SCUOLA LIBERA:
PROBLEMA LAICO DI TUTTI
di Mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di Como *
(questo saggio è stato gentilmente fornito da don Carlo Calori,
Direttore della rivista trimestrale Cultura Oggi
- nel cui numero aprile-giugno 1998 è comparso -
e preside del liceo Montini di Milano)
Questa riflessione si svolge per tesi. Ciò significa che il procedimento espositivo vuole raggiungere una qualche precisione, ma si offre in modo assai sintetico.
Le tesi sono contestualizzate. Ciò significa che larticolazione che qui viene fatta, presuppone un intervento già attuato e pubblicato (cfr. Studi Cattolici, maggio 1997, pp. 346-348), si tiene inoltre presente la situazione attuale italiana, dove insistentemente si rende pubblica lintenzione - la minaccia? - di una riforma globale della scuola, di là dai mutamenti già notevoli operati in modo quasi insensibile attraverso decreti-legge, direttive applicative e perfino semplici circolari; inevitabilmente, a richiami teoretici saranno frammiste considerazioni giuridiche e storiche. L'essere consapevoli di tali limiti è, forse, motivo di plausibilità di una richiesta di scusa e ragione di qualche utilità.
Tesi 1 - Priorità della persona sullo Stato
Una visione autenticamente democratica pone lo Stato a servizio della persona e non viceversa.
A) Si parla di persona nella preziosità della sua originale identità di soggetto
indeducibile, irripetibile e intangibile di pensiero e di libertà, non funzionale a nulla
e a nessuno.
Ciò dice che la persona possiede dei diritti e dei doveri, i quali non divengono reali
quando sono attribuiti da una qualsivoglia autorità umana, ma, essendo originali
dallessere stesso dellio umano che si protende ad agire, sono reali perché
vengono dati con la persona stessa, e da una qualsivoglia autorità umana debbono, invece,
essere riconosciuti.
La persona deve essere considerata non come una individualità estranea o contrapposta
alle altre persone o a qualsiasi elemento con cui pure è a contatto. Essa comincia a
vivere ed è educata in un influsso pedagogico paterno, materno, fraterno, ecc.
Essa, ancora, esiste in una società la quale, quando è sana, suscita e accoglie i
cosiddetti "corpi intermedi", vale a dire le aggregazioni che sono fondate su
svariate motivazioni unitive e stimolanti a determinare responsabilità.
B) Le diverse comunità che sono state richiamate hanno vari tipi di origine e si
pongono, perciò, come, in qualche modo, soggetti di azione, ciascuno dei quali è
strutturato in modo proprio e orientato a una finalità adeguata.
Ciò induce a comprendere come le diverse aggregazioni sono da collocare su piani ed in
prospettive diverse. La famiglia, ad esempio, è società "naturale", fondata
sul matrimonio e su vincoli di sangue. Non così i corpi intermedi, che possono essere
connotati da strutture e da orientazioni di produzione, di commercio, di gestione del
tempo libero, di produzione di cultura, di impegno di educazione, ecc..
Sembra logico che si debba tener conto della profondità o meno, della incidenza o meno,
del coinvolgimento o meno, e del tipo di profondità, di influsso e di coinvolgimento che
i singoli raggruppamenti hanno sulla persona considerata nella sua unicità e nei suoi
rapporti di tipo sociale. In particolare, sembra che abbiano rilevanza le componenti che
nascono dalla cultura nel senso di mentalità e di comportamento, includendo in tutto ciò
anche la dimensione e lappartenenza religiose.
Qui nascono dei diritti che non possono non essere detti soggettivi, fondamentali e
inalienabili, dal momento che sono nativi con lessere e il divenire della persona
stessa, e che, dunque, debbono essere valutati come prioritari rispetto ad altre
connotazioni.
C) Il principio di sussidiarietà afferma, in generale, che quanto può essere compiuto
dalla persona, nella sua singolarità, dalla famiglia o da corpi intermedi, in ogni
settore di attività, ma particolarmente in quei settori che più attengono alla
qualificazione dellio umano, deve essere lasciato pensare e attuare dalle istanze
più legate alla persona stessa e non assorbite da istanze autoritative civili più alte.
Ciò concerne soprattutto il potere dello Stato, il quale potere, tuttavia, anche al
proprio interno, è chiamato a lasciar attuare dei compiti civili da parte di istanze più
vicine alla persona, senza che le istanze superiori, o addirittura listanza suprema
dello Stato stesso, si arroghi la pretesa di sostituirsi, quasi, a chi è capace più
agevolmente - e forse più correttamente - di esercitare le proprie responsabilità e di
far valere i propri diritti.
Ciò coincide con il sostenere che la persona viene prima della famiglia, e la famiglia
prima dei corpi intermedi; ciò coincide specialmente con il sostenere che lo Stato, nelle
sue varie e graduali articolazioni, è obbligato a lasciar spazio alla società nelle sue
diverse componenti.
Il principio di socialità o di solidarietà, potrà temperare lo sviluppo della libertà
nei suoi vari gradi: talvolta - o spesso, magari - richiederà qualche attutimento della
espressione delle libertà sociali in nome della tutela dei soggetti più deboli. Questo
rilievo, però, non impedisce, anzi obbliga, a sostenere la priorità della libertà della
persona sullo Stato, soprattutto quando la persona è coinvolta nei suoi aspetti più
decisivi. In fondo, il principio di sussidiarietà esige e salvaguarda la libertà del
cittadino: una libertà che deve essere integrata con la giustizia, ma che non può essere
immotivatamente soffocata o ridotta.
D) Il principio di sussidiarietà, ancora, non domanda soltanto che i pubblici poteri rispettino la persona e le istituzioni in modo speciale legate alla persona stessa; domanda altresì che le istanze autoritative statuali si giustifichino mediante un qualche stimolo e una qualche promozione della persona medesima. In altri termini, non si tratta di accogliere, magari obtorto collo le iniziative di libertà che nascono dalla "base"; più esattamente, si tratta di stimolare, in qualche modo e in qualche grado, lesercizio della libera iniziativa.
Tesi 2 - Laicità dei pubblici poteri
La laicità dello Stato - o dei pubblici poteri - va affermata non solo come diritto, ma anche come dovere. A questo punto, però, si impone in tutta la sua chiarezza il compito di chiarificare tale laicità.
A) Spesso, attualmente, sembra che si sostenga, o almeno si lasci intendere in modo
implicito e quasi subliminale, che la laicità, nel contesto democratico, implichi
necessariamente la rinuncia a ogni convinzione, soprattutto in campo filosofico ed etico.
In questo senso, il relativismo cognitivo e morale sarebbe il presupposto di ogni vera
convivenza democratica.
Sarebbe anche troppo facile, in proposito, non solo constatare le ingiustizie perpetrate
lungo la storia in nome di uno scetticismo radicale, ma anche segnalare le intuibili
violazioni dei diritti della persona consumate in nome della "dittatura del
numero".
Ciò significa che una democrazia è accettatile e funzionante in modo adeguato soltanto
quando ha alla propria radice un patrimonio di valori e di convinzioni morali che
rispettino e aiutino la persona, anche nelle sue diverse gradazioni di esistenza sociale,
ad attuarsi in modo pieno quanto è possibile. In proposito si può invocare il
"diritto naturale" che deve stare allorigine di ogni sana democrazia. Ci
si può anche richiamare alla preziosità intangibile della persona nei suoi diritti
fondamentali e inalienabili. Si nega, invece, che abbiano piena validità le norme
positive statuali per il solo fatto che sono decise e imposte. In questo caso, la
giustizia deriverebbe la propria imperatività unicamente dal fatto che qualcosa viene
comandato per legge: iustum quia iussum. Tale modo di pensare sembra
inevitabilmente condurre alla concezione di uno Stato etico; non solo: porrebbe le
condizioni perché lo Stato si eriga come istanza di verità, di educazione, ecc..
B) La prima espressione di laicità, a ben considerare le cose e di là da ogni
opinione diffusa, consiste nel pluralismo non solo delle persone, ma anche dei corpi
intermedi che lo Stato ha il dovere di tutelare e di promuovere, e che sono chiamati a
confrontarsi liberamente tra loro.
Lungi dallessere qualificata, in primo luogo, come neutralità veritativa, morale e
culturale, la laicità dello Stato pone innanzitutto lobbligo di accogliere - e anzi
di sollecitare - le diverse libere iniziative personali e sociali, assicurando che il loro
reciproco confronto, nella libertà delle varie fisionomie e delle diverse espressioni,
avvenga nel totale rispetto delle altre persone e delle altre aggregazioni sociali.
Questo rilievo evidenzia in modo indubitabile la libertà della persona nelle sue varie
attuazioni e manifestazioni rispetto al tentativo sempre ricorrente di statalizzare
settori gradualmente più vasti di attività umana.
Va da sé, inoltre, che le disparate aggregazioni sociali vanno riconosciute in base alla
loro reale esistenza e alla loro concreta consistenza, e non in base a chissà quale
arbitrio che si vorrebbe imporre.
Va da sé, infine, che il riconoscimento della libertà e della manifestazione della
libertà stessa, va accolto e stimolato quando lagire umano si muove entro gli
ambiti del bene comune, vale a dire entro una situazione in cui la persona può attuarsi
senza danno per gli altri, uomini o istituzioni più o meno originarie che siano.
I rilievi accennati mostrano che la libertà deve essere rispettata e sollecitata non solo
tra le persone dentro le singole strutture sociali, soprattutto statuali, ma anche tra le
strutture stesse. Detto diversamente: va affermato il diritto alla libertà nelle
aggregazioni, ma pure delle aggregazioni.
C) Nella vita sociale vi possono essere - e di fatto spesso vi sono - cittadini che non
intendono aggregarsi in formazioni culturalmente qualificate, ma chiedono di ritrovarsi e
di potersi realizzare ed esprimere in spazi "tendenzialmente neutrali".
Si dice "tendenzialmente neutrali", perché, sotto il profilo culturale, risulta
illusoria una neutralità perfetta. Si volesse anche optare per una impostazione
"scientifica" e "tecnica" del pensiero e della vita, una simile scelta
non potrebbe non qualificarsi come ideologica, nellipotesi che a priori essa
escludesse, ad esempio, ogni prospettiva metafisica e religiosa.
Con ciò si intende precisare che, entro il campo dazione dellautorità dello
Stato, possono opportunamente e, forse, necessariamente, essere previsti e preordinati
schemi di convivenza in cui la persona non venga marcatamente coinvolta in ciò che di
più profondo e di più originale possiede. Alla luce di quanto si è accennato si
potrebbe parlare di spazi di convivenza a lieve caratterizzazione culturale, creati e
conservati dallo Stato: spazi dove, pur essendovi svolte delle mansioni che, in se stesse,
potrebbero raggiungere la persona nel suo stesso centro, in realtà tali mansioni vengono
attuate in modo tale da quasi non toccare e quasi non coinvolgere - o toccare e
coinvolgere il meno possibile - la persona medesima a un livello dove è necessario
riconoscerne e onorarne le convinzioni teoretiche e i comportamenti pratici.
D) Sembra del tutto evidente che, nella società, vi siano campi di esistenza e di azione, dove la persona è coinvolta soltanto per degli aspetti che non implicano necessariamente un riferimento profondo alle certezze e allazione del soggetto umano sotto il profilo dottrinale ed etico. Qui il pubblico potere lascerà, quanto è possibile e opportuno, la libertà di iniziativa; potrà, però, assumere in proprio, ancora quanto necessario e opportuno, la gestione di aspetti dell'io umano, i quali si pongano senza chiedere un'adesione particolare dellintelligenza e della volontà su parametri valutativi dottrinali e su impegni etici. Soprattutto quando si tratta di spazi di convivenza inevitabile o quasi.
Tesi 3 - Scuola in uno Stato laico
Se si accettano le premesse a cui si è fatto riferimento, ne vengono delle
applicazioni abbastanza immediate per quanto concerne, in particolare, la scuola.
Pare di immediata evidenza che la scuola debba essere collocata nel novero delle
istituzioni che, almeno parzialmente, influiscono sulla persona ed esigono che la persona
vi si giochi in modo assai intenso e decisivo.
A) La situazione di proposta pluralistica delle scuole sembra, così, offrirsi come
lattuazione più limpida e realistica del principio di laicità dello Stato e di
sussidiarietà nellintervento dello Stato medesimo.
In questo caso si ammette in maniera esplicita la caratterizzazione culturale propria che
ogni scuola intende rispettare e svolgere.
Tale compito che la scuola si attribuisce non si limita a comunicare una istruzione, ma si
impegna anche in una funzione educativa in base a un disegno pedagogico dichiarato,
elaborato e liberamente accettato da parte di chi condivide tale impresa pedagogica.
Può sembrare strano collocare in prima posizione la soluzione pluralistica delle scuole,
ma la paradossalità si scioglie e diviene constatazione, se appena si presta attenzione
al fatto che - come si è annotato - la cultura non è mai perfettamente neutrale dal
punto di vista teoretico ed etico. Lo Stato, inoltre, riconosce, in questo paradigma, la
priorità della libertà di chi sceglie una scuola: per prepararsi al lavoro, ma anche per
formarsi una capacità critica di apprendimento e di valutazione, e un carattere umano che
sia, a un tempo, equilibrato e armonico.
Allobiezione secondo la quale una soluzione come questa dividerebbe verticalmente il
Paese, si risponde che il Paese, probabilmente, è già, per fortuna, diviso sotto questo
aspetto; e, comunque, ciò che sembra essenziale non è affatto la negazione della
possibilità di scontri intellettuali tra scuole, magari livellando un insegnamento che
pretenda di non assumere nessuna posizione ideale; ciò che sembra essenziale è
labilitare i partecipanti alle diverse scuole a un dialogo e a un confronto civile,
in base al quale non solo sia applicato latteggiamento di tolleranza, ma,
auspicabilmente, si giunga a un amore per la persona dellaltro, pur non
condividendone le idee e, dunque, dialogando anche in modo serrato. Del resto, non si è
usi celebrare, come una conquista, un pluralismo culturale che connoti diversamente le
persone e che dovrebbero connotare le strutture sociali?
B) Una seconda soluzione teoreticamente possibile - e purtroppo largamente attuata - è
data dalla scelta esclusiva o quasi - nei fatti almeno, se non nelle intenzioni dichiarate
- di una scuola che sia tendenzialmente neutra dal punto di vista filosofico e religioso.
Sembra chiaro che, qui, lo sbocco a cui si è quasi istintivamente orientati si designa
non come la formazione di un senso critico, il quale esige convinzioni dottrinali ed
etiche precise di partenza, ma come limporsi di una ideologia quale schema mentale
ed etico parziale eppur presentato come onniesplicativo e onninormativo: uno schema che
pretende di far rientrare nei propri confini la ricchezza di pensiero e di vita della
persona e della società.
Entro il quadro di questa soluzione, occorrerà riconoscere che laccento va
inevitabilmente sulla istruzione più che sulla educazione; e che, anzi, lo stesso lavoro
formativo del cittadino pare si debba proibire ogni proposta, e addirittura ogni ricerca,
di fondamenti giustificativi. Al più, è consentito mettere sulla soglia di una soluzione
dei supremi interrogativi esistenziali. Detto ancora una volta: in questo caso, lo Stato
rischia quasi istintivamente non solo di diventare "etico" - e per di
più senza poter addurre le ragioni della propria eticità -, ma anche magisteriale,
pedagogico, ecc..
C) Si dà anche la possibilità, e forse la congruità, di una scelta
"mista", per cui, accanto alla scuola libera e pluralistica, si istituisca una
scuola tendenzialmente "neutra".
Occorrerà, allora, far sì che le diverse strutture scolastiche siano messe nella
condizione di avere almeno pari opportunità di svolgere la propria funzione, senza
denominazioni che inevitabilmente potrebbero esprimere almeno un orientamento ideologico.
Tesi 4 - Il diritto di scelta
In forza di ciò che si è andati rilevando, si pone in tutta chiarezza il problema di identificare i veri soggetti della scelta scolastica.
A) Se è vero che la persona, nelle sue diverse declinazioni sociali, antecede il potere dello Stato, allora occorrerà riconoscere che a decidere per una scuola o per un'altra, sarà la famiglia per i propri figli ancora incapaci di scelta motivata e autonoma, gli studenti quando raggiungono labilità a un discernimento giustificato e voluto, e le diverse aggregazioni di cittadini, purché esse abbiano una qualche consistenza e siano caratterizzate da una originale ed inconfondibile mentalità filosofica e azione morale nel pieno rispetto del bene comune.
B) Questa decisione non è propria soltanto di chi già agisce allinterno di una scuola libera culturalmente qualificata, ma è diritto anche di chi vorrebbe usufruire di un servizio scolastico corrispondente alla propria impostazione ideale e morale: un servizio che si descrive come un diritto. Il diritto di scelta è proprio di tutti i cittadini che vogliono apprendere e assimilare precise nozioni, determinati valori e liberanti norme di pensiero e di vita.
C) Come è agevole registrare, il problema non concerne soltanto i cattolici, ma tutti
coloro che hanno il diritto di avere una determinata impostazione culturale da esplicitare
e da applicare: cioè, auspicabilmente, tutti i cittadini senza eccezione. In altri
termini, il problema della scuola libera non è esclusivo di chi già frequenta tale tipo
di scuola - cattolica, o altro che sia -, ma anche di chi vorrebbe o, comunque, potrebbe
parteciparvi o fondarla.
Detto diversamente: il fatto che in Italia vi siano scuole libere prevalentemente
cattoliche, non implica che la situazione debba essere cristallizzata così come si pone,
o ampliata, in base allapplicazione di una sorta di principio di proporzionalità.
Qui si sta discutendo di un nuovo impianto di legislazione e di strutturazione statuale,
che rispetti e valorizzi tutte le legittime fisionomie filosofiche ed etiche, tanto più
che il prossimo ingresso nellunione europea - augurabilmente non limitato alla
componente economica - metterebbe lItalia in rapporto con Stati indubbiamente laici,
dove viene riconosciuta e applicata con pieni, e certamente con maggiori diritti che nella
situazione italiana, la libertà della scuola.
D) La nuova articolazione statuale che si sta delineando non deve - non può -
discriminare i diversi tipi di scuola, preferendo o ammettendo soltanto, o quasi, quello a
gestione statale. Non deve e non può nemmeno limitarsi a riconoscere un diritto astratto
di esistibilità della scuola libera, di fatto penalizzando questa scuola che è elemento
promotivo di un sempre più autentico e vivace pluralismo culturale.
Se non a essere causa dellinsorgere e dello svilupparsi di tale scuola libera, lo
Stato è chiamato almeno a "rimuovere gli ostacoli" che si frappongano
allattuazione del diritto allo studio come diritto nativo di ogni cittadino: un
diritto che si esplica almeno nella fase gestionale degli istituti scolastici liberi.
E si annoti, "per transennam", che volutamente si usa il termine "scuola
libera" e non "scuola privata", dal momento che la seconda, pur essendo
privata come proprietà e in qualche misura come gestione, innegabilmente svolge un
servizio che è pubblico almeno quanto quello svolto dalla scuola a gestione statale. Si
potrebbe utilmente parlare di "scuola libera sociale".
Tesi 5 - Pluralismo culturale e autonomia della scuola
Si va da tempo parlando di una certa autonomia che dovrebbe essere riconosciuta - o, forse meglio, concessa, nei fatti - ai diversi istituti scolastici. Si tratta di precisare il senso di questa autonomia.
A) Per quanto concerne lautonomia di tipo economico, si inizia ad andare oltre le parole e le promesse, se e quando effettivamente i vari istituti scolastici hanno a disposizione i mezzi per condurre il lavoro didattico verso la propria totale finalità. Ovvio: il discorso deve applicarsi anche agli istituti scolastici culturalmente qualificati in un determinato orientamento che si ammette come legittimo. Diversamente, ci si troverebbe di fronte a un subdolo o palese tentativo di statalizzazione della scuola.
B) Pare doveroso riconoscere una qualche autonomia delle singole unità scolastiche non solo per quanto riguarda i giorni e la disposizione delle ore di lezione, ma anche per quanto concerne, almeno entro determinati limiti, i programmi e lo svolgimento dei programmi stessi.
C) Tutto ciò, però, non sembra intaccare un almeno presunto disegno di sostanziale statalizzazione, se non viene riconosciuto concretamente anche il diritto a una determinata impostazione culturale circa la metodologia - la chiave interpretativa, i criteri valutativi, se si preferisce - di svolgimento dei programmi. Insomma, ancora una volta è in gioco la libertà di proposta e di accoglienza di una cultura che non sia imposta dai poteri civili, magari secondo uno schema ideologico, come si richiamava.
D) Il rischio, a questo punto, è che si progetti e si instauri una scuola gestita dallo Stato, e disinvoltamente la si chiami "scuola libera", soltanto perché essa è nella condizione di poter pagare e organizzare - con denaro e potere statuali - un insegnamento il quale dovrebbe rimanere sul piano della laicità concepita unicamente come tendenza alla neutralità.
Un simile progetto costringerebbe, di fatto, indebitamente - a modo di sopruso - le varie originalità culturali presenti nella società ad adattarsi e a inserirsi nellunico schema scolastico che lo Stato sosterrebbe - sostiene - concretamente.
Tesi 6 - Condizioni di libertà e controlli statali
Si riflette, sempre per appunti, su questo tema, tenendo ferma lipotesi che le scuole libere e le scuole statali diano dei titoli legislativamente e sindacabilmente validi.
A) Si è già accennato alla ragione per cui si deve parlare di "scuola libera" e non di "scuola privata" nel caso di iniziative culturalmente qualificate. Si può insistere: le scuole libere, per moltissimi versi, non sono meno dipendenti dallo Stato di quanto lo siano le scuole a gestione statale. Anzi, talvolta - o frequentemente -, vari istituti scolastici liberi sono penalizzati nel senso che si pretende da essi quanto lo Stato ha stabilito per gestire le scuole proprie, mentre esattamente per queste scuole è pronto a chiudere un occhio o a chiuderne anche due.
B) Non si profilano difficoltà soverchie nellaccogliere i programmi stabiliti dalle autorità civili, almeno a grandi linee e nella misura in cui non contengano svarioni o eccentricità. Non si deve essere pregiudizialmente contrari neppure ai controlli che lo Stato può fare per valutare leffettivo svolgimento dei programmi, la serietà con cui tale svolgimento avviene, e il giudizio di merito che è espresso sugli alunni.
C) Il problema inizia a creare qualche preoccupazione allorché lo Stato pretende di sindacare anche il "metodo" con cui i programmi scolastici vengono svolti e la chiave interpretativa secondo cui ci si accosta alle materie insegnate e si stimola a un atteggiamento critico peculiare. Il rischio, in questo caso, è che il controllo statale diventi, concretamente, una sorta di censura e di imposizione immotivata.
D) Una libertà autentica deve essere riconosciuta alla libera scuola soprattutto nella
scelta dei docenti.
Pare evidente che questi debbano essere muniti di preparazione e di titoli che li rendono
adatti allo svolgimento delle loro funzioni. Inizierebbe una discriminazione nei confronti
della scuola libera, quando tali docenti dovessero essere collocati in una condizione
inferiore - anche per ruolo, per sicurezza della mansione e per lo stipendio - rispetto ai
docenti che lavorano nella scuola gestita dallo Stato.
Né sembra efficace, seria e leale una metodologia di assunzione stabilita dai pubblici
poteri, in forza della quale ci si riduca a chiedere agli aspiranti docenti una - talvolta
svogliata - formale adesione al progetto educativo di una scuola libera, se essi non
vogliono essere esclusi dal posto di lavoro.
Occorrerà, inoltre, che i docenti possano essere sospesi o allontanati
dallinsegnamento, nel caso non si attenessero al piano formativo che pure hanno
accolto, o tenessero una condotta di vita pubblica gravemente dissonante rispetto a ciò
che insegnano.
E) Per quanto banale la cosa possa apparire, anche laspetto economico deve essere preso in considerazione, perché, almeno in modo passabile, siano posti sul medesimo piano gli istituti scolastici liberi e quelli a conduzione statale. In caso contrario, chi intende fruire del servizio reso dalla scuola libera sarebbe costretto, contemporaneamente, a pagare le tasse come se frequentasse la scuola a gestione statale e, per sovrammercato, a pagarsi la libertà che intende far valere ed esprimere. Vè da temere che non ci si trovi in uno schema autenticamente democratico e pluralistico, quando la libertà, in un settore rilevante come quello della scuola, deve essere comprata.
F) Circa la forma di sovvenzionamento, ammesso che si riconosca la laicità dello Stato
nel senso precisato, occorrerà determinarsi a un sostegno che assicuri il più possibile
la libertà dei singoli istituti scolastici e non li costringa a soggiacere al rischio di
un continuo ricatto attraverso convenzioni che sanciscano una precarietà, da rinnovare
frequentemente per periodi abbastanza brevi. Bisognerà, inoltre, riflettere circa
lattuabilità e ladeguatezza di un contributo economico che si riduca a delle
detrazioni fiscali: probabilmente gli studenti più poveri sarebbero svantaggiati.
La soluzione migliore pare essere quella di una sorta di "assegno" attribuito
alla famiglia o allo studente: un assegno spendibile, ovviamente, soltanto per pagare il
servizio scolastico ricevuto; un servizio che sia, tra diversi proposti, scelto in base
allimpostazione culturale che ci si prefigge.
G) Va da sé che una simile impostazione costringe i diversi istituti scolastici - e gli stessi docenti - a essere competitivi tra loro sotto diversi aspetti. Ma non pare che un miglioramento della scuola sia una sciagura nella temperie in cui si versa oggi. Oltre tutto, forse, si risparmierebbe anche del denaro, sostenendo in modo realistico le scuole libere.
H) Una osservazione a margine, ma non troppo. Non pare onesto porre, in Italia, oggi, le scuole libere nella condizione di dover soccombere, per permetterle poi, magari in misura inadeguata rispetto alla domanda.
Tesi 7 - Impegno della comunità cristiana
La libertà della scuola, che pure è caratteristica della laicità che riconosce i diversi orientamenti culturali, concerne anche la scuola cattolica. In proposito si dovrebbe aprire un ampio - ma qui impossibile o quanto meno importuno - discorso. Ci si limita, quasi, a segnalare dei titoli di argomenti.
A) Fondamentale è riconoscere ed attuare un rapporto organico, e non estrinseco, non
di giustapposizione o addirittura di pregiudiziale contrapposizione tra fede e cultura.
Si sa che Paolo VI ha identificato esattamente nella dissociazione tra fede e cultura uno
dei mali più gravi della nostra civiltà. Giovanni Paolo II, poi, ha esplicitato la
convinzione secondo la quale una fede non è matura, se non assume, non purifica e non
reca a compimento una cultura; così come una cultura è esposta al pericolo di perdere la
stessa propria vivacità umana, se si chiude a priori alla possibile incursione di una
trascendenza "incarnata".
B) Porre la fede come fondamento del proprio pensare e del proprio vivere, non significa affatto rinunciare alluso di una sana ragione. Allopposto: lintelligenza emerge proprio dentro l'accoglienza della Rivelazione attraverso la fede, e si esprime come il tentativo di comprendere il reale secondo le diverse metodologie corrispondenti alle diverse materie e alle diverse finalità con cui si indaga. A cominciare dal metodo filosofico.
C) Insorge, così, il compito enorme di formare dei docenti i quali sappiano proporre agli alunni le loro convinzioni di credenti e di pensatori, e portino gli alunni stessi a essere capaci di una documentazione quanto è possibile completa e di una interpretazione quanto è possibile oggettiva. Se la scuola cattolica può ricevere anche alunni in ricerca o in difficoltà di fede, essa deve essere risoluta nellesigere dai docenti una approfondita e armonica conoscenza della Rivelazione e lesigenza di tradurre il più possibile la Rivelazione stessa in comprensione e di docenza umane secondo le diverse metodologie richieste. Ovviamente sempre esercitando una critica serena e severa nei confronti degli strumenti concettuali usati, e sempre, ultimamente, sostando alla soglia del Mistero, quando tale soglia venisse raggiunta.
D) La scuola cattolica si struttura, a partire da queste prospettive, come una "comunità educante", dove la centralità degli alunni e il servizio dei docenti siano dimensioni sostenute e stimolate in primo piano dalle famiglie e, più generalmente, dalle diverse istanze di verità e di libertà presenti nel contesto sociale.
E) è un truismo affermare che lintera comunità cristiana deve farsi carico di
difendere e di promuovere la scuola cattolica.
Una tale osservazione, di solito, viene recepita come riferentesi alle scuole cattoliche
già esistenti e soprattutto a quelle che stanno languendo, perché non si estinguano. In
realtà, il compito della comunità cristiana circa la scuola cattolica é ben più vasto
e audace: si rivolge ai pubblici poteri perché tengano conto degli spunti di originalità
presenti nella società e si determinino, finalmente, a riconoscere una vera dignità al
pluralismo culturale e al confronto che deve instaurarsi tra i diversi soggetti -
personali e comunitari - di mentalità e di comportamento.
Per quanto singolare possa apparire losservazione, i cattolici hanno il diritto e il
dovere di suscitare scuole libere ispirate al Vangelo, e anche, secondo la varietà delle
preferenza, delle sensibilità e delle doti, hanno almeno il diritto di essere presenti
nelle scuole gestite dallo Stato per portarvi una animazione nuova e autenticamente umana.
Essi, infatti, non sono meno cittadini perché sono credenti.