la cura II.II.8.7. Investigazione, sperimentazione II.III. Politiche, casi e testimonianze II.III.1. Politiche e ideologie II.III.2. Casi e testimonianze. I dibattiti ed il progetto politico-economico mondiale. Esperienze nostre II.IV. Conclusione. La via dell’amore e della vera pietà, cultura della vita, preparazione alla buona morte
IIIa. PARTE. LA FINE III.1. Mabel e la morte III.2. “Mors et Vita duello, conflixere mirando, Dux vitae mortuus, regnat vivus” III.3. La Croce di Gesù Cristo, eutanasia cristiana
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Regina Sacratissimi Rosari, ora pro nobis
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Grazia Mangano Ragazzi, IN OBBEDIENZA ALLA VERITÀ: la discrezione/prudenza come perno della spiritualità di Santa Caterina da Siena (Con una presentazione del Cardinale Carlo Caffarra), Cantagalli, Siena 2010, ISBN: 8882725561, pagine 320, Euro 24,00
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Il secolo scorso è stato per molti aspetti un "secolo cateriniano". È infatti nel ventunesimo secolo che l’autorità ecclesiastica ha elevato Caterina a Dottore della Chiesa e a compatrona d’Europa, ed è sempre nel secolo scorso che si sono sviluppati i primi studi critici sulle fonti cateriniane. A seguito di questi eventi e di questo fermento di studi, oggi il lettore ha a disposizione un’edizione critica di gran parte del corpus cateriniano ed un amplissimo ventaglio di scritti sulla vita e l’opera di Caterina, come evidenziato dai cinque volumi bibliografici finora pubblicati dal Centro Nazionale di Studi Cateriniani.
A tutt’oggi, però, non esisteva una monografia che analizzasse la nozione di discrezione/prudenza che, come conclude l’autrice del libro qui presentato, è davvero una nozione chiave per comprendere il messaggio spirituale di Caterina. Monografia rigorosa ed originale su questo aspetto decisivo della spiritualità cateriniana, questo libro è allo stesso tempo, grazie anche al ricchissimo apparato di note e di richiami bibliografici in tre lingue, un’utilissima introduzione al pensiero di Caterina. Questo suo carattere è stato ben colto dal Cardinal Caffarra che, nella sua presentazione, ha notato come il libro, pur affrontando un tema specifico della teologia cateriniana, s’inserisce in tutto il luminoso contesto del suo pensiero.
Dopo un capitolo introduttivo, dove l’autrice spiega la scelta dell’argomento assieme al piano ed alla metodologia della sua ricerca (oltre a riassumere i tratti salienti della vita di Caterina), il libro si articola in quattro parti: una prima parte critica in cui l’autrice fa il punto sui problemi di critica testuale delle opere cateriniane (Dialogo, Lettere ed Orazioni); una seconda parte analitica dove l’autrice procede ad un esame puntuale dei passi cateriniani che si riferiscono alla discrezione/prudenza; una terza parte storico-comparativa nella quale vengono ricercate le fonti della discrezione/prudenza cateriniana nella tradizione anteriore (Ambrogio, Agostino, Cassiano, Benedetto, Gregorio Magno, Bernardo, Riccardo di san Vittore e Tommaso d’Aquino) per poi mettere la discrezione/prudenza secondo Caterina a confronto con gli scritti di alcuni suoi contemporanei (Domenico Cavalca, Brigida di Svezia, Giovanni Colombini e Raimondo da Capua); ed infine una parte sintetica dove l’autrice mette in luce come la discrezione/prudenza sia condizione essenziale di unità nella riflessione cateriniana e perno di tutta la sua spiritualità. Alla conclusione generale segue una bibliografia molto estesa che è anche utilissimo inventario delle edizioni dei testi cateriniani e dei principali scritti/periodici/siti web sulla vita e l’opera della santa, in italiano, inglese e francese.
Il contributo principale del libro è quello di avere mostrato come sia proprio nella discrezione/prudenza che emerge in tutta la sua forza il fondamento della riflessione cateriniana, cioè la conoscenza e l’amore della "prima Verità" che è Dio, fonte di ogni essere, verità e bene. Per la senese, infatti, il più grande dono di Dio all’uomo è averlo creato a Sua immagine e somiglianza, dandogli non soltanto l’esistenza ma anche la capacità di conoscerLo ed amarLo attraverso le tre facoltà dell’anima (memoria, intelletto e volontà). Conoscendo Dio, l’uomo conosce anche se stesso: il "vero cognoscimento" è conoscenza di sé e di Dio e quindi dell’unica verità che conta, cioè quella che riguarda la vita o la morte eterna. Questa conoscenza, indispensabile per la salvezza, è una conoscenza soprannaturale che viene data all’uomo attraverso la grazia divina. Ma restare in questa conoscenza, in cui l’uomo deve abitare continuamente come in una "cella", dipende dal suo "esercitare le virtù". In definitiva, la senese nega che si possa restare nella verità ricevuta da Dio senza il concreto esercizio delle virtù.
Nella riflessione cateriniana, la discrezione/prudenza, coniugando il discernimento con la sua realizzazione nel retto agire morale, finisce anche per essere la condizione della vera libertà dell’uomo: facendolo "dimorare" nell’amore della verità quale suo "seguitatore", la discrezione/prudenza libera l’uomo dalla servitù del peccato. Ed è proprio questo fondamento fortemente morale della sua spiritualità, con il costante richiamo all’agire virtuoso quale condizione imprescindibile del rapporto con Dio, che rende la senese una santa tanto scomoda quanto attuale nel tempo presente.
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Presentazione del Cardinale Caffarra
Il libro che presento è frutto di studi prolungati, rigorosi e appassionati sul pensiero di Santa Caterina da Siena.
Assieme a Teresa d’Avila, Caterina fu la prima donna ad essere proclamata dal Santo Padre Paolo VI, di venerata memoria, Dottore della Chiesa. Il solenne atto pontificio non era che la conclusione coerente della stima che la Chiesa da secoli nutriva per questa donna, anche a motivo del suo profondo pensiero teologico.
È noto ai fedeli che la qualifica di Dottore ad un santo/a indica in esso/a un sicuro punto di riferimento circa il modo di pensare la fede, e un maestro fidato per essere più profondamente introdotti nel Mistero di Cristo e della Chiesa. Caterina è tutto questo in grado eminente sulla scia del suo grande fratello di religione Tommaso d’Aquino.
La luminosità, lo splendore della sua teologia, nasce da quel contatto vitale con le Res Divinae di cui Caterina godette fin dalla più tenera età. Ma soprattutto è la sua immersione nel mistero della Chiesa che la introdusse in modo unico nel Mistero di Cristo.
Il libro che l’autrice ora propone, pur affrontando un tema specifico della teologia cateriniana, s’inserisce in tutto il luminoso contesto del suo pensiero. La Chiesa oggi ha particolare bisogno di rimanere alla scuola dei suoi grandi Dottori, chiamata come è ad annunciare Cristo facendo fronte ad inedite sfide del pensiero e della cultura.
Non posso dunque non augurare numerosi lettori a questo libro, perché Caterina sia sempre più conosciuta e assimilata nel suo pensiero!
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UDIENZA
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE PROMOSSO DAL
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE
NEL 50° ANNIVERSARIO DELLA MATER ET MAGISTRA
16.05.2011
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... una visione di Chiesa posta al servizio della famiglia umana soprattutto mediante la sua specifica missione evangelizzatrice, ha pensato alla Dottrina sociale – anticipando il beato Giovanni Paolo II – come ad un elemento essenziale di questa missione, perché «parte integrante della concezione cristiana della vita» ... c’è bisogno del ripristino di una ragione integrale che faccia rinascere il pensiero e l’etica. Senza un pensiero morale che superi l’impostazione delle etiche secolari, come quelle neoutilitaristiche e neocontrattualiste, che si fondano su un sostanziale scetticismo e su una visione prevalentemente immanentista della storia, diviene arduo per l’uomo d’oggi accedere alla conoscenza del vero bene umano.
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Solennità dell’Ascensione del Signore – Ciclo A
I Lettura: Atti, 1-1-11;
Salmo: Sal 46;
II lettura: Ef 1,17-23;
Vangelo: Mt 28, 16-20
Nesso tra le letture
"Questo Gesù, che è stato tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo" (prima lettura). Questa attestazione degli Atti degli apostoli ci offre una sintesi profonda della liturgia nella solennità dell’Ascensione. Gesù sale al cielo col suo corpo glorificato. Lascia agli apostoli una missione chiara e impegnativa: "andate e ammaestrate tutte le nazioni" (Vangelo). Si tratta di andare fino agli estremi confini della terra, affinché risuoni l’annuncio di Dio. Si tratta di proclamare, incessantemente, quanto sia grande e profondo l’amore di Dio che si è manifestato in Cristo Gesù. L’apostolo sarà, dunque, l’uomo dell’ "amore più grande". L’uomo consapevole che il Signore che oggi ascende tra le acclamazioni, ritornerà. Ritornerà sicuramente e pieno di gloria! Perciò, in definitiva, si tratta di comprendere qual è la speranza cui siamo stati chiamati (seconda lettura), comprendere qual è l’eredità che Dio prepara a coloro che lo amano. Questa solennità dell’Ascensione è, allora, il momento più adatto per esaminare il nostro peregrinare lungo la vita, considerando che il Signore tornerà per prenderci con sé e che, quindi, dobbiamo intraprendere con entusiasmo i nostri doveri quotidiani, recuperando in essi il valore dell’eternità.
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AsiaNews
IL NUOVO BEATO CLEMENTE VISMARA, PATRIARCA DELLA BIRMANIA
di Piero Gheddo
Domenica 26 giugno in Piazza Duomo a Milano verrà beatificato padre Clemente Vismara (1897-1988), che nel 1983, quando compì i suoi sessant’anni di missione in Myanmar, la conferenza episcopale del luogo proclamò “Patriarca della Birmania”.
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Avvenire 28 maggio 2011
L'ANNIVERSARIO
Vittoriano, massone o pop?
E la religione civile ebbe il suo simbolo
di Massimo Introvigne
Nel 1967 il sociologo americano Robert Bellah pubblicò un celebre saggio sulla «religione civile» come elemento unificante degli Stati Uniti. Il melting pot degli americani venuti da tante terre diverse funziona, secondo il sociologo, perché tutti – pur mantenendo nella maggior parte dei casi la loro religione d’origine – adottano una «religione civile» che ha i suoi simboli e i suoi riti: la bandiera, l’inno, le feste, le parate, il culto non tanto di questo o quel presidente ma della presidenza. Il genio della «religione civile» americana, secondo Bellah, sta nel suo saper evitare i conflitti con le religioni «religiose». I simboli del cristianesimo – talora anche dell’ebraismo – sono assunti nei grandi riti civili, senza che l’americano medio percepisca un conflitto.
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AsiaNews 30-5-2011
Prof. Del Boca: La Nato sta fallendo in Libia, i media nascondono la verità
di Simone Cantarini
Per Angelo Del Boca, giornalista e storico esperto di Libia, gli alti costi della No Fly Zone hanno dissolto le speranze di un conflitto-lampo, che invece potrà durare per diversi mesi. Gheddafi ha ancora a disposizione truppe, armamenti e un patrimonio personale di 1 miliardo di euro. Il presidente del Sud-africa in Libia per tentare un ultima trattativa con il governo libico.
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Il 31 maggio la Chiesa di Cristo festeggia la Visitazione della B. Vergine Maria. Per onorare la Vergine del "magnificat", anche in vista della prossima festa di Pentecoste, totustuus.it offre in dono agli utenti registrati di totustuus.it il libro:
I doni dello Spirito Santo
Studio di psicologia soprannaturale e letture per il tempo della Pentecoste
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Presentazione: Qual è l'ufficio dei Doni nell'economia della nostra vita spirituale? Questione interessante in supremo grado!
Dalla sua soluzione dipende forse la cognizione delle più meravigliose tra le operazioni dello Spirito Santo nelle anime nostre, l'intelligenza dei nostri più alti doveri soprannaturali, e perfino, giacché Dio non ci giustifica senza di noi, il frutto e il felice successo di queste divine operazioni.
Alla scuola di S. Tommaso d'Aquino e del pio teologo che pare abbia penetrato più profondamente il suo pensiero su quest'argomento, Giovanni di S. Tommaso, noi cercheremo di renderei conto dell'ufficio dei Doni nell'anima fedele.
Indice. Introduzione: L'Ufficio dei Doni dello Spirito Santo; 1. I Doni dello Spirito Santo e la Vita soprannaturale; 2. Il Dono del Timore: san Lodovico Bertrando, san Vincenzo Ferreri, santa Rosa da Lima; 3. Il Dono della Forrezza: santa Caterina de' Ricci, San Giovanni di Gorcum, san Pietro martire; 4. Il Dono della Pietà: santa Agnese di Montepulciano, san Pio V, san Raimondo da Pennafort; 5. Il Dono del Consiglio: sant'Antonino; 6. Il Dono della Scienza: san Domenico, san Giacinto; 7. Il Dono dell'Intelletto: santa Caterina da Siena; 8. Il Dono della Sapienza: san Tommaso d'Aquino; 9. I Doni dello Spirito Santo nel Cuore purissimo della Vergine Maria.
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Regina Sacratissimi Rosari, ora pro nobis!
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Don Robert Skrzypczak, Karol Wojtyła al Concilio Vaticano II. La storia e i documenti, , Fede & Cultura, 2011, pp. 448, € 35.
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Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo le pp. 7-15 del 1° capitolo
Il Collegio Pio Latino Americano in via Aurelia a Roma vanta una bellissima biblioteca con una ricca collezione di libri, stampe e riviste.
A tre giorni dal conclave, mercoledì 11 ottobre 1978, quel luogo attirava l’attenzione di molti cardinali. Si chinavano sui documenti e, sfogliandone le pagine, rievocavano i grandi temi d’attualità di cui era vissuto il mondo cattolico ai tempi del Concilio Vaticano II, conclusosi ormai da tredici anni. Si parlava del bisogno di una Chiesa molto più biblica e meno clericale; di una fede che potesse diventare un incontro più personale con Dio anziché una sintesi dei testi sacri. Le grandi sfide del mondo contemporaneo: il comunismo e l’ateismo come il relativismo morale, pretendevano dalla Chiesa, consapevole della propria identità e missione, una risposta coerente; oltre a tutto, nel moderno dopoguerra non ci si aspettava dal cristianesimo un atteggiamento moralistico o un potere autoritario bensì un messaggio evangelico che sapesse spiegare all’uomo il suo destino e illuminare la sua esperienza.
Tutti questi testi, letti e riletti con dovuta concentrazione dai presuli in visita a quella singolare mostra, risalivano ad uno di loro – il cui nome veniva pronunciato sempre più spesso nei colloqui di corridoio, fra i commenti, battute e prove pre-elettive –: Karol Wojty
ła. Erano i testi dei suoi interventi tenuti durante le sedute plenarie del Concilio. A qualcuno dei visitatori, forse, veniva spontaneo chiedersi come mai un uomo del genere si fosse perso nella congerie dei resoconti e studi postconciliari. La mostra era stata voluta ed organizzata da due porporati che portavano singolari cognomi: il cardinale Franz König di Vienna e il cardinale John Krol di Philadelphia. Era stata per caso quella circostanza, in apparenza di poco conto, che sembrava configurare un «corteo regale»[1] che avrebbe portato l’arcivescovo di Cracovia alla dignità di Successore di san Pietro, e avrebbe arricchito la Chiesa per molti anni di uno dei più straordinari papi moderni?
Karol Wojtyła quale Padre del Concilio Vaticano II è tuttora poco conosciuto[2]. Vi è un gran numero di pubblicazioni sulla vita e le opere di questo personaggio, conosciuto successivamente con il nome di Giovanni Paolo II; tuttavia manca un adeguato studio sul periodo della sua effettiva partecipazione ai lavori della più grande assemblea dei Pastori della Chiesa Cattolica nel XX secolo. Le biografie del Santo Padre, anche le più dettagliate, vi dedicano a malapena alcune pagine nel tentativo di riempire le lacune che emergono tra due importanti tappe della vita di Giovanni Paolo II: la sua polacca «maturazione» alle dignità ecclesiastiche, e quello che ha inaugurato il giorno 16 ottobre 1978[3]. Nessuno, fino ad ora, aveva tentato di misurarsi con la totalità del contributo apportato ai dibattiti del Vaticano II da parte dell’arcivescovo di Cracovia, e ciò fa sembrare l’esperienza della sua partecipazione ai discorsi conciliari solamente un «episodio».
La presente antologia di tutti gli interventi di Karol Wojtyła al servizio del Concilio, sia orali sia messi per iscritto, esposta nella seconda parte del saggio, è alla sua primissima edizione. Essa viene anche pubblicata in polacco con il testo latino a fronte. Il latino era allora la lingua ufficiale della Chiesa, lo usavano i Padri conciliari per comunicare fra di loro, il polacco invece era il modo con il quale pensava la mente e sentiva il cuore del Pastore di Cracovia. Credo, che integrare la biografia di Giovanni Paolo II con la più ampia presentazione del suo impegno conciliare, non esaurisca l’importanza di questa pubblicazione.
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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
AD AQUILEIA E VENEZIA
INCONTRO CON IL MONDO DELLA CULTURA E DELL’ECONOMIA NELLA BASILICA DELLA SALUTE A VENEZIA
08.05.2011
L’essere Venezia "città d’acqua" fa pensare ad un celebre sociologo contemporaneo, che ha definito "liquida" la nostra società, e così la cultura europea: una cultura "liquida", per esprimere la sua "fluidità", la sua poca stabilità o forse la sua assenza di stabilità, la mutevolezza, l’inconsistenza che a volte sembra caratterizzarla.
E qui vorrei inserire la prima proposta: Venezia non come città "liquida" – nel senso appena accennato –, ma come città "della vita e della bellezza".
Certo, è una scelta, ma nella storia bisogna scegliere: l’uomo è libero di interpretare, di dare un senso alla realtà, e proprio in questa libertà consiste la sua grande dignità.
Nell’ambito di una città, qualunque essa sia, anche le scelte di carattere amministrativo culturale ed economico dipendono, in fondo, da questo orientamento fondamentale, che possiamo chiamare "politico" nell’accezione più nobile e più alta del termine.
Si tratta di scegliere tra una città "liquida", patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo e dell’effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza attingendo dalle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli.
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Sesta domenica di Pasqua
LETTURE
Atti 8,5-8,14-17
Salmo 66
1Pt 3,15-18
Giovanni 14,15-21
TEMA DELLE LETTURE
Le letture di oggi si riferiscono alla prima epoca missionaria dei cristiani e alla presenza e alla guida dello Spirito Santo che il Signore invia ai suoi fedeli. Nella sua lettera alle varie comunità cristiane, san Pietro le esorta ad essere pronte a spiegare agli altri il senso delle aspettative della fede cristiana. Ciò suggerisce un atteggiamento di franchezza e la capacità di comunicare ciò in cui crediamo e le ragioni della nostra fede. Questa esposizione della fede cristiana deve essere fatta con gentilezza e rispetto. San Pietro dà ad intendere che la sofferenza è una conseguenza della predicazione. È interessante il fatto che san Pietro qualifichi il cristianesimo a partire dalla speranza, dalle aspettative di quel che deve avvenire a motivo di Cristo.
Sia il vangelo di Giovanni sia gli Atti degli Apostoli parlano dello Spirito Santo di Dio che viene inviato ai cristiani. Gesù lo chiama il Consolatore, lo Spirito di verità che dimorerà nei cuori dei fedeli per consolarli e guidarli. Per quanto la presenza dello Spirito Santo sia un dono gratuito dell’amore di Dio, lo ricevono soltanto coloro che vogliono accoglierlo e che si preparano opportunamente a farlo. Gesù promette anche la sua presenza spirituale nei fedeli. Egli afferma pure che l’amore autentico di Dio si dimostra vivendo una vita autenticamente cristiana.
Gli Atti degli Apostoli ci mostrano Pietro e Giovanni che invocano e impartiscono lo Spirito Santo sui Samaritani (noti per la loro religiosità eclettica e per la loro accettazione solo parziale della Bibbia dell’Antico Testamento), tramite l’imposizione sacramentale delle mani.
Le lodi del Salmo 65 possono suonare stravaganti ai nostri orecchi, ma ci ricordano la grandezza delle opere del Signore: il mondo intero si prostri di fronte al terribile potere di Dio.
MESSAGGIO DOTTRINALE
La presenza dello Spirito Santo. Il cristianesimo è una sorgente vitale dentro di noi, un’esperienza permanente, reale, di Dio che riceviamo con il Battesimo e che viene completata nell’età della maturità con la Confermazione. La presenza dello Spirito Santo fortifica ed illumina il cristiano affinché adempia con la propria esistenza, sull’esempio di Cristo, la sua missione sulla terra. In questo modo, dimora in noi lo Spirito di Dio, e ci sentiamo ispirati ed illuminati senza essere spogliati di noi stessi. Continuiamo a determinare liberamente la nostra vita. Lo Spirito Santo ci aiuta a discernere il valore relativo di tutte le cose in rapporto alla sapienza di Dio, e ad agire di conseguenza. Lo Spirito ci fortifica nel riconoscere Dio come Signore e Creatore. Ci fortifica perché adempiamo la missione dell’evangelizzazione, con dolcezza e rispetto, nonostante gli ostacoli e la persecuzione.
Riferimenti nel Catechismo: i paragrafi 683-690 parlano dello Spirito Santo; i paragrafi 731-741 dicono dello Spirito e della Chiesa negli ultimi giorni; i paragrafi 1285-1321 trattano del sacramento della cresima.
Spiegare le ragioni della fede. San Pietro ci chiede di essere capaci di spiegare la speranza che è in noi. Ciò richiede da parte nostra una chiara comprensione delle realtà essenziali che sorreggono l’esperienza cristiana e di come esse siano compatibili con quel che sappiamo delle altre realtà. Non è un’impresa facile, ma prospetta grandi risultati e produce rispetto per la sapienza dell’uomo. I cristiani non devono temere i progressi della conoscenza umana, né si deve rifuggire da quel che appare difficile da spiegare. Il cristiano non ha una spiegazione o una risposta per tutto. Non c’è contraddizione tra conoscenza e fede; anzi, quella è perfezionata dall’esperienza di questa; la fede può guidare la ricerca della conoscenza umana. Sappiamo che la vita e la realtà sono complesse. Il cristianesimo non semplifica né deforma i fatti; piuttosto, ci aiuta a restare aperti e pieni di speranza nel proseguire l’inarrestabile ricerca di senso e di salvezza.
Riferimenti nel Catechismo: i paragrafi 904-907 si riferiscono alla partecipazione all’ufficio profetico di Cristo; i paragrafi 2471-2474 trattano del dovere cristiano di dare testimonianza alla verità.
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Il salesiano pro pedofilia e gli ultimi fuochi della rivoluzione olandese
24 maggio 2011
di Paolo Rodari
Tutti parlano di lui. Del salesiano olandese di 73 anni – si conoscono soltanto le iniziali, padre van B. – salito agli onori della cronaca in quanto dichiaratamente appartenente alla Martijn, un’associazione legalmente riconosciuta in Olanda e che sostiene le relazioni pedofile: “Sono perfettamente legittime” dicono, “seppure discriminate dalla società”
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Il cielo in una stanza (con sbarre)
19 maggio 2011
di Antonio Socci
Un albero che cade – com’è noto – fa più rumore di una foresta che cresce. I telegiornali sono pieni di alberi che cadono: lotte di potere, una serie infinita di omicidi, gli scandali sessuali, le guerre.
Ne viene fuori ogni giorno una rappresentazione mostruosa della realtà.
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Avvenire 24 maggio 2011
La Giornata indetta da Benedetto XVI
Cina, il regime reprime la Chiesa prega
Decine di sacerdoti sono stati arrestate nel Nord della Cina; altre decine sono state bloccate ieri a Shanghai e "portate in vacanza" a spese del governo, impedendo loro così di celebrare Messa per i fedeli. Il motivo: volevano partecipare al pellegrinaggio verso il santuario della Madonna di Sheshan, che si celebra oggi, 24 maggio, festa di Maria aiuto dei cristiani
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il Foglio 15 maggio 2011
Le “armi affilate” dell’uomo di Ratzinger alla guida del clero
di Paolo Rodari
La lezione che Mauro Piacenza, prefetto del Clero, attualmente il cardinale più giovane italiano (66 anni), ha tenuto alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, sezione parallela di Torino, è una spada conficcata nello spirito del mondo.