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RIVOLUZIONE GNOSTICA. IL CASO PURITANO
di Eric Voegelin

 

1. L'analisi delle esperienze gnostiche ci ha portati all'individuazione di un concetto della modernità che sembra in contrasto con il significato convenzionale del termine. Convenzionalmente, la storia occidentale viene divisa in periodi separati tra loro da una cesura formale, collocata intorno al 1500, e il periodo che si apre a partire da tale data è considerato la fase moderna della società occidentale.
Se però la modernità viene definita come sviluppo dello gnosticismo, che ha inizio forse già nel secolo nono, essa diventa, in seno alla società occidentale, un processo che penetra in profondità nel suo periodo medievale. Quindi, l'idea di una successione di fasi dovrebbe essere sostituita da quella di una continua evoluzione nel corso della quale lo gnosticismo moderno si afferma vittoriosamente fino a esercitare il predominio sopra una tradizione di civiltà che affonda le sue radici nelle scoperte mediterranee della verità antropologica e soteriologica. Questa nuova concezione riflette, di fatto, lo stato attuale della storiografia empirica e, quindi, non abbisogna di ulteriore giustificazione.
Nondimeno, resta aperta la questione se il periodizzamento convenzionale abbia o meno un'incidenza sul problema dello gnosticismo: sarebbe singolare infatti che un simbolo che è riuscito a imporsi così largamente nell'autointerpretazione della società occidentale non avesse alcuna connessione con il problema fondamentale della rappresentanza della verità.

In realtà, tale connessione esiste. La concezione di un'età moderna che succede al Medioevo è anch'essa uno dei simboli creati dal movimento gnostico. Essa appartiene alla categoria dei simboli tipo Terzo Regno.
Fin da quando, nel secolo quindicesimo, Biondo trattò il millennio compreso fra il 410 (anno della caduta di Roma) e il 1410 come un'età conchiusa del passato, il simbolo di un'età nuova, moderna è stato usato dalle successive ondate di intellettuali umanisti, protestanti e illuministi per esprimere la loro consapevolezza di essere i rappresentanti di una nuova verità.
Tuttavia, proprio perché il mondo, sotto la guida degli gnostici, viene rinnovato con una certa frequenza, se si accettano per buone le loro rivendicazioni, è impossibile arrivare a un periodizzamento criticamente giustificato. Per la logica immanente al proprio simbolismo teologico, ciascuna delle ondate gnostiche ha ragioni altrettanto buone che ogni altra di considerarsi la grande ondata del futuro. Non c'è alcuna ragione per cui un periodo moderno debba cominciare con l'Umanesimo, invece che con la Riforma o con l'Illuminismo, invece che con il Marxismo.

Quindi, il problema non può essere risolto a livello del simbolismo gnostico. Al fine di trovare un motivo legittimo di periodizzamento, noi dobbiamo scendere al livello della rappresentanza esistenziale: infatti, un'epoca risulterebbe pienamente individuata se, nella lotta per la rappresentanza esistenziale, risultasse caratterizzata da una decisiva vittoria rivoluzionaria dello gnosticismo sulle forze della tradizione occidentale.
Se il problema è posto in questi termini, acquista un senso il periodizzamento convenzionale. Mentre a nessuno dei singoli movimenti si deve accordare la preferenza per il contenuto della sua verità, un'epoca ben precisa nella storia occidentale è contrassegnata dalla Riforma, intesa come invasione, vittoriosa, delle istituzioni occidentali ad opera dei movimenti gnostici. I movimenti che prima di allora erano rimasti in una posizione socialmente marginale - tollerati, perseguitati o clandestini - eruppero nella Riforma con straordinaria forza lungo un ampio fronte, con il risultato di spezzare la Chiesa universale e di avviarsi alla graduale conquista delle istituzioni politiche negli stati nazionali.

L'eruzione rivoluzionaria dei movimenti gnostici influenzò la rappresentanza esistenziale in seno alla società occidentale. Si tratta di un evento di così vaste dimensioni che non è possibile, in questa sede, neppure una rapidissima rassegna delle sue caratteristiche generali. Per comprendere almeno alcuni dei più importanti tratti della rivoluzione gnostica, sarà conveniente concentrare l'analisi su una particolare area nazionale e su una particolare fase della rivoluzione stessa. Ai fini di una rapida indagine, sarà particolarmente vantaggioso esaminare alcuni aspetti dell'influenza puritana sull'ordinamento pubblico inglese. Del resto, questo tema è in certo modo obbligatorio, per il fatto che al secolo sedicesimo inglese toccò la rara fortuna di avere un brillante osservatore del movimento gnostico nella persona del "saggio Hooker". Nella prefazione alla sua Ecclesiastical Polity, Hooker fornì un acuto studio tipologico del puritano e anche del meccanismo psicologico per mezzo del quale operano i movimenti di massa gnostici. Quelle pagine sono una miniera di incalcolabile valore per lo studioso della rivoluzione gnostica: cominceremo perciò nella maniera più appropriata la nostra analisi, fornendo una sintesi del ritratto del puritano che Hooker ci ha tramandato.

 

2. Per poter dare vita e spinta a un movimento, bisogna prima di tutto che ci sia qualcuno che si batte per una "causa". Dal contesto di Hooker risulta che il termine "causa" era di uso recente in politica e che, probabilmente, furono i puritani a inventare questa formidabile arma dei rivoluzionar! gnostici.

Al fine di far avanzare la sua "causa", l'uomo che la propugna deve denunciare severamente, "in presenza della moltitudine", i mali sociali e in particolare la condotta delle classi superiori. Una frequente ripetizione della denuncia farà maturare negli ascoltatori la convinzione che gli accusatori sono uomini di singolare integrità, zelo e santità, perché solo uomini straordinariamente buoni possono sentirsi così profondamente offesi dal male.
Il secondo passo consisterà nell'aizzare il popolo contro il governo in carica: ciò si potrà psicologicamente conseguire attribuendo all'azione o all'inazione del governo la colpa di tutti i mali e di tutta la corruzione, che di fatto sempre esistono nel mondo a causa delle debolezze dell'umana natura. Con questa imputazione del male a una particolare istituzione, gli accusatori mostrano la loro sapienza alla moltitudine di uomini che da sé soli non avrebbero mai pensato all'esistenza di simile connessione; nello stesso tempo, gli accusatori indicano il punto contro il quale bisogna sterrare l'attacco se si vuol rimuovere il male da questo mondo.
Conclusa questa fase preparatoria, è il momento di caldeggiare l'instaurazione di una nuova forma di governo quale "rimedio sovrano contro tutti i mali". Perché la gente che è "posseduta dal disgusto e dallo scontento per il presente stato di cose" è abbastanza pazza da "immaginare che qualsiasi cosa (la virtù che sente tanto esaltata) possa esserle di aiuto; e tanto più, quanto meno si è data da fare".

Se un movimento, come quello puritano, si fonda sull'autorità di una fonte letteraria, i leaders dovranno allora modellare "le nozioni e i concetti delle menti degli uomini in maniera tale" che i seguaci siano spinti ad associare automaticamente passi e termini scritturali con la loro dottrina, per quanto infondata possa esserne l'associazione, e che, con pari "automatismo", siano spinti a chiudere gli occhi di fronte al contenuto della Scrittura incompatibile con la loro dottrina.
A questo punto interviene il passo decisivo nel consolidamento di un atteggiamento gnostico, quello cioè per cui "si persuadono uomini creduli, e con una spiccata propensione per siffatti piacevoli errori, che è una speciale illuminazione dello Spirito Santo a far sì che essi scoprano nelle parole le cose che gli altri, per quanto leggano, non riescono a scoprire". Essi, quindi, si considerano degli eletti e questa esperienza porta a una "netta separazione tra costoro e il resto dell'umanità", con l'ovvia conseguenza che il genere umano sarà diviso nelle due categorie dei "confratelli" e della "massa".

Quando l'esperienza gnostica è consolidata, la materia prima sociale è pronta per la rappresentanza esistenziale ad opera di un leader. Infatti, continua Hooker, le persone di questo genere preferiscono la propria compagnia a quella del resto del mondo, accettano volentieri consigli e guida dagli indottrinatori, trascurano i propri affari, consacrano tutto il proprio tempo al servizio della causa e forniscono generoso aiuto materiale ai capi del movimento. Una funzione particolarmente importante, nella formazione di tali società, svolgono le donne, perché dotate di minor senso critico, più aperte ai richiami emozionali, tatticamente ben piazzate per influenzare mariti, figli, persone di servizio e amici, più inclini degli uomini a fornire informazioni sugli stati d'animo prevalenti nella cerchia delle loro conoscenze, e più generose nel fornire aiuti finanziari.

Una volta che si sia organizzato un ambiente sociale di questo tipo, diventa difficile, se non impossibile, disgregarlo per via di persuasione. Non appena un uomo di opinione diversa apre bocca per far opera di persuasione, essi si tappano le orecchie, non prendono in considerazione le sue ragioni e la risposta si riduce invariabilmente alla ripetizione delle parole di Giovanni: "Noi siamo dalla parte di Dio e chi conosce Dio presta a noi ascolto; voi invece siete dalla parte del mondo e parlate per la gloria e la vanità di questo mondo e il mondo, al quale appartenete, vi presta ascolto". Essi sono impermeabili a ogni argomentazione e hanno sempre una risposta pronta. Se gli si dice che non sono in grado di giudicare su certe questioni, essi rispondono invariabilmente: "Dio preferisce gli uomini semplici". Se gli si dimostra, con argomenti convincenti, che dicono cose prive di senso, essi replicano invariabilmente: "Anche l'apostolo di Cristo era considerato matto". Se li si invita con dolcezza alla disciplina, essi reagiscono moltiplicando le accuse contro "la crudeltà di uomini assetati di sangue" e dichiarandosi ridotti al ruolo dell'"innocenza perseguitata per la verità". Insomma: si tratta di un atteggiamento psicologicamente corazzato, sul quale nessuna argomentazione può far breccia (RICHARD HOOKER, Works, ed. Keble, 7a ed., Oxford 1888. Ne abbiamo qui riassunto le pagine I, 145-155).

 

3. La descrizione che Hooker ci ha lasciato del puritano è così chiara ed appropriata anche ai tipi posteriori di rivoluzionari gnostici, che non è neppure il caso di insistere in proposito. Tuttavia, questa analisi mette in luce un aspetto sul quale è necessario soffermarsi. Il ritratto del puritano è scaturito dalla contrapposizione fra gnosticismo da una parte, e tradizione classica e cristiana, rappresentata appunto da Hooker, dall'altra. Quel ritratto è stato tracciato da un pensatore di considerevoli qualità intellettuali ed erudizione. L'argomentazione è concentrata su una questione che è stata invece purtroppo trascurata in più recenti trattazioni sul puritanesimo: la questione cioè delle deficienze intellettuali della posizione gnostica, tali da distruggere ogni discorso razionale, addirittura la funzione sociale della persuasione. Hooker si rese conto che la posizione dei puritani non si fondava sulla Scrittura, ma era una "causa" di origine assolutamente diversa. Essi fanno uso della Scrittura quando i singoli passi, enucleati dal contesto, servono di appoggio alla causa, ma per il resto tranquillamente ignorano la Scrittura, come pure le tradizioni e i criteri di interpretazione che sono stati sviluppati da quindici secoli di cristianesimo. Nelle primitive fasi della rivoluzione gnostica, questo mascheramento era necessario: un movimento apertamente anticristiano non avrebbe potuto avere tanto successo sul piano sociale, ne lo gnosticismo si sarebbe allontanato in tale misura dal cristianesimo, se i suoi propugnatori avessero avuto chiara consapevolezza della direzione nella quale si stavano muovendo. Tuttavia, la distanza era già abbastanza ampia da rendere difficile il mascheramento di fronte a una seria critica. Al fine di sottrarsi a questa difficoltà, furono messi a punto due ritrovati tecnici che sono rimasti, anche ai nostri giorni, gli strumenti essenziali della rivoluzione gnostica.

Al fine di rendere efficace il mascheramento, si dovettero standardizzare sia le scelte antologiche dalla Scrittura, sia la loro interpretazione. Concedere libertà di interpretazione della Scrittura secondo le preferenze e il livello educativo di ciascuno, avrebbe portato alle caotiche condizioni che caratterizzarono i primi anni della Riforma; inoltre, se si fosse ammesso che un'interpretazione valeva l'altra, non ci sarebbe stato motivo di insorgere contro la tradizione della Chiesa che, dopo tutto, si fondava anch'essa su un'interpretazione della sacra Scrittura. Per uscire da questo dilemma fra caos e tradizione, fu messo a punto il primo di quei ritrovati tecnici cui più sopra accennavamo, cioè la formulazione sistematica della nuova dottrina in termini scritturali, come fece Calvino nelle sue Istituzioni. Un'opera di questo genere poteva servire al duplice scopo di guida alla retta interpretazione della Scrittura e di formulazione autentica della verità, rendendo inutile il ricorso alla letteratura precedente. Per indicare questo genere di letteratura gnostica è necessario un termine tecnico; ma, poiché lo studio dei fenomeni gnostici è troppo recente, tale termine non è stato ancora coniato; perciò mi servirò, in questa sede, del termine arabo di corano. L'opera di Calvino può quindi considerarsi il primo corano gnostico deliberatamente elaborato. Un uomo che scrive un corano del genere, un uomo che può rompere con la tradizione intellettuale del genere umano, perché convinto che una nuova verità e un nuovo mondo cominciano con lui, deve trovarsi in un particolare stato psicopatologico. Hooker, che aveva un'altissima coscienza della tradizione, dimostrò una eccezionale sensibilità per questo genere di distorsione mentale. La sua cautamente controllata caratterizzazione di Calvino comincia con questa formula anodina: "La sua educazione fu incentrata nello studio del diritto"; continua poi, non senza malizia: "Egli acquisì la conoscenza del divino non tanto ascoltando o leggendo, quanto insegnando agli altri"; e si conclude con la drastica sentenza: "Infatti, mentre molti gli erano debitori della conoscenza acquisita in questo campo, egli invece non si riconosceva debitore a nessuno, fuorché a Dio, autore della santissima sorgente, il Libro della Vita, e della meravigliosa abilità dell'intelligenza" (Ibid., pp. 127 ss.).

L'opera dì Calvino fu la prima, ma non l'ultima, nel suo genere; ma il genere aveva una preistoria. Nelle primitive fasi del settarismo gnostico occidentale, ebbero funzione di corano le opere di Scoto-Eriugena e di Dionigi Areopagita; nel movimento gioachimitico ebbero la stessa funzione le opere di Gioacchino da Fiore, sotto il titolo di Evangelium aeternum. Nella successiva storia dell'Occidente, nel periodo della secolarizzazione, ogni nuova ondata del movimento diede vita a nuovi corani. Nel secolo diciottesimo, Diderot e D'Alembert attribuirono tale funzione coranica all’Encyclopédie française, esposizione globale di tutta la conoscenza umana degna di sopravvivere. Essi affermarono che nessuno avrebbe dovuto usare opere di data anteriore all’Encyclopédie e che tutti i successivi sviluppi delle scienze avrebbero dovuto ridursi a semplici supplementi di quel grande panorama del sapere (D'ALEMBERT, Discours prèliminaire de l'Encyclopédie, ed. F. Picavet, Parigi 1894. pp. 139-140). Nel secolo diciannovesimo, Augusto Comte creò, con la sua opera, il corano per il futuro positivistico del genere umano, ma generosamente vi aggiunse la lista, da lui compilata, di un centinaio di grandi libri degni di sopravvivere - idea, questa, che ancor oggi affascina certe persone. Infine, nel movimento comunista, le opere di Carlo Marx sono diventate il corano del credente, integrate dalla letteratura patristica del leninismo-stalinismo.

Il secondo ritrovato tecnico per prevenire critiche imbarazzanti è un necessario complemento del primo. Il corano gnostico è la codificazione della verità e, in quanto tale, il nutrimento spirituale e intellettuale del credente. Dall'esperienza contemporanea dei movimenti totalitari risulta che esso è di sicura efficacia, perché può contare sulla volontaria censura dei militanti: il membro fedele di un movimento non si lascia tentare dalla letteratura che possa, in qualche modo, fornire argomenti contro le credenze che appassionatamente coltiva o si mostri poco rispettosa di esse. Tuttavia, il numero dei fedeli può restare piccolo e l'espansione e il successo politico del movimento possono essere gravemente compromessi, se la verità del movimento gnostico è permanentemente esposta agli attacchi, criticamente fondati, di diversi ambienti. Questo handicap può essere ridotto, e praticamente eliminato, interdicendo l'uso degli strumenti di critica: chi usa tali strumenti vietati viene socialmente boicottato e, se possibile, esposto alla calunnia politica. L'interdizione degli strumenti dì critica fu, in realtà, praticata con estrema efficacia dai movimenti gnostici tutte le volte che conseguirono un certo grado di successo politico. In pratica, nella scia della Riforma, l'interdizione colpì la filosofia classica e la teologia scolastica; e poiché esse costituivano la parte maggiore e certamente decisiva della cultura intellettuale occidentale, questa cultura andò in rovina nella misura in cui l'interdizione risultò efficace. Di fatto, la distruzione è stata così grave che la società occidentale non si è più completamente ripresa dal collasso. Un incidente tratto dalla vita di Hooker può illustrare la situazione. L'anonima Christian Letter del 1599, indirizzata a Hooker, conteneva questa risentita lamentela: "Tutti i vostri libri contengono molte verità e acute osservazioni, trattate con abilità; tuttavia in ogni vostra argomentazione si avverte in genere quasi dappertutto la presenza di Aristotele, il patriarca dei filosofi (con vari altri scrittori umanisti) e degli scolastici più intransigenti: la ragione viene posta al di sopra della sacra Scrittura e la lettura al di sopra della preghiera" (Hooker, cit. p. 373). Simili lamentele sulla violazione dell'interdetto non erano innocue espressioni di opinione. Nel 1585, nel caso Travers, Hooker era stato oggetto di analoghe accuse, che, con tono di esplicita denuncia, proclamavano che tali "assurdità... non si sono udite in pubblico nel nostro paese dall'epoca della regina Maria". Nella sua risposta all'arcivescovo di Canterbury, Hooker dovette adottare una linea difensiva ed esprimere la speranza di "non aver commesso nulla di illegale" introducendo nei suoi sermoni alcune distinzioni e digressioni teoriche. (Ibid., III, p. 585 e ss.)

Poiché lo gnosticismo trae vita dagli errori teorici che abbiamo esaminato nel precedente capitolo, l'interdetto contro la teoria in senso classico è la conditio sine qua non della sua espansione sociale e della sua sopravvivenza. Ciò comporta gravi conseguenze per le possibilità del pubblico dibattito nelle società in cui i movimenti gnostici hanno conseguito abbastanza influenza sociale da controllare i mezzi di comunicazione, le istituzioni educative, ecc. Nella misura in cui tale controllo è efficace, il dibattito teorico intorno a questioni che riguardano la verità dell'umana esistenza diventa impossibile in pubblico, perché l'uso dell'argomentazione teorica è proibito. Le libertà costituzionali di parola e di stampa possono essere benissimo mantenute, il dibattito teorico può benissimo fiorire in circoli ristretti e può benissimo essere contenuto nelle pubblicazioni, praticamente private, di un esiguo numero di studiosi, tuttavia il dibattito pubblico, con rilevanza politica, si ridurrà in sostanza a quella specie di gioco di dadi falsati quale è diventato nelle società progressiste contemporanee, per non parlare della qualità del dibattito nei paesi totalitari. Il dibattito teorico può essere formalmente protetto da garanzie costituzionali, ma può di fatto trovare attuazione solo se esiste la disponibilità a usare e ad accettare l'argomentazione teorica. Quando tale disponibilità non esiste, una società non può contare, per il proprio funzionamento, sulla discussione e sulla persuasione laddove è in gioco la verità dell'esistenza umana: si dovrà ricorrere all'impiego di altri mezzi.

Questa era la situazione di Hooker. Il dibattito con i suoi avversari puritani era impossibile, perché essi non accettavano di discutere. Le sue idee nel corso di questa disgraziata vicenda possiamo conoscerle dagli appunti che buttò giù, poco prima di morire, ai margini di una copia della già citata Christian Letter. Fra le citazioni di vari autori importanti, c'è questo passo di Averroè:
"È vietato qualsiasi discorso (sermo) sulla conoscenza che Dio, nella sua gloria, ha di se stesso e del mondo. A maggior ragione, è vietato mettere per scritto simili argomenti. Infatti, la comprensione delle persone comuni non può scendere tanto in profondità; e quando diventa oggetto delle loro discussioni, la divinità ne risulta distrutta. Quindi, è ad esse proibita la discussione di questa conoscenza; del resto, è sufficiente, per il loro bene, che esse si limitino a capire quel poco di cui la loro intelligenza è capace. La legge [cioè il Corano], il cui essenziale proposito era di insegnare alla gente comune, non fornisce una intelligìbile informazione su questo argomento, perché è inaccessibile all'uomo; del resto, noi non possediamo gli strumenti che ci consentano di diventare simili a Dio e di ottenere una intelligibile informazione su di lui. È scritto: ‘La sua mano sinistra fondò la terra, ma la sua mano destra misurò il cielo’. Quindi, questo problema è riservato al saggio che Dio ha consacrato alla verità".( Per il testo latino del passo si veda Ibid., I, p. 119)

In questo passo Averroè indicava la soluzione data nella civiltà islamica al problema del dibattito teorico. Il nucleo della verità è l'esperienza della trascendenza nel senso antropologico e soteriologico; la sua esplicazione teorica è comunicabile solo tra "saggi". Il "profano" deve accettare, limitandosi alla stretta osservanza di essa, la verità qual è simboleggiata nella Scrittura; egli deve astenersi da ogni tentativo dì teorizzazione, per il quale è disadatto sia dal punto di vista dell'esperienza che della capacità intellettiva; altrimenti approderà solo alla distruzione di Dio. Se si pensa all'"assassinio di Dio" consumato nella società occidentale quando i "profani" progressisti cominciarono a occuparsi del significato dell'esistenza umana nella società e nella storia, non si può dire che Averroè avesse tutti i torti.

Tuttavia, la struttura di una civiltà non è manipolabile a piacimento dai suoi mèmbri. La soluzione islamica, che confinava il dibattito filosofico in seno a circoli esoterici di cui la gente comune ignorava persino l'esistenza, non era applicabile alla situazione di Hooker. La storia occidentale aveva avuto un corso diverso e il dibattito fra i "profani" era in pieno svolgimento. Quindi, Hooker venne a trovarsi di fronte alla seconda possibilità, quella cioè per cui un dibattito, che non poteva terminare con un accordo per via di persuasione, si sarebbe dovuto conchiudere per via di intervento governativo. I suoi avversari puritani non partecipavano, in realtà, a un dibattito teorico: erano rivoluzionari gnostici, impegnati in una lotta per la rappresentanza esistenziale che si sarebbe conclusa con il rovesciamento dell'ordine sociale, con il controllo delle università da parte dei puritani e con la sostituzione del diritto biblico al diritto consuetudinario. Quindi, le sue considerazioni a proposito di questa seconda soluzione sono del tutto pertinenti. Hooker si rese perfettamente conto di una verità che oggi è, per lo più, misconosciuta, e cioè che la propaganda gnostica è azione politica e non ricerca della verità in senso teorico. Con la sua infallibile sensibilità egli individuò anche la componente nichilistica dello gnosticismo nella convinzione dei puritani che la loro disciplina, essendo "il comando assoluto di Dio onnipotente, dev'essere imposta al mondo anche se il mondo, perché l'accetti, deve essere scardinato dalle sue stesse fondamenta; e in ciò, appunto, sta il massimo pericolo" (Ibid., p. 182). Nella cultura politica del suo tempo risultava già chiaro, senza possibilità di dubbio, che è il governo e non i cittadini, a rappresentare l'ordine di una società. "Quando il pubblico consenso della collettività ha stabilito alcunché, ogni giudizio dei singoli ha carattere strettamente privato, quali che siano le loro pretese di parlare a nome pubblico. Non c'è infatti possibilità di pace e di stabilità se la voce dell'intera società o corpo politico non predomina su ogni voce privata che si manifesti nel suo seno" (Ibid., p. 171). Ciò significa, in concreto, che un governo ha il dovere di preservare l'ordine, come pure la verità che esso rappresenta; che, quando sulla scena compare un leader gnostico a proclamare che Dio o il progresso, la razza o la dialettica, lo ha eletto capo esistenziale, un governo non deve abdicare tradendo la fiducia in esso riposta. Questa regola non ammette eccezioni, neanche per governi che operano nel quadro di una costituzione democratica e di una carta dei diritti. Il giudice Jackson, manifestando il proprio dissenso nel corso del processo Terminiello, lo esprimeva con questa formula lapidaria: la Carta dei Diritti non è un patto suicida. Cioè: non si può pretendere che un governo democratico si faccia corresponsabile del proprio rovesciamento, consentendo ai movimenti gnostici di diffondersi e prosperare al coperto di una confusa interpretazione dei diritti civili; e se, per inavvertenza, un movimento del genere ha potuto crescere al punto da rendere verosimile il pericolo di una sua conquista della rappresentanza esistenziale con la famosa "legalità" delle elezioni popolari, non si può pretendere che un governo democratico si inchini alla "volontà del popolo": esso deve rimuovere il pericolo con l'impiego della forza e, se necessario, violare la lettera della costituzione per salvaguardarne lo spirito.

Fin qui abbiamo parlato di Hooker, ma ora dobbiamo prestare ascolto alla parte avversaria. Per prima cosa, bisogna prendere in considerazione la particolare esperienza dei rivoluzionari gnostici. A smentire l'abituale tendenza a considerare il puritanesimo come un movimento cristiano sta il fatto che non c'è alcun passo del nuovo Testamento che incoraggi il ricorso all'azione politica rivoluzionaria; e neppure l'Apocalisse di san Giovanni, benché arda dell'attesa escatologica del regno che libererà i santi dall'oppressione di questo mondo, affida a un esercito puritano la realizzazione di questo regno. Tuttavia, secondo il rivoluzionario gnostico, l'avvento del regno esige la sua cooperazione militare. Nel capo 20 dell'Apocalisse, un angelo scende dal cielo e sprofonda Satana nell'abisso senza fondo per un migliaio d'anni; nella rivoluzione puritana, gli gnostici rivendicano a se stessi questa funzione angelica. Pochi passi di un pamphlet del 1641, intitolato A Glimpse of Sion's Glory, ci forniscono un'idea di questo particolare aspetto della rivoluzione gnostica (A Glimpse of Sion's Glory, 1641, attribuito a Hanserd Knollys, in Puritanism and Liberty, ed. A.S.P. Woodhouse, Londra 1938, pp. 233-241). L'autore del pamphlet è animato da attese escatologiche.
"La caduta di Babilonia è imminente; la nuova Gerusalemme 2 prossima.
"La caduta di Babilonia è l'innalzamento di Sion.

"La distruzione di Babilonia è la salvezza di Gerusalemme.
"Dio è la causa prima di questo imminente felice mutamento, ma anche gli uomini devono rendersene meritevoli, cooperando ad accelerare l'evento.
"Benedetto colui che schiaccia i figli di Babilonia contro le rocce. Benedetto colui che dà mano alla distruzione di Babilonia".

E quali sono gli uomini che accelerano l'avvento di Sion schiacciando i figli di Babilonia? Sono "la gente comune". "Dio intende utilizzare la gente comune nella grande opera di instaurazione del regno di suo Figlio". La gente comune ha un ruolo privilegiato nell'accelerare l'avvento del regno di Cristo. Poiché la voce di Cristo "viene primamente dalla moltitudine, dalla gente comune. La voce di lui è sentita anzitutto da quest'ultima, prima che da ogni altro. Dio si serve della gente comune e della moltitudine per proclamare che il Signore Iddio onnipotente regna". Cristo non si rivolse alle classi superiori, ma ai poveri. I nobili, i sapienti, i ricchi, e specialmente i prelati, sono posseduti dallo spirito dell'Anticristo; perciò è naturale che la voce di Cristo "si faccia sentire a quelli che costituiscono la moltitudine, a quelli che sono disprezzati", alla "moltitudine del volgo". Sempre, "il popolo di Dio è stato, ed è, un popolo disprezzato". I santi sono detti faziosi, scismatici e puritani, sediziosi ed eversori dello stato. Da questo marchio, tuttavia, essi saranno liberati e i governanti si persuaderanno che "gli abitanti di Gerusalemme, cioè i santi di Dio riuniti in una Chiesa, sono i migliori uomini della comunità". E questa persuasione dei governanti sarà rafforzata da drastici cambiamenti nelle relazioni sociali. L'autore cita Is. 49,23: "I re ti manterranno e le regine saranno le tue nutrici; con la faccia a terra ti si prostreranno, lambiranno la polvere dei tuoi piedi". I santi, d'altra parte, saranno glorificati nel nuovo regno; essi "saranno tutti ricoperti di vesti bianche, come meritano i santi".

Ma, oltre alla riforma dell'abbigliamento dei santi e all'inchino fino a terra dei re, ci saranno radicali mutamenti nelle istituzioni giuridiche ed economiche. Per quanto riguarda le istituzioni giuridiche, la bellezza e la gloria del regno renderanno quasi sicuramente inutile la coercizione legale. "È dubbio che ci possa essere bisogno di leggi, almeno del tipo di quelle oggi vigenti... Si avrà allora la presenza di Cristo ed essa sostituirà ogni genere di legge". Per quanto riguarda le condizioni economiche, ci sarà abbondanza e prosperità. Il mondo intero è acquistato da Cristo per i santi e sarà liberato. "Il mondo intero", dice l'Apostolo, "è tutto vostro"; e, con estremo candore, l'autore spiega le ragioni di questa sua convinzione: "Voi vedete che ora i santi hanno ben poco in questo mondo; essi ora sono i più poveri e i più diseredati di tutti; ma allora... il mondo sarà loro... Non solo il cielo sarà il vostro regno, ma anche questo mondo nella sua interezza".

Tutto ciò non ha nulla a che fare con il cristianesimo. La mascheratura biblica non può annullare il fatto di ridurre Dio all'uomo. Il santo è uno gnostico che non lascia la trasfigurazione del mondo alla grazia di Dio al di là della storia, ma che vuol compiere lui l'opera di Dio stesso, qui e ora, nella storia. Certo, l'autore del pamphlet sa che nessuna forza umana normale può realizzare il regno, ma che gli sforzi umani sono solo un intervento in appoggio all'azione di Dio. Iddio onnipotente verrà in aiuto dei santi e "compirà queste cose con quel potere grazie al quale può tenere subordinate a sé tutte le cose. Le montagne saranno spianate ed egli procederà superando tutti gli ostacoli e tutte le difficoltà. Nulla potrà fermarlo". Ma, in questo Dio che procede superando tutti gli ostacoli noi riconosciamo la dialettica della storia che procede superando tesi e antitesi, finché fa approdare i suoi credenti nella terra promessa della sintesi comunista.

Il secondo punto da prendere in considerazione è quello relativo al programma dei rivoluzionari per l'organizzazione della società dopo che i loro sforzi avranno radicalmente rinnovato il vecchio mondo. In genere, gli gnostici non sono molto espliciti a questo proposito. Si presuppone che questo mondo nuovo e trasfigurato debba essere libero dai mali del vecchio mondo: normalmente, quindi, la descrizione si dilunga in una serie di negazioni delle ingiustizie presenti. La "fugace visione" (glimpse) della gloria di Sion è una categoria gnostica, piuttosto che il titolo di un occasionale pamphlet. Questa " fugace visione" ci mostra di solito uno stato di prosperità e di abbondanza, con riduzione al minimo del lavoro e abolizione della coercizione governativa; e, in aggiunta, lo spettacolo, attraente per i più, dei maltrattamenti infiltri agli ex membri delle classi superiori. Di solito, la descrizione non va al di là di queste "fugaci visioni"; e i migliori pensatori fra i rivoluzionari gnostici, come ad esempio Marx ed Engels, giustificano la loro reticenza affermando che non si può dire molto a proposito delle istituzioni di una società trasfigurata, perché non abbiamo attualmente esperienza alcuna di quel che possano essere le relazioni sociali nelle condizioni di una natura umana trasfigurata. Per fortuna ci è stato tramandato un documento puritano relativo all'organizzazione del nuovo mondo, sotto forma di Quesiti (Queries) rivolti da un gruppo di puritani fanatici, i cosiddetti uomini del quinto impero (Fifth Monarchy men), a Lord Fairfax.(10)

Al tempo dei Quesiti, nel 1649, la rivoluzione era già in atto e aveva raggiunto press'a poco lo stesso stadio che la rivoluzione russa aveva raggiunto quando Lenin scrisse il suo lavoro sui, "nuovi compiti". Uno dei quesiti è formulato così: "Qual è dunque il compito attuale dei santi e del popolo di Dio?". La risposta indica che i santi devono associarsi in società e corporazioni ecclesiali, alla maniera congregazionalista; quando siffatte congregazioni sono cresciute abbastanza, devono unirsi in assemblee generali o parlamenti ecclesiali, alla maniera presbiteriana; "e allora Dio conferirà ad essi autorità e potere sopra le nazioni e i regni del mondo". Ma, poiché questo sarà un dominio spirituale, non è possibile realizzarlo "per mezzo dell'autorità e del potere umano". Sarà lo Spirito stesso a chiamare a raccolta il popolo "e a riunirlo in parecchie famiglie, Chiese e corporazioni minori"; e solo quando questi nuclei spirituali si saranno sufficientemente moltiplicati, essi "governeranno il mondo" mediante assemblee di "funzionari di Cristo e rappresentanti delle Chiese da essi stessi scelti e delegati". La prospettiva che queste affermazioni aprono è relativamente pacifica e serena; il peggio che possa capitare sembra ridursi alla delusione derivante dalla constatazione che lo Spirito tarda troppo ad animare il nuovo mondo.

Ma, in realtà, la prospettiva non è pacifica quanto sembra. I santi presentano i loro Quesiti al Lord generale dell'esercito e al Consiglio generale di guerra. In queste condizioni, la formula secondo la quale Dio conferirà ai santi "autorità e potere sopra le nazioni e i regni del mondo" assume un accento inquietante. Ci si chiede infatti: quali sono queste nazioni e questi regni del mondo, sopra i quali i santi eserciteranno il loro potere? Sono le nazioni e i regni del vecchio mondo? In questo caso, non c’è ancora il nuovo mondo. E quando ci sarà il nuovo mondo, sopra chi potranno i santi esercitare il potere, fuorché su se stessi? O si lasceranno sussistere nel vecchio mondo alcune nazioni miscredenti che i santi possano tiranneggiarle a loro piacimento, per esaltare il sapore della loro nuova posizione dirigente? In sostanza, la situazione tanto attesa appare molto simile a quella che gnostici posteriori definiranno dittatura del proletariato.

Il sospetto è confermato da altri dettagli. I Quesiti distinguono fra "funzionari di Cristo" e "magistrati cristiani". Il governo dello Spirito sopprimerà ogni potere nel mondo, compresa la magistratura cristiana dell'Inghilterra. La distinzione conferma, in maniera evidente, che, nelle rivoluzioni del genere puritano, due tipi di verità sono in conflitto per la rappresentanza esistenziale. I Quesiti attribuiscono la qualifica di cristiana a entrambi i tipi di verità, ma si tratta, in realtà, di tipi così radicalmente diversi che rappresentano rispettivamente il mondo delle tenebre e il mondo della luce. La vittoria puritana può mantenere in vita la struttura del mondo, comprese le istituzioni parlamentari inglesi, ma lo spirito animatore ne sarà radicalmente cambiato. E questo cambiamento radicale si manifesterà politicamente nel radicale cambiamento del personale dirigente. Gli autori dei Quesiti chiedono persuasivamente: "Non è forse molto più onorifico per i parlamenti, per i magistrati, ecc., esercitare il potere come funzionari di Cristo e rappresentanti delle Chiese che come funzionari di un regno temporale e rappresentanti di un popolo meramente naturale e temporale?". Non basta rappresentare il popolo inglese in Parlamento, perché il popolo in sé appartiene all'ordine naturale del vecchio mondo; il membro del Parlamento deve rappresentare i santi e le comunità del nuovo regno che lo Spirito stesso informa di sé. Quindi, il vecchio gruppo politico dirigente dev'essere eliminato, perché "uomini meramente naturali e temporali quale diritto o pretesa possono avere al potere e al governo, che richiedono spirito di santità per conseguire le benedizioni celesti?". E, in maniera ancor più esplicita; "Come può il regno essere dei santi, se gli empi sono elettori e possono essere eletti a governare?". È un atteggiamento di assoluta inflessibilità: se aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, "possiamo mai permettere che restino in piedi i vecchi governi temporali?". L'unica via giusta sarà dunque quella di "sopprimere per sempre i nemici della religiosità".

Queste affermazioni non richiedono ardui sforzi interpretativi. Bastano pochi aggiornamenti linguistici a metterne in chiaro il significato. L'ordine storico del popolo è infranto da un movimento che non appartiene a "questo mondo". I mali sociali non si possono rimuovere per mezzo di una legislazione riformistica; i difetti dell'apparato governativo non si possono eliminare modificando la costituzione; le divergenze di opinione non si possono sanare per via di compromesso, "Questo mondo" rappresenta la tenebra che deve lasciare il campo alla nuova luce. Quindi, i governi di coalizione sono impossibili, i personaggi politici del vecchio ordine non possono essere rieletti nel nuovo mondo; e gli uomini che non sono membri del movimento saranno privati del diritto di votare nel nuovo ordine. Tutti questi mutamenti interverranno, in sostanza, per opera dello "Spirito" o, come direbbero gli gnostici attuali, per opera della dialettica della storia; ma i santi compagni controlleranno l'attività politica con le armi in pugno. Se il personale del vecchio ordine non si rassegna a sparire tranquillamente, i nemici della nuova fede saranno soppressi o, come si dice in linguaggio contemporaneo, saranno purgati. Nei Quesiti la realizzazione del nuovo mondo aveva raggiunto lo stesso stadio in cui, durante la rivoluzione russa, Lenin scrisse le sue riflessioni sulla situazione sotto il titolo: "I bolscevichi conserveranno il potere?". Lo conserveranno senza dubbio, e nessuno potrà partecipare con essi alla sua gestione.

Il nuovo regno sarà universale nella sostanza e universale anche nella sua pretesa di dominio: esso si estenderà "universalmente a tutte le persone e a tutte le cose". La rivoluzione degli gnostici ha per fine di monopolizzare la rappresentanza esistenziale. I santi possono prevedere che l'universalismo della loro rivendicazione non sarà accolto senza lotta da parte del mondo della tenebra, ma che anzi provocherà un'alleanza altrettanto universale del mondo contro di loro. I santi, quindi, dovranno coallzzarsi "contro le potenze anticristiane dei mondo"; e le potenze anticristiane a loro volta dovranno "universalmente coalizzarsi contro di loro". I due mondi che si presume debbano cronologicamente succedersi l'un l'altro diventeranno quindi nella realtà storica due campi armati, impegnati in una lotta mortale. Dal misticismo gnostico dei due mondi emerge il quadro delle guerre universali che hanno finito col dominare il secolo ventesimo. L'universalismo del rivoluzionario gnostico provoca un'alleanza universale contro di lui. Il reale pericolo delle guerre contemporanee non risiede nell'estensione globale, consentita dalle attuali condizioni tecnologiche, del teatro di guerra; la loro vera tragicità deriva dal loro carattere gnostico di guerre fra mondi impegnati in una reciproca distruzione totale.

La selezione dei materiali da noi effettuata al fine di illustrare la natura e la direzione della rivoluzione gnostica, può sembrare arbitraria. Qualche critico potrebbe obiettare che il puritanesimo, nel suo complesso, non può essere identificato con la sua ala sinistra. Siffatte critiche potrebbero essere giustificate se noi ci fossimo proposti di fornire un'analisi storica del puritanesimo. Ma la nostra analisi si proponeva invece di mettere in luce la struttura delle esperienze e delle idee gnostiche; e questa struttura la si ritrova anche là dove l'estremismo delle conseguenze è attenuato, come nelle Istituzioni di Calvino o nel "covenantismo" presbiteriano. La distanza fra la destra e la sinistra nell'ambito di ogni ondata del movimento, la lotta fra le due ali estreme in occasione di aperte fratture nelle varie aree nazionali, come pure le temporanee stabilizzazioni realizzate nel quadro di un modus vivendi, sono fenomeni interni alla rivoluzione gnostica e su di essi concentreremo ulteriormente la nostra attenzione nell'ultimo capitolo. Questi fenomeni, che costituiscono la dinamica della rivoluzione, non incidono tuttavia sulla sua natura; e questa natura può essere certo meglio studiata nelle sue manifestazioni estremistiche, nelle quali non viene oscurata dai compromessi imposti dalle esigenze del successo politico. Inoltre, qui non si tratta di una questione di convenienza, ma di una necessità metodologica. La rivoluzione gnostica si propone, come suo obiettivo, un mutamento nella natura dell'uomo e l'instaurazione di una società trasfigurata. Poiché questo programma non può essere realizzato nella realtà storica, i rivoluzionati gnostici devono necessariamente istituzionalizzare il loro successo parziale o totale nella lotta esistenziale mediante un compromesso con la realtà; e quello che emerge da questo compromesso non è certamente quel mondo trasfigurato che il simbolismo gnostico ci preannuncia. Quindi, il teorico, se si limita a studiare la rivoluzione gnostica al livello delle sue momentanee stabilizzazioni, o delle sue tattiche politiche, o dei programmi moderati che già tengono conto del compromesso, non riuscirà mai a mettere in evidenza la natura dello gnosticismo, la forza propulsiva della rivoluzione occidentale. Si scambierebbe il compromesso con l'essenza e si perderebbe di vista l'essenziale unità che caratterizza, pur nella loro varietà, i fenomeni gnostici.

 

4. La rivoluzione inglese fece comprendere che la lotta dei rivoluzionari gnostici per la rappresentanza esistenziale poteva distruggere l'ordine pubblico di una grande nazione - ammesso che di tale prova ci fosse bisogno, dopo l'esperienza delle otto guerre civili in Francia e dopo la guerra dei trent'anni in Germania. Il problema dell'ordine pubblico aveva quindi bisogno di una riformulazione teorica e per questo compito Thomas Hobbes si rivelò un pensatore di levatura pari alla sua importanza. Certo, la nuova teoria della rappresentanza che Hobbes elaborò nel suo Leviathan conseguì la sua straordinaria coerenza a prezzo di una semplificazione che pur essa appartiene alla categoria degli errori gnostici; ma un pensatore ardente e inflessibile, quando procede a siffatte semplificazioni, riesce nondimeno a portare il problema a nuova chiarezza. Questa nuova chiarezza è un acquisto permanente, mentre alle conseguenze della semplificazione si può porre riparo.

La teoria hobbesiana della rappresentanza va diritta al cuore del problema. Da una parte, c'è una società politica che vuol mantenere il suo ordine stabilito nell'esistenza storica; dall'altra, ci sono individui singoli, in seno alla società, che vogliono mutare l'ordine pubblico, anche con la forza, se necessario, in nome di una nuova verità. Hobbes risolse il conflitto proclamando che, in una società, non c'è altra verità pubblica all'infuori della legge della pace e della concordia; ogni opinione e dottrina che provochi la discordia risulta quindi non vera (THOMAS HOBBES, Leviathan, ed. Michael Oakeshott, ed. Biackstone, Oxford, s.a., C. XVIII, p. 116). A sostegno della sua affermazione, Hobbes addusse queste argomentazioni:

1) L'uomo ha consapevolezza di un comando della ragione che lo rende propenso alla pace e all'obbedienza sotto un ordine civile. La ragione gli fa comprendere, in primo luogo, che può vivere la sua vita naturale e perseguire la sua felicità terrena solo a condizione che viva in pace con i suoi simili; e gli fa comprendere, in secondo luogo, che può vivere in pace, senza sospetto delle intenzioni altrui, solo a condizione che le passioni di ciascuno siano frenate a mutua tolleranza dalla schiacciante forza di un governo civile.(Ibid., c. XIV)

2) Questo comando della ragione, tuttavia, non sarebbe niente più che un teorema senza forza cogente, se non fosse inteso come manifestazione della voce di Dio, come un comando di lui impresso nell'anima umana; solo nella misura in cui si ritiene che il comando della ragione sia un comando divino, esso diventa una legge di natura.( Ibid., c. XV, pp. 104 ss.; c. XXXI, p.233)

3) Questa legge dì natura non è una legge che di fatto regoli l’esistenza umana prima che gli uomini, nei quali essa vive come disposizione alla pace, ne abbiano seguito il precetto unendosi in società civile sotto un pubblico rappresentante, il sovrano. Solo quando essi hanno concordato di sottomettersi a un comune sovrano, la legge di natura diventa effettivamente la legge di una società nell'esistenza storica.( Ibid., c. XV, p. 94)

4) La legge di natura e il diritto civile, quindi, si contengono l'un l'altra e sono di eguale estensione".( Ibid., c. XXVI, p. 174) Così, dunque, la rappresentanza esistenziale e la rappresentanza trascendentale convergono nell'articolazione di una società in un'esistenza ordinata. Unendosi in società politica sotto un rappresentante, i membri attualizzano l'ordine divino dell'essere nella sfera umana. (Ibid., c. XXXI, p.233)

Entro questo "vuoto ricettacolo" di una società politica, Hobbes versa il contenuto della civiltà cristiano-occidentale, facendolo passare attraverso il collo di bottiglia della ratifica ad opera del rappresentante sovrano. La società può benissimo essere una comunità cristiana, perché la parola di Dio rivelata nella Scrittura non è in contrasto con la legge naturale (Ibid. c. XXXII, p.242). Tuttavia, il canone della Scrittura da adottare (Ibid. c. XXXIII, p.246 ss.), le interpretazioni dottrinali e rituali relative ad esso, (Ibid. p.254 ss.) come pure la forma dell'organizzazione clericale (Ibid. c. XLII pp. 355-356), derivano la loro autorità non dalla rivelazione ma dalla loro promulgazione come legge del paese ad opera del sovrano.
Non ci sarà libertà di dibattito in merito alla verità dell'esistenza umana nella società; l'espressione pubblica di opinioni e dottrine deve essere sottoposta alla regolamentazione e permanente supervisione del governo. "Infatti, le azioni degli uomini procedono dalle loro opinioni e nel saggio governo delle opinioni consiste il saggio governo delle azioni umane, ai fini della pace e della concordia", Quindi, tocca al sovrano decidere a chi è consentito parlare in pubblico, su quale argomento e con quale orientamento; sarà inoltre necessaria una preventiva censura sui libri (Ibid. c. XVIII pp. 116 ss.). Per il resto, ci sarà libertà per le pacifiche e civili intraprese dei cittadini, perché è appunto questo il fine per il quale gli uomini si uniscono in una società civile (Ibid. XXI, pp. 138 ss.).

Nel giudicare la teoria hobbesiana della rappresentanza, è necessario evitare i trabocchetti del linguaggio politico corrente, Non si ricava alcun vantaggio da una valutazione della teoria in termini di libertà e di autorità; e nessun vantaggio si ricava se si pretende classificare Hobbes come assolutista o fascista. Un'interpretazione critica deve tener conto delle intenzioni teoriche indicate da Hobbes stesso nella sua opera. Queste intenzioni si possono ricavare dal passo seguente: "Riesce evidente anche ai meno provveduti che le azioni degli uomini derivano dalle opinioni che essi hanno a proposito del bene e del male che, da queste azioni, può ridondare ad essi; e, conseguentemente, che gli uomini, nei quali è maturata l'opinione che la loro obbedienza al potere sovrano sarà per essi più dannosa della disobbedienza, saranno indotti a violare le leggi e quindi a sovvertire la comunità, a provocare disordine e guerra civile; insomma, a sottrarsi a tutto ciò per cui il governo civile è stato istituito. In tutte le comunità dei pagani, quindi, i sovrani hanno avuto la qualifica di pastori del popolo, perché nulla si poteva legittimamente insegnare al popolo senza il loro consenso e la loro autorità". E il cristianesimo, continua Hobbes, non può proporsi di privare i sovrani "del potere necessario alla conservazione della pace fra i loro sudditi e alla loro difesa contro i nemici esterni" (Ibid. c. XLII pp. 355).

Dal passo citato risulta evidente il proposito di Hobbes di fare del cristianesimo (considerato, in sostanza, identico alla legge di natura) una specie di theologia civilis inglese, nel senso varroniano dell'espressione. A prima vista, un proposito del genere può apparire intrinsecamente contraddittorio. Com'è possibile trasformare la theologia supranaturalis cristiana in una theologia civilis? Nel compiere questo singolare tentativo, Hobbes mise in evidenza un problema che abbiamo lasciato in sospeso nella nostra precedente analisi dei genera theologiae e del loro conflitto nell'impero romano. I lettori ricorderanno che sant'Ambrogio e sant'Agostino si erano mostrati stranamente insensibili di fronte al fatto che un cristiano sul trono trattasse i pagani come gli imperatori pagani avevano precedentemente trattato i cristiani. Essi intendevano il cristianesimo come una verità dell'anima superiore al politeismo, ma non volevano riconoscere che gli dèi romani simboleggiavano la verità della società romana; che, insieme col culto, veniva distrutta una cultura, come Celso aveva ben visto; che la vittoria esistenziale del cristianesimo non era una conversione di singoli essere umani a una verità più alta, ma la forzata imposizione alla società di una nuova theologia civilis. Con Hobbes abbiamo il rovesciamento di questa impostazione. Quando egli tratta il cristianesimo sotto l'aspetto della sua sostanziale identità col comando della ragione e fa derivare la sua autorità dalla ratifica governativa, egli si mostra stranamente insensibile al suo significato di verità dell'anima, allo stesso modo che i Padri si erano mostrati stranamente insensibili al significato degli dèi romani come verità della società. Per raggiungere la radice di queste stranezze è necessario riprendere in considerazione il decisivo evento dell'apertura dell'anima e procedere a un'ulteriore distinzione teorica.

L'apertura dell'anima fu un evento decisivo nella storia del genere umano, perché con la differenziazione dell'anima come sensorio della trascendenza, vennero posti in evidenza gli standards critici e teorici per l'interpretazione dell'esistenza umana nella società, come pure la fonte della loro autorità. Quando l'anima si aprì alla realtà trascendente, essa trovò una fonte di ordine di grado superiore a quello dell'ordine costituito della società, come pure una verità in opposizione critica con la verità alla quale la società era pervenuta attraverso il simbolismo della sua autointerpretazione. Inoltre, l'idea di un Dio universale come misura dell'anima così aperta aveva il suo correlato logico nell'idea di una comunità universale del genere umano, al di là della società civile, attraverso la partecipazione di tutti gli uomini alla misura comune, fosse essa intesa nei termini del nous aristotelico o del logos stoico o cristiano. L'influenza esercitata da queste scoperte poteva benissimo mettere in ombra il fatto che la nuova chiarezza acquisita a proposito della struttura della realtà non aveva tuttavia modificato questa stessa struttura. L'apertura dell'anima fu un evento decisivo proprio per il progresso che essa consentì dalla compattezza alla differenziazione dell'esperienza, dall'incertezza alla chiarezza di visione; ma la tensione tra una verità della società e una verità dell'anima già esisteva prima di quell'epoca, e la nuova comprensione della trascendenza poteva solo rendere più acuta la consapevolezza della tensione, ma non eliminarla dalla costituzione dell'essere. Per esempio, l'idea di un Dio universale fu portata a uno stato di estrema purezza dai filosofi mistici, ma la sua esistenza, sia pure inglobata in un compatto mito cosmologico, ci è già attestata da iscrizioni egiziane che risalgono al 3000 circa a.C.; e poiché, anche in quest'epoca remota, l'idea fece la sua comparsa nel corso di una speculazione critica e polemica sulla gerarchia e sulla funzione degli dèi, deve essere fin da allora esistita la tensione tra una verità quale l'intendeva il pensatore speculativo e la verità del mito tradizionale (WILLIAM F. ALBRIGHT, From the Stone Age lo Christianity: Monotheism and the Historical Process, Baltimore 1946, pp. 132 ss.: HERMANN JUNKER, Pyramidenzeit: Das Wesen der altagyptischen Religion, Zurigo 1949, pp. 18 ss.). D'altra parte, la speculazione stoica sulla cosmopoli, alla quale gli uomini appartengono in virtù della loro partecipazione al Logos, non pose fine all'esistenza dell'uomo in seno a società storiche finite. Perciò noi dobbiamo fare una netta distinzione tra l'apertura dell'anima, come svolta decisiva nel processo di differenziazione sul piano dell'esperienza, e la struttura della realtà, che tuttavia permane immutata.

Da tale distinzione consegue, per quanto riguarda il problema di cui ci occupiamo, che la tensione tra la diversa verità dell'anima e della società non può venire eliminata dalla realtà storica eliminando l'una o l'altra verità. L'esistenza umana nelle società naturali resta quella che era prima del suo orientamento verso un destino che trascende la natura. La fede è attesa di una soprannaturale perfezione dell'uomo; non è questa stessa perfezione. Il regno di Dio non è di questo mondo e la Chiesa, che rappresenta la civitas Dei nella storia, non può sostituirsi alla società civile. II risultato di quella decisiva differenziazione non è la sostituzione della società chiusa con la società aperta - per usare la terminologia bergsoniana - ma una complicazione del simbolismo che corrisponde alla differenziazione delle esperienze. Entrambi i tipi di verità, d'ora innanzi, esisteranno insieme; e la tensione fra i due, in vari gradi di consapevolezza, sarà una struttura permanente della civiltà. Di ciò si era già reso conto Platone; e nella sua opera se ne ha un riflesso nell'evoluzione dalla Repubblica alle Leggi. Nella Repubblica egli costruì una polis che doveva incarnare la verità dell'anima sotto il governo diretto di filosofi mistici; si trattò di un tentativo di superamento della tensione, facendo dell'ordine dell'anima l'ordine della società. Nelle Leggi abbiamo, per quanto riguarda la verità dell'anima, il rovesciamento della posizione della Repubblica: la polis delle Leggi si fonda su istituzioni che rispecchiano l'ordine del cosmo, mentre la verità dell'anima è mediata da governanti che la accolgono come dogma. Platone stesso, il potenziale re filosofo della Repubblica, diventa lo straniero ateniese delle Leggi che coopera alla scoperta di istituzioni capaci di incarnare il massimo dello spirito compatibilmente con la persistente esistenza naturale della società.

I Padri cristiani non mostrarono la stessa perspicacia di Platone quando le circostanze storione li posero di fronte allo stesso problema. A quanto pare, essi non si resero conto che il cristianesimo poteva sostituirsi al politeismo, ma non eliminare il bisogno di una teologia civile. Quando la verità dell'anima prese il sopravvento, rimase il vuoto che Platone aveva tentato di colmare con la sua costruzione della polis fondata sull'analogia dell'ordine cosmico. La necessità di colmare questo vuoto divenne un grosso problema dovunque il cristianesimo portò a dissoluzione la verità precristiana della società chiusa come forza vitale; di conseguenza, dovunque la Chiesa acquisì la rappresentanza esistenziale accanto al potere civile, si trovò nella necessità di fornire una legittimazione trascendentale dell'ordine della società, in aggiunta alla sua rappresentanza del destino soprannaturale dell'uomo. Una grande soluzione fu il cesaropapismo bizantino, con la sua tendenza a trasformare la Chiesa in una istituzione civile. Contro questa tendenza, alla fine del secolo quinto, Gelasio scrisse le sue lettere e i suoi opuscoli nei quali era indicata l'altra grande soluzione, quella cioè dell'equilibrio dei due poteri. Questo equilibrio fu mantenuto in Occidente finché l'opera di espansione e consolidamento della civiltà assicurò un parallelismo di interessi per l'organizzazione ecclesiastica e quella civile.

Ma la tensione tra i due tipi di verità si manifestò non appena fu raggiunto un certo grado di saturazione della civiltà. Quando la Chiesa, sulla scia della riforma cluniacense, riaffermò la sua sostanza spirituale e tentò di sganciarsi dalle implicazioni civili, ne risultò, come conseguenza, la lotta per le investiture. D'altra parte, quando i movimenti gnostici settari acquisirono consistenza nel secolo dodicesimo, la Chiesa mediante l'Inquisizione cooperò con il potere civile nel perseguire gli eretici; essa insistette energicamente nella sua funzione di agente della theologia civilis, venendo meno, parallelamente, come rappresentante della civitas Dei nella storia. Infine, la tensione giunse al punto di rottura quando una pluralità di Chiese scismatiche e di movimenti gnostici entrò in violenta competizione per la rappresentanza esistenziale. Il vuoto divenne manifesto nelle guerre civili di religione.

Hobbes comprese che l'ordine pubblico è impossibile senza una teologia civile sottratta a ogni dibattito: l'aver chiarito questo punto è il grandissimo e perenne merito del Leviathan. Meno fortunato egli fu nel suo tentativo di colmare il vuoto facendo del cristianesimo la teologia civile inglese. Egli poté coltivare quest'idea, perché partì dalla premessa che il cristianesimo, se rettamente interpretato, dovesse identificarsi con la verità della società che aveva sviluppato nelle prime due parti del Leviathan. Egli negò l'esistenza di una tensione tra la verità dell'anima e la verità della società; il contenuto della Scrittura, a suo parere, coincideva in sostanza con la verità di Hobbes, In base a questa premessa, egli poté accarezzare l'idea di risolvere una crisi di proporzioni storiche mondiali fornendo il suo consiglio di esperto a ogni sovrano che fosse disposto ad accettarlo. "Io coltivo la speranza", egli disse, "che, un giorno o l'altro, questo mio scritto finisca nelle mani di un sovrano che lo prenda personalmente in esame (infatti è uno scritto breve ed io argomento con chiarezza), senza l'aiuto di qualche interessato o invidioso interprete; e, con il pieno esercizio della sua sovranità, consentendo il pubblico insegnamento di esso, traduca in utilità pratica questa verità speculativa" ( Hobbes cit., c. XXXI, p. 241). Hobbes, insomma, vide se stesso nel ruolo di un Platone in cerca di un re disposto a far propria la nuova verità e ad insegnarla al popolo. L'educazione del popolo era una parte essenziale del suo programma. Hobbes non puntò sulla forza del governo per la soppressione dei movimenti religiosi; egli sapeva bene che l'ordine pubblico è autentico solo se il popolo lo accetta liberamente e che il popolo lo accetta liberamente solo se concepisce l'obbedienza al rappresentante pubblico come un dovere imposto da una legge eterna. Se è ignaro di questa legge, il popolo considera la punizione della ribellione come un "atto di ostilità che, quando pensa di avere forza sufficiente, cerca di evitare con atti di ostilità". Hobbes, quindi, proclamò che è dovere del sovrano rimuovere l'ignoranza del popolo con una appropriata informazione. Se ciò fosse stato fatto, era legittimo attendersi che i suoi princìpi "rendessero imperitura la costituzione su di essi fondata, salvo che nel caso di violenza esterna" (Ibid., c. XXX, pp. 220 ss.). Tuttavia, proprio con questa idea del superamento delle tensioni della storia mediante la propagazione di una nuova verità, Hobbes rivela le sue propensioni gnostiche; il tentativo di congelare la storia in una costituzione imperitura rientra nella categoria generale dei tentativi gnostici di congelare la storia in un regno terminale eterno su questa terra.

L'idea di risolvere le difficoltà della storia con l'invenzione di una costituzione destinata a durare per l'eternità avrebbe senso soltanto se la fonte di queste difficoltà, cioè la verità dell'anima, cessasse di agitare l'uomo. Hobbes, in realtà, semplificò la struttura della politica eliminando da essa la verità antropologica e soteriologica. Si tratta di un'aspirazione comprensibile in un uomo che ama essere in pace con se stesso; le cose, certo, sarebbero molto più semplici senza filosofìa e senza cristianesimo. Ma come si può accantonare l'una e l'altro senza abolire le esperienze della trascendenza che sono connaturate con l'uomo stesso?

Hobbes fu abile nel trovare la soluzione di questo problema; egli sostituì all'uomo della creazione divina un uomo da lui stesso creato, privo di tali esperienze. A questo punto, però, si entra nel mondo stratosferico dei sogni gnostici. Questo ulteriore tentativo hobbesiano dev'essere inquadrato nel più largo contesto della crisi occidentale; e questo sarà il tema del nostro ultimo capitolo.