IL RUOLO DEL LUSSO E LA GENESI DEL CAPITALISMO
nell'opera di Werner Sombart (1863-1941)

INDICE
1. Premessa. Un autore "proibito"?
2. le obiezioni a Sombart
3. l’originalità di Sombart
4. le "classi di fattori" all’origine dello spirito del capitalismo
5. il ruolo del lusso nella genesi del capitalismo

5.1 la nuova società
5.2 la nuova città
5.3 la secolarizzazione dell'amore
5.4 L’ostentazione del lusso
5.5 la nascita del capitalismo dal lusso

Appendice. noterella biografica
Note

 

1. Premessa. Un autore "proibito"?

Al momento della morte, Sombart lascia circa 35 libri ed opuscoli, un centinaio tra saggi, articoli e contributi in volumi collettivi, numerose collaborazioni a riviste e una tale notorietà da essere ritenuto "il più famoso professore del mondo accademico tedesco dei primi decenni del secolo" (1).
Tuttavia, S. non è quasi menzionato dalla più recente e diffusa manualistica accademica sociologica italiana (2). Inoltre, il centenario della nascita, caduto nel 1963, è stato accolto dal silenzio più totale: unica eccezione nel mondo (3) un volume edito in Italia per la biblioteca della Rivista Economia e storia (4).
Come spiegare questi diversi atteggiamenti verso un sociologo la cui fama in vita superò largamente quella di Max Weber (1864-1920)?
La diffusione dell'opera di S. è stata probabilmente condizionata (o, in ambienti di cui dirò, favorita) da "pre-giudizi" e fraintendimenti - databili dai tempi del suo insegnamento e diffusi dal mondo accademico - di due ordini distinti. Un primo - e forse più sostanziale - gruppo di pregiudizi, rimprovera a S. di aver
A) "tradito" Karl Marx (5);
B) conservato - e, anzi, migliorato - la propria cattedra universitaria durante gli anni del nazional-socialismo;
C) contribuito all'antisemitismo

Vi è, inoltre, una seconda serie di critiche - derivante in parte dai pregiudizi di cui sopra? -, che può essere riassunta in

D) lacunosità delle fonti e della documentazione (6);
E) metodologia ed esposizione imprecise e frammentarie (7).

Fornire una risposta adeguata a ciascuna di queste obiezioni esula dagli scopi di questo lavoro, ma è tuttavia necessario un rapido cenno ad esse: è un modo per meglio conoscere l'opera del nostro e, diversamente, non si capirebbe l'utilità di rileggere, oggi, l'analisi sombartiana del ruolo tenuto dal lusso nella genesi del capitalismo.

 

2. Le obiezioni a Sombart

A) Il "tradimento" del marxismo

Effettivamente, dopo i lunghi anni nei quali S. godette dell'appellativo di "professore rosso", a far data dal 1896 il suo allontanamento dal marxismo fu sempre maggiore: "Comincerò la mia critica con l'esame di quelle teorie che sono false perché i loro autori [...] credevano di porre tesi scientificamente dimostrabili e proponevano invece un sistema metafisico. Pongo fra questi quasi l'intera filosofia della storia di C. Marx: il suo naturalismo sociale, la sua concezione materialistica (economica) della storia, il suo evoluzionismo. Non corrisponde certo ad un dato dell'esperienza che la storia umana sia una parte della storia naturale e che sia dominata da leggi naturali. L'esperienza anzi dimostra l'autonomia irriducibile delle leggi dello spirito e delle sue creazioni. L'esperienza ci insegna che gli uomini hanno la capacità di decidersi liberamente e di entrare o no con piena coscienza in rapporti collettivi di produzione. L'esperienza ci dice che non sono sempre gli interessi economici, ma più spesso altri interessi religiosi, politici - che tengono il primato nella storia" (8).

Con Weber, S. è "colpevole" di aver negato la relazione fondamentale del materialismo storico: la relazione di causa-effetto tra struttura e sovrastruttura (9), ossia, banalizzando, la genesi della cultura dall'economia. A questo proposito, tuttavia, non andrebbe dimenticato il contributo fornito da Antonio Gramsci (1891-1937), che sottolinea da un lato l'esistenza di una dialettica tra struttura e sovrastruttura e dall'altro ricomprende nella struttura anche delle relazioni ideologico spirituali (10). In questa prospettiva lo stesso Gramsci scrive che "Perciò una riforma intellettuale e morale non può che essere legata a un programma di riforma economica, anzi il programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e morale" (11). Comunque, le diversità di impostazione non sono un motivo sufficiente per disinteressarsi del lavoro di uno studioso, soprattutto se si è mossi da una prospettiva autenticamente dialettica (12).

 

B) Sombart "nazional-socialista"?

A favore di questa ipotesi depone il fatto che le edizioni italiane degli ultimi venticinque anni di alcune sue opere sono spesso legate a "ideologi neri" quali Franco Freda e Claudio Mutti (13). Inoltre, l'impressione derivante dalle citazioni di Hitler, di Goebbels o i riferimenti a Mussolini, presenti ne Il socialismo tedesco, è certamente notevole.

Si potrebbe tentare di spiegare quest'ambiguità con l'intenzione (da egli stesso dichiarata nella Prefazione del 1934 a Il socialismo tedesco), di influenzare e reindirizzare gli uomini del movimento nazional-socialista, di fornire loro "delle teorie" per "stare nella chiara luce della conoscenza", nella consapevolezza che esse incontreranno "molti oppositori, sia dentro al partito al potere, che fuori" (14).

Mi sembra però che la risposta più fondata al pur equivoco rapporto tra S. ed il nazional-socialismo, sia stata data da Cavalli: "il nazismo, almeno agli inizi, sembrava a lui, come alla maggior parte della cultura tedesca e del mondo accademico, una risposta necessaria alle inquietudini ed al disordine del periodo weimariano". A causa di questa impressione non si può, tuttavia, inferire che "tutta la cultura tedesca non marxista fu o precorritrice del nazismo, o nazista essa stessa" (15). E, per inciso, sbagliare la "diagnosi" sulle origini storiche, sociali e culturali del Terzo Reich, è indubbiamente il modo migliore per sbagliare anche la "terapia" (16).

 

C) Sombart antisemita?

L'esistenza di un trattato sulle relazioni tra i Figli d'Israele ed il Capitalismo, per giunta scritto a ridosso dell'avvento del Nazional-socialismo, ha condotto alcuni studiosi a stabilire l'equazione S. = teorico della razza ariana (17). Questa equazione, tuttavia, non trova completa dimostrazione nei testi: "Guardatevi dal dichiarare non tedesco e perciò condannabile tutto quello che non è di origine nordica e cioè secondo l'enumerazione di Paolo de Lagarde: la Chiesa di Vinifredo, la recezione del diritto romano, la Riforma, la Guerra dei Trent'anni, l'illuminismo, secondo altri persino l'antichità classica e l'intero Cristianesimo. No, tutto ciò che in queste infiltrazioni non nordiche vi è di prezioso, deve venir conservato e deve venir fuso in una unità superiore, altrimenti l'anima tedesca impoverisce" (18); oppure, con malcelata ironia: "non si può scientificamente provare né che una determinata razza può albergare in un solo spirito, né che un determinato spirito può albergare solamente in una determinata razza. Uno spirito tedesco in un negro è possibile; come uno spirito negro in un tedesco. Si può solamente provare questo: che uomini con spirito tedesco sono assai più numerosi entro il popolo tedesco, che non entro il popolo negro e viceversa" (19).

Vi è, insomma, il fondato timore che l'accusa di antisemitismo sia dovuta alla non conoscenza della teoria sombartiana degli "stranieri" (20) - che invece, probabilmente, è una delle sue maggiori intuizioni - e del loro ruolo nella genesi del Capitalismo: "la migrazione sviluppa lo spirito capitalistico spezzando tutti i legami, tutte le vecchie abitudini e tutti i vecchi rapporti [...] nello "straniero" [...] gli interessi materiali acquistano la supremazia su tutti gli altri" (21). L'eretico, l'emigrante, il protestante e l'israelita in terra cattolica e viceversa, sono, quindi, un completamento della tesi di Max Weber sulle origini meramente religiose e culturali del capitalismo (22).

L'"antisemitismo" di S. è forse più correttamente descritto dallo storico israelita George L. Mosse: "I preconcetti economici, sempre popolari nei circoli antisemiti, ottennero il crisma accademico con il saggio di Werner Sombart, Die juden und das Wirtschafsleben, edito nel 1910 [...] In effetti, Sombart non pronunciava, nei confronti degli ebrei, un giudizio di condanna: la sua intenzione era semplicemente quella di fornire un'analisi storica dell'evoluzione del capitalismo; ma autori e propagandisti nazional-patriottici seppero prontamente utilizzarne l'opera, piegandola ai propri fini" (23).

Da parte di S., non risulta alcun incitamento diretto all'odio razziale.

 

D) La lacunosità delle fonti e della documentazione

Sotto questo aspetto, ai lavori del sociologo di Ermsleben si è rimproverato di aver sottovalutato il volume dei traffici mercantili medievali (24), così come l'aver esaminato le implicazioni della razionalità insita nell'etica tomista svincolandole dall'insieme della teologia scolastica (25), attribuendo così al cattolicesimo un ruolo eccessivo nella genesi del capitalismo, ed altro ancora.

Ma ci si deve chiedere: l'accusa di lacunosità delle fonti e documentazione, non può forse essere rivolta a tutti gli storici e studiosi dalle generazioni loro successive, per definizione fruitrici di migliori, più dettagliate e recenti ricerche?

Ad esempio, la relazione tra etica calvinista ed il capitalismo non potrebbe, oggi, essere arricchita dalle suggestioni esposte da Landes sull'"etica faustiana", ossia della "tendenza alla supremazia sulla natura e sulle cose" (26)? Ad inizio secolo, chi sarebbe stato in grado di considerare il significativo ruolo svolto dal socinianesimo nella genesi della mentalità razionalistica che favorì lo spirito del capitalismo (27)? Nel 1913 era immaginabile una conoscenza delle caratteristiche del commercio medievale, come l'abbiamo oggi? E che dire del fatto che, oggi, un Tangheroni chiude il suo ponderoso lavoro su Commercio e navigazione nel Medioevo scrivendo: "con tutto ciò, se l'esplosione del XV secolo è resa comprensibile in molti suoi aspetti, dobbiamo ammettere che resta un residuo di misterioso, come quasi sempre nelle grandi svolte della storia" (28).

Di fronte a questo genere di obiezioni non si può non pensare al pregiudizio e ci si convince, per contro, che a S. andrebbe, piuttosto, riconosciuto il merito - tutt'altro che secondario - di aver "per primo [...] posto l'inizio dei mutamenti decisivi dell'economia europea tra quattro e cinquecento" (29).

 

E) Le carenze metodologiche

Occorre innanzi tutto far rilevare - non senza qualche imbarazzo - che quanti sostengono che "la teoria sombartiana del primo sviluppo capitalistico presenta [...] notevoli problemi di attendibilità storica e coerenza formale" (30), hanno talvolta basato la propria analisi praticamente su una sola opera di S., ancorché - probabilmente - la principale, per giunta in un'edizione incompleta (31).

Secondariamente, non ci si può non chiedere se sia sufficiente un'indiscutibile frammentarietà espositiva e - perché non dirlo? – un’imprecisione terminologica tale da rasentare la contraddizione, per sostenere che "Werner Sombart [...] suggerisce che le cause prime del sorgere del capitalismo industriale furono l'accumulazione della ricchezza o il flusso di metallo pregiato che le imprese coloniali delle nazioni europee avevano stimolato e, insieme, la necessità di una produzione di massa dovuta ad esigenze belliche" (32). Si è purtroppo costretti a far notare che S., poche righe dopo quelle in cui ha sostenuto che "Stato, tecnica e produzione dei metalli preziosi sono, prese insieme, le condizioni fondamentali per lo sviluppo del capitalismo, premessa naturalmente la volontà capitalista come componente del nuovo spirito" (33), sostiene che "nelle sette sezioni seguenti vengono presentate le condizioni preliminari, che hanno reso possibile lo sviluppo dell'economia capitalista [...]. Affinché il capitalismo potesse entrare nella fase di maggior fioritura, si dovevano verificare, come si vedrà in seguito, altre condizioni" (34)?.

Infine, chiudo questa premessa con un'ultima - e sempre uguale - perplessità: le critiche alla metodologia sombartiana - grosso modo riguardanti l'uso di "categorie generalizzanti", anziché limitate alla esposizione "dell'avvenimento singolo" (35) -, sono di per sé sufficienti a spiegare l'oblio di cui l'opera del sociologo tedesco è vittima?

 

3. L’originalità di Sombart

Prima di procedere alla esposizione del rapporto tra il lusso ed il capitalismo, è necessario collocare brevemente l'opera sombartiana nel contesto del dibattito sociologico del suo tempo e fornire alcuni chiarimenti sugli obiettivi dell'autore.

Scrive Franco Ferrarotti che, rispetto ad altre scuole sociologiche, "Sombart si differenzia nettamente per l’insistenza sullo "spirito" del capitalismo: vale a dire sulle tendenze, sulla mentalità, sui valori e sugli orientamenti che sono alla base della genesi del mondo capitalistico" (36).

Proprio la distinzione tra genesi del capitalismo (37) e genesi dello spirito del capitalismo, ha provocato non poche ulteriori incomprensioni e fraintendimenti tra i pochi commentatori della sua opera, ma se si ammette che strutture e sovrastrutture economiche siano almeno in un rapporto di reciproca influenza, si deve accettare - o perlomeno accettare di "esplorare" - le tesi di S..

Pur ammettendo che "è possibile che la mentalità economica debba la propria origine alle istituzioni economiche", S. ricorda tuttavia che "l’esistenza di questo nesso causale è da determinarsi caso per caso, come occorre sempre dimostrare per quale causa e in che modo il sistema economico influisca con azioni determinate sulla mentalità dei soggetti economici" (38).

Ci si può allora chiedere: "Lo spirito capitalistico è il creatore dell’organizzazione capitalistica o piuttosto lo spirito capitalistico scaturisce dalla organizzazione capitalistica?". A ciò S. risponde: "poiché le organizzazioni sono opera degli uomini, bisogna che l’uomo e il suo spirito, dal quale esse sono nate, siano esistiti in precedenza", senza ovviamente escludere che "all’interno della stessa impresa il soggetto economico può subire mutamenti nella sua struttura spirituale sotto la pressione economica della propria attività, sotto l’influsso che emana dallo svolgersi dei suoi affari" (39).

Non, dunque, un’origine del capitalismo di natura meramente economica, ma probabilmente anche un’origine economica; non soltanto religiosa ma sicuramente influenzata dalla religione; non esclusivamente culturale ma fortemente condizionata dalla cultura, e così via: "Il compito della nostra analisi storico-teorica consiste nella ricerca delle costellazione dei motivi prevalenti in una determinata epoca storica e che costituiscono le cause primarie della vita economica" (40).

Quanto appena detto, porta ad approfondire il tema delle finalità e dei limiti che S. ha posto al suo lavoro. Si deve così rilevare che "il problema dello spirito capitalistico, della sua natura, della sua origine è straordinariamente complesso, infinitamente più complesso di quanto sinora si sia creduto, di quanto io stesso abbia creduto" (41). Contrariamente a quanto sostenuto dai suoi detrattori, S. è pienamente consapevole di come "l’esito di queste indagini possa essere soltanto un'accresciuta problematica dell’argomento" (42). Tuttavia, proprio per la complessità del fenomeno, sostiene che non è possibile "costruire una gerarchia delle cause" (43), anzi, che questo metodo è erroneo perché "volendole ordinare in questo modo. Si viene a ricondurre tutte le cause efficienti a una causa madre, causa causans" (44), senza per questo negare la possibilità che "alcune delle cause elementari appaiono subordinate, e altre invece coordinate" (45).

Posso perciò concordare con Mauro Protti, quando scrive: "Il problema, per Sombart, non è spiegare la nascita del capitalismo" (46), e posso anche condividere che S. ritenesse che "Il problema di chi ha messo in moto, con una propria iniziativa, il processo economico che verrà definito "capitalistico" […] non sembra così urgente da meritare una indagine immediata" (47). Ma, proprio per questi motivi, mi pare che l’originalità del contributo di S. sia invece consistita nell’invitare a riflettere sui "fattori che […] hanno causato" il capitalismo e proprio col mettere a fuoco le "espressioni più significative agli inizi del suo dispiegarsi" (48).

Si tratta, allora, di individuare questi fattori, in qualche modo all’origine dello spirito capitalistico, senza pretendere di esaurirne il ruolo e le caratteristiche. Facendo questo, ci si imbatte in una vera temperie di elementi, che alcuni studiosi di S., come ad es. Franco Rizzo, hanno ritenuto di sintetizzare come segue: "lo Stato, innanzi tutto; il potere politico, senza di cui sarebbe in ogni tempo impensabile lo sviluppo di un'attività economica; e poi una serie di altri fattori che vi sono collegati, e che dipendono strettamente dalla volontà politica, come le migrazioni, la tecnica (legata alla guerra), l'organizzazione del lavoro (che ha per suo campione e modello la struttura militare), la scoperta dell'oro e dell'argento (legata alle imprese di navigazione nel nuovo continente, volute dal potere politico); ed in secondo luogo - ancora - il razionalismo, lo sviluppo della contabilità, che determinerà lo sviluppo delle previsioni e quindi la diminuzione del rischio, elemento fondamentale della concorrenza; il progressivo accrescimento delle conoscenze della natura, dovuto in parte alle guerre ed in parte all'esigenza di fondare la concorrenza su basi nuove, trasferendola dai beni tradizionali, a beni di tipo nuovo; lo spostamento dello sforzo di produzione dalla qualità dei beni stessi alla loro quantità, ed infine la nuova organizzazione del mercato finanziario, che asseconderà il processo di concentrazione delle aziende e così via" (49).

 

4. Le "classi di fattori" all’origine dello spirito del capitalismo

Da parte mia, rispetto alla metodologia i cui risultati ho appena esposto (ossia rispetto ad una rilevazione sintetica e alla successiva concatenazione), preferisco attenermi a quanto lo stesso S. propone, inquadrandolo tuttavia nello svolgersi storico della sua analisi.

S. espone una prima volta la questione delle origini dello spirito del Capitalismo nel 1902, in occasione della prima edizione de Il Capitalismo moderno. A seguito delle critiche rivolte a tale edizione, nel periodo precedente la seconda edizione del 1916, pubblica alcuni studi indirettamente legati al tema che ci interessa (ad es. Das proletariat del 1906 e Das Lebenswerk von Karl Marx del 1909), ed altri che, invece, possono essere considerati preparatori e, forse, esposizioni di più ampio respiro di sezioni trattate nella sintesi del 1916 (50): è quanto dichiara lo stesso S. nella Prefazione a Lusso e capitalismo.

Il problema delle origini dello "spirito" è affrontato o indirettamente trattato nelle opere di questo periodo, soprattutto in Die Juden und das Wirtschaftsleben (1911), Der Bourgeois (1913), Krieg und Kapitalismus (1913) ed anche in quella che qui ci interessa, Luxus und Kapitalismus (1913). Ma è ne Il Borghese che S. espone una prima analisi circa le componenti dello spirito del capitalismo, classificandone le fonti nel modo seguente: "nella prima parte io cerco di stabilire le basi biologiche sulle quali è costruita ogni storia spirituale del capitalismo. Quella parte d’umanità riconosciuta più adatta ad accogliere lo spirito capitalistico lo accoglierà e lo attuerà nella misura in cui (sia attraverso influssi esterni, sia per selezione) le forze morali si dimostrino efficaci (seconda parte) e le condizioni sociali vengano acquistando influenza (terza parte)" (51). Nella stessa opera, le caratteristiche delle tre classi di fattori all'origine del capitalismo sono così spiegate:

a) basi biologiche, ossia quelle particolari inclinazioni o "pre-disposizioni", presenti in certi individui e in certe comunità, che sono all'origine di inclinazioni, tendenze e abitudini;

b) forze morali, come la filosofia (filosofia del senso comune e l’utilitarismo) e la religione (cattolicesimo, protestantesimo e giudaismo) che influiscono sullo sviluppo della mentalità;

c) condizioni sociali, tra cui lo Stato, le Migrazioni (soprattutto quelle dei tipi umani più inclini a divenire soggetti economici capitalisti), la scoperta di metalli preziosi, la Tecnica, le Attività professionali precapitalistiche (come il commercio e il prestito di denaro). A quest'ultima classe va aggiunta una "variabile corollario", un "elemento psicologico" che ha agito come sostegno della morale borghese: l’invidia sociale.

S., pur non collocando esplicitamente il tema che ci interessa in una di queste categorie, parla dell’"ostentare grande lusso" (52) quando enumera le condizioni sociali che segnano la fine della coscienza economica precapitalistica e, ne Il Capitalismo moderno, annovera il lusso sempre tra le condizioni sociali.

 

5. Il ruolo del Lusso nella genesi del capitalismo

Il volume Lusso e Capitalismo si basa sull’idea che "le profonde trasformazioni verificatesi nella società europea a partire dalla Crociate hanno prodotto come conseguenza un mutamento nei rapporti fra i sessi, mutamento che è a sua volta la causa determinante di una trasformazione nel tipo di vita delle classi dominanti – trasformazione che viene ad esercitare, infine, un influsso essenziale nella genesi del sistema economico moderno" (53).

Come vedremo tra poco, S. descrive una "nuova società" nata dalla decadenza del Medioevo (cui secondo alcuni l'autore guarderebbe con una certa nostalgia 54). Per far meglio risaltare il distacco epocale – anche in campo economico - di cui tratta il volume in esame, mi sembra opportuno far precedere la descrizione della società pre-capitalistica che S. fa in una pagina de Il capitalismo moderno.

"Al centro di ogni interesse e di ogni cura, ancor prima del capitalismo, c’è l’uomo vivo. Egli è la "misura di tutte le cose": mensura omnium rerum homo. In tal modo è già definita la posizione dell’uomo nei confronti dell’economia: questa deve servire come tutte le altre opere dell’uomo ai fini dell’uomo […]. Da questa concezione discende che il punto di partenza di ogni attività economica è il bisogno dell’uomo, cioè il suo bisogno di beni. Tanti beni devono venir prodotti quanti egli ne consuma; quanto egli spende tanto deve incassare. Il primo dato è rappresentato dalle spese le quali a loro volta determinano le entrate. Chiamo questa forma economia di erogazione. In questo senso ogni economia precapitalistica e preborghese è un’economia di erogazione. Il bisogno stesso non è determinato arbitrariamente dall’individuo, ma ha assunto con l’andar del tempo nei singoli gruppi sociali un certo valore ed una certa forma che vengono poi considerati come dati fissi. L’idea che il tenore di vita debba essere conforme al proprio ceto sociale domina tutta l’economia precapitalistica" (55).

5.1 La nuova società

5.1.2 La corte

Il momento di variazione che S. espone primariamente è relativo all'ambito politico e riguarda la nascita delle grandi corti principesche (56), in particolare quelle dei "principi della chiesa […] precursori dello sviluppo successivo" (p. 15), che "svilupparono anche nel sec. XV un tipo di vita completamente moderno" in quanto si verificarono "queste precise circostanze: decadenza dell’istituto cavalleresco, urbanizzazione della nobiltà, che abbandona la campagna per andare a vivere in città, formazione dello Stato assoluto, rinascita delle arti e delle scienze, sviluppo degli ingegni sociali, maggior ricchezza ecc." (p. 16). Si tratta, coerentemente col primato attribuito da S. all’uomo, di una trasformazione nel tipo di vita delle classi dominanti, in particolare del distacco dei nobili dalle loro terre e dalla loro gente, che viene innanzi tutto descritta (57).

Infatti, fu nella corte moderna che "per la prima volta si riunirono, in un modo stabile che diede il tono alla vita, i due gruppi di persone che nei secoli seguenti costituirono ciò che è stato chiamato la società della corte, vale a dire: nobili senza altra missione che servire gl’interessi della corte e belle dame […], i quali impressero il loro marchio caratteristico alla vita e al comportamento sociale" (p. 15).

 

5.1.3 La ricchezza borghese

Sul finire del Medioevo e nei secoli successivi venne a formarsi una "nuova ricchezza", che l’autore definisce "borghese", in contrapposizione alla "ricchezza feudale" (58). La ricchezza borghese fu "la causa di un cambiamento radicale nella struttura della vecchia società, cambiamento che consisté in una composizione del tutto nuova dei ceti superiori immediatamente situati al di sotto dei principi, ceti che separavano questi ultimi dalla misera contribuens plebes" (p. 19).

"Tutta la ricchezza dei primi tempi del Medioevo è quasi esclusivamente terriera" e "tutti coloro che occupano un certo rango sono proprietari terrieri, i quali formano la nobiltà"; "non esistono in quell’epoca "borghesi" proprietari di ricchezza e se ve ne sono, si tratta di casi eccezionali. […] Nei sec. XIII e XIV questo stato di cose cambia. Si moltiplicano specialmente le grandi fortune non derivanti dal vincolo feudale e i grandi capitali crescono, soprattutto in Italia, in modo rapido e considerevole. […] E’ il periodo in cui l’avidità dei grandi proprietari terrieri e dei ricchi principi acquista maggiori proporzioni. […] Si formano fortune borghesi, vale a dire capitali mobili paragonabili a quelli dei nostri giorni". (p. 20).

In Europa, a partire dal tempo delle crociate, ha luogo un processo di lenta e progressiva trasformazione dei patrimoni feudali e a natura precipuamente agricola in ricchezza borghese e commerciale (59). Come vedremo subito, ciò si ripercuote sulla composizione dei ceti costituenti l’infrastruttura politica della società.

 

5.1.4 La nuova nobiltà

Nel corso di due secoli (1600-1800) si va formando, nella sempre maggiore commistione tra l’antica nobiltà e la nuova ricchezza, uno strato sociale nuovo, finchè, generalmente, nel XVIII secolo, "gran parte dei "nuovi ricchi" è salita al livello dei nobili" (p. 25). Vediamo come. "Nel primo periodo capitalista prevale l’idea che l’obiettivo finale del ricco consista nel trovare accoglienza in una casta socialmente più elevata: la nobiltà", dove "si conservano lo spirito e l’essenza del feudalesimo, poiché per entrare in essa non è sufficiente il solo denaro e occorrono altre qualità, considerate come eminentemente antiborghesi" (p. 30).

Tale ascesa poteva avvenire secondo diverse modalità, ma una delle più comuni consistette nel procurarsi, da parte dei membri dell’antica nobiltà, attraverso matrimoni vantaggiosi, i milioni necessari a restaurare lo splendore dei casati aristocratici. "Questa mescolanza o fusione di sangue blu e denaro borghese ebbe luogo nel corso degli ultimi secoli in tutti i paesi di cultura capitalista: Italia, Germania, Inghilterra, Francia" (p. 26)

E’ utile precisare che le caratteristiche spirituali della nobiltà medievale costituirono inizialmente un ostacolo a questa commistione: "esiste una differenza essenziale fra il ricco commerciante o finanziere che diventa nobile nel sec. XIII e quello che entra nella nobiltà nel sec. XVIII. Nei tempi antichi dominava in assoluto il feudalesimo; […] il contadino elevato al rango di nobile non trasformava minimamente lo stile di vita feudale, al quale si adeguava del tutto, essendo assorbito dall’ambiente "; mentre "la nobiltà che si formò più tardi, […], era composta di famiglie nuove, che provenivano dal commercio e che per il loro numero elevato influirono sulla struttura del ceto nobiliare" (p. 34). Evidentemente, col venire meno delle caratteristiche della nobiltà feudale (nobilitazione per fatti d’arme, per virtù trasmesse, vicinanza alla popolazione da proteggere e della quale amministrare giustizia, ecc.), l’acquisizione nel ceto nobiliare di elementi borghesi è facilitata.

5.2 La nuova città

L’incremento demografico registrato a partire dal sec. XVI (60) fu uno dei fatti che contribuì alle variazioni rispetto alla civiltà fondata sul feudalesimo e determinò la creazione di un nuovo tipo di città; "Nasce la città grande e popolosa, con centinaia di migliaia di abitanti" (p. 40). "Le grandi città si sviluppano intensamente, poiché sono residenza del più consistente nucleo di consumatori" (p. 43): S. sostiene, infatti, che i principi e gli ecclesiastici, con le relative corti, i commercianti e gli uomini della finanza coi loro mercati, si spostano gradualmente tutti nelle nuove, sempre più grandi, città. Sulla base delle opere di Richard Cantillon (1680-1734) e di François Quesnay (1694-1774) sull’argomento, S. perviene alla certezza secondo cui "la questione del lusso si unisce al problema della grande città" (p. 57).

 

5.3 La secolarizzazione dell'amore

Un elemento che, secondo S., risulta decisivo per la diversa impostazione della vita nella società antica e moderna, è la "la trasformazione verificatasi nel rapporto tra i sessi fra Medioevo e l’epoca del rococò" (p. 63).

In effetti, il problema storico dell’amore non deve essere considerato in senso autonomo, ma dipende dalla visione del mondo che via via si afferma nella storia (61). Le concezioni dell’amore sono infatti un terreno di osservazione privilegiato – basti pensare alla sua importanza nella letteratura e nell’arte -, un indicatore, un sintomo che consente di esaminare attraverso le microrelazioni interpersonali, i mutamenti relativi ai macrorapporti sociali, specialmente in società nelle quali la struttura sociale è modellata sulla base dell’istituto familiare "tradizionale". S. evidenzia efficacemente le differenze delle due visioni del mondo: "L’Europa medioevale aveva messo il fenomeno universale dell’amore, al pari di ogni attività umana, al servizio di Dio, consacrando religiosamente i sentimenti amorosi con l’orientarli verso un obiettivo ultraterreno. […] Ogni amore non consacrato a Dio o non vincolato all’istituto matrimoniale recava "il marchio del peccato"" (p. 64).

Queste concezioni però, si modificano radicalmente a partire dal sec. XI, col quale comincia la secolarizzazione di ogni dominio dell’esistenza. "Le voci di un libero amore terreno risuonarono nelle canzoni dei trovatori" (p. 64), le quali appaiono sul finire del sec. XI, fioriscono nel sec. XII e finiscono nel XIII (62). Secondo S. esse rappresentano "l’inizio naturale dell’amore moderno. E’ un erotismo di pubertà che deifica l’amata, illanguidisce e sospira e si esaurisce in devozione e fantasia" anche se "fino al Quattrocento, però, non compare il nudo femminile, né viene scoperta la bellezza intima delle forme della donna, né si esercita l’incanto dell’amor sensuale" (p. 66). Dal 1400 l’amore ha i connotati di godimento sensuale come dimostra la citazione di Lorenzo Valla (figura rilevante dell’epoca di umanesimo trionfante), riportata da S., "Amore non è se non godimento. Io amo le donne così come amo il vino, il gioco, la scienza. In altri termini: il vino, il gioco, la scienza mi procurano diletto. E il diletto è il senso ultimo della vita. Non si gode per nessun altro fine: è il godimento il fine ultimo" (p. 67).

"Questa concezione edonistico-estetica della donna e dell’amore, che dal Trecento in poi penetra a poco a poco negli spiriti, si trovava in aperta opposizione con l’idea dell’amore santificato o vincolato al sacramento del matrimonio […]. I limiti legali non possono contenere né l’istinto amoroso universale né il diletto raffinato dell’amore; questi sono, per loro stessa natura, illegittimi, o per meglio dire a-legittimi" (p. 70).

Come dimostrazione di questa variazione, S. propone l’esempio di tre autori di epoche diverse, evidenziando come, mentre Boccaccio (1313-1375) aveva ancora un certo rispetto per il matrimonio, Lorenzo Valla (1407-1457), che fu uno dei primi a trarre le conseguenze logiche dalla sua concezione naturalistica dell’amore, con la massima disinvoltura dice che a nessuno deve importare alcunché se due esseri si amano, e non fa differenza alcuna che la donna abbia relazioni col marito o con l’amante. Infine, per Michel Eyquem di Montaigne (1533-1592), la realizzazione del desiderio amoroso è indipendente dal matrimonio ed anzi l’amore e il matrimonio si escludono a vicenda.

S. conclude le sue considerazione sull’amore affermando che il nascere dell’amore libero (nella sua accezione è tale l’amore orientato al puro erotismo) e illegittimo (in quanto ha il suo scopo in se stesso) ed il loro diffondersi comporta, a livello sociale, la nascita di un nuovo tipo umano: "si costituisce fra la femme honnête e la putaine una categoria sociale che, nelle lingue neolatine, è designata coi nomi più diversi […]: cortegiana, maîresse, amoureuse, cocotte (63), femme entretenue, ecc. Vediamo che l’amore, con queste donne, diventa una professione libera, la quale supera la fase del "dilettantismo" ed è affidata a vere e proprie professioniste" (p. 75).

Queste "maestre dell’amore" portarono, secondo S., a un cambiamento nelle aspettative delle donne: "la donna di rango è influenzata direttamente dalla cocotte. […], la maîtresse del monarca viene a essere il modello seguito dalle amanti dei ricchi di città. […] A sua volta, la signora onesta della società, se non vuole essere completamente estromessa, deve entrare in concorrenza con la cocotte. Ciò comporta certe condizioni minime di cultura che la dama di società deve soddisfare, per onesta che sia. E così la femme honnête, stimolata dalla cortigiana, dovette lavarsi" (p. 81). Al di là della curiosità del "lavarsi", quello che più importa sottolineare è che il regime di vita di queste donne, influisce sulla vita delle donne dei ceti politicamente dominanti di quei tempi.

 

5.4 L’ostentazione del lusso

5.4.1 Concetto ed essenza del lusso

Il lusso, secondo S., è "ogni dispendio che vada oltre il necessario". Dal punto di vista concettuale, occorre distinguere il "lusso quantitativo", che equivale allo spreco (ad esempio avere più servi quando ne bastano uno), dal "lusso qualitativo" che è il consumo di beni di classe superiore e dà luogo all’oggetto di lusso. Questo "è un bene […] raffinato, intendendosi per raffinatezza ogni confezione di oggetti giudicabile come superflua per la realizzazione dei fini necessari" (p. 85). L’esigenza di raffinatezza appena definita è quella che S. chiama esigenza di lusso ed i beni che servono a soddisfarla si chiamano beni di lusso.

Il lusso, può servire a molti fini e obbedire a molti motivi differenti, infatti S. afferma che "Erigere a Dio un altare con ori e diaspri e comprare una camicia di seta sono atti di lusso completamente distinti. Il primo serve a un ideale: può essere chiamato lusso altruistico. Il secondo può essere detto un lusso materialistico o egoistico. Si distinguono così il motivo e lo scopo dell’atto di lusso" (p. 86). Non si può non notare come S. non scada mai nei motivi di dibattito teologico - propri del protestantesimo natìo nei confronti degli arredi sacri – ma abbia sempre come scopo la comprensione delle oggettive motivazioni dell’agire umano nella società.

Nella sua trattazione dello sviluppo del lusso S. prende in considerazione la seconda specie di lusso, quella che obbedisce a motivi egoistici e serve per adornare la vita con "vane superfluità". Questa forma di lusso è appunto quella che, secondo S., si sviluppa in modo considerevole nell’epoca del Rinascimento.

L’autore elenca le origini della nascita del lusso personale: il puro divertimento ed il godimento dei sensi, ricollegandolo ancora una volta al tema dell’amore, unitamente al sentimento amoroso e all’erotismo che è quello che "più o meno coscientemente dà impulso e stimolo al lusso. Perciò troviamo che il lusso domina in tutti quei luoghi in cui si sviluppa la ricchezza e la vita amorosa riceve forme libere (o addirittura licenziose). Invece, laddove le relazioni amorose diventano trascurabili e scarse, la ricchezza non presenta caratteri di spreco, bensì di accumulazione" (p. 87).

Una volta che il lusso esiste in una data epoca, per S., intervengono varie cause che collaborano al suo incremento: "ambizione, desiderio esibizionistico, orgoglio, sete di potere; in una parola, la tendenza a figurare in primo piano, ad anteporsi agli altri" (p. 87).

 

5.4.2 L’amore nelle corti dei principi

S. individua nella corte dei principi il principale motore nella diffusione del lusso. Numerose pagine, dense di cifre, sono dedicate alla dimostrazione del ruolo da esse svolto nel dare impulso ai consumi lussuosi. Di rilievo pure l’individuazione come prima "corte lussuosa" di quella papale durante la cattività avignonese (pp. 91-94). Relativamente alle corti secolari, inoltre, è riproposto il ruolo della donna "oggetto di amore illecito", che riveste un ruolo determinante per il rapido incremento del lusso in quanto "questa donna disponeva di somme considerevoli, quali nessuna regina ebbe mai a disposizione" (p. 101).

 

5.4.3 Il lusso nella società

Il lusso della corte si diffuse gradualmente in quelle cerchie che nella corte vedevano il loro modello o che con la corte erano comunque in relazione, così tutte le classi sociali furono prese dallo stesso desiderio di mondanità che dominava le corti (64). Secondo S., se i "nuovi ricchi" non avessero provato una vera e propria sete di lusso, bramosia di vita allegra e brillante, ostentazione del fasto, il lusso non avrebbe raggiunto proporzioni tanto smisurate. Tale fenomeno sociale sarebbe lo stesso che si ripete invariabilmente quando "persone di umile origine rapidamente arricchite impiegano la loro ricchezza a fini di lusso. Le cause e le basi di questo fenomeno possono essere agevolmente definite: da una parte, la condizione dell’uomo semplice e rozzo consente di fruire dei soli godimenti materiali, i quelli sono il prodotto di un’abbondante accumulazione di beni dilettevoli; dall’altra, l’ardente desiderio di conquistare una posizione accanto ai ceti elevati. […] Desiderio di onori, brama di godimenti materiali: ecco i due elementi che collaborano a ingenerare il lusso dei nuovi ricchi" (p. 108). Un passaggio ulteriore di straordinaria importanza per lo sviluppo della società moderna è costituito dal fatto che "gli arricchiti" (coloro i quali possiedono solo la loro ricchezza e non conoscono altro modo per distinguersi se non l’uso della propria fortuna a fini di ostentazione del lusso e di godimento), "estendono il loro modo di pensare materialistico e mammonistico alle famiglie antiche e nobili" (p. 111) [65].

 

5.4.4 Il trionfo della femmina

Dopo aver esposto i tratti comuni che il lusso riveste nel primo periodo capitalistico, l’autore illustra come il lusso abbia subito trasformazioni nel corso del tempo e la partecipazione che la donna ha avuto in tali trasformazioni. S. esamina "le tendenze generali nello sviluppo del lusso" nel periodo tra il 1200 e il 1800. Nello sviluppo del lusso egli distingue le seguenti tendenze generali:
1) Tendenza all’intimizzazione. "Quasi tutto il lusso del Medioevo era pubblico; adesso diventa privato. E anche nei casi in cui era privato si dispiegava più fuori che dentro casa; adesso il lusso si installa nel focolare domestico. La donna si appropria del lusso" (p. 123).

2) Tendenza all’oggettivazione. "Prima il lusso si manifestava in un alto numero di servi che bisognava mantenere e disciplinare. Adesso la numerosa servitù non è se non un fenomeno concomitante del crescente consumo di cose e oggetti di lusso. A questa oggettivazione, come io chiamo tale processo, la donna era estremamente interessata, poiché alla donna importa molto meno il numeroso corteo che non le carrozze sontuose, la casa addobbata, i gioielli. […] l’oggettivazione del lusso influisce in maniera essenziale nello sviluppo del capitalismo" (p. 124).

3) Tendenza alla sensualità e alla raffinatezza: "Per tendenza alla sensualità intendo qui l’evoluzione che porta al punto in cui il lusso non serve tanto a valori ideali – ad esempio l’arte -, quanto agli istinti inferiori dell’animalità" (p. 124).

4) Tendenza alla condensazione nel tempo. "in un determinato arco di tempo il lusso si sviluppa in grandi proporzioni, sia perché precedenti istituzioni periodiche di lusso diventano permanenti, sia perché in breve tempo i "beni di lusso" vengono prodotti e rapidamente consumati o usati dal proprietario. Nel Medioevo il tempo di produzione era molto lungo; l’operaio attendeva al proprio lavoro per anni e anni. Non c’era fretta di finire. Si viveva molto perché si viveva all’interno di un dato complesso: la Chiesa, il chiostro, il comune, la stirpe avrebbero visto compiuto il lavoro anche se la persona che lo aveva intrapreso fosse nel frattempo deceduta. […] Ma da quando si emancipa dalla comunità, l’individuo assume la durata della propria vita come misura del suo godimento" (p. 125-126) [66].

 

Nel corso della trattazione di questo tema, S. svolge quella che, a mio modesto avviso, è un’analisi tanto acuta quanto unica: i riferimenti bibliografici che si trovano all’inizio del Capitolo (a H. Baudrillart, W. Roscher e E. Hermann) sono squalificati dallo stesso estensore (67), che salva solo la Teoria della classe agiata di Thorstein Veblen (68). Si tratta della rilevazione di alcuni elementi di quella prima "Rivoluzione nelle aspettative, generalmente nota come Rinascimento" (69). Al di là del fatto che S. leghi questi elementi alla donna, mi pare che essi possano costituire categorie interpretative sempre attuali: utili sia alla comprensione della genesi del capitalismo, che alla sua odierna esistenza residuale.

Il lusso nella tavola: Questa forma di lusso "nasce in Italia nel corso del XV e XVI secolo, epoca in cui vediamo costituirsi l’ "arte culinaria", insieme con tutte le altre. Prima non esisteva altro lusso se non il divorare; adesso questo godimento si raffina e la qualità si sostituisce alla quantità. […] Anche il lusso del pasto si trasferisce dall’Italia alla Francia. […] Ma c’è qualcosa al di fuori d’ogni dubbio ed è la relazione esistente fra il consumo di dolci e il predominio della donna. […] Poiché la donna esercitò un suo predominio nel primo periodo capitalistico, si ebbe la diffusione rapida e generale dello zucchero, la quale a sua volta fece sì che in tutta Europa si diffondesse subito il consumo di eccitanti come il caffè, il cacao, il tè. Il commercio di questi quattro articoli e la produzione di caffè, cacao e zucchero nelle colonie europee, così come la lavorazione del cacao e la raffinazione dello zucchero nei paesi europei, costituiscono fatti importanti nello sviluppo del capitalismo" (p. 127).

Il lusso nel vestiario: "Il ceto nobiliare ebbe pure influenza sulla direzione e sugli orientamenti del lusso. Sappiamo quale lusso la corte sviluppasse per quanto atteneva ai vestiti. […] Nulla distingue il cavaliere quanto le ricche casacche, che secondo la moda del tempo dovevano essere di velluto e di seta, con ricami d’argento e d’oro, pizzi ecc. molto costosi. […] Ci è giunta una serie di dati sul lusso nell’abbigliamento durante i sec. XV e XVI. Esistono minuziosi inventari del vestiario di Valentina e Isabella Visconti, Biancamaria Sforza, Lucrezia Borgia ecc.. Una valida fonte per la conoscenza di questo argomento è costituita pure dalle opere d’arte, dalla descrizione di feste, cerimonie ecc. […] Uno sposalizio aristocratico del sec. XVII comportava, in Francia, la spesa della terza parte del patrimonio, solo per i vestiti; per la toilette e le carrozze se ne andava quasi la metà. Ogni persona degna di stima possedeva sei abiti estivi e altri sei invernali". Inoltre "Il lusso nell’abbigliamento intimo (manifestazione essenzialmente erotica) si sviluppava ora splendidamente" (p. 117).

Il lusso nell’abitazione: "si trova in intimo rapporto con lo sviluppo della grande città […]. La grande città alimenta il lusso con il mobilio a partire dal Rinascimento e specialmente dalla fine del XVII sec. In questo settore la grande città influì in seguito alla riduzione dello spazio vitale, dovuta alla concentrazione di molti individui in un solo punto, e in seguito alla limitazione del lusso personale che doveva sopraggiungere col trasferirsi dei signori nella città. Queste restrizioni […], provocarono […] un’intensificazione del lusso che, come già abbiamo visto, da una parte si applicò alle cose, dall’altra si orientò nel senso della raffinatezza". Così, anche il lusso nell’abitazione dovette incrementarsi e subire grosse trasformazioni: "I castelli dei nobili, con le loro sale enormi, furono sostituiti da palazzi di proporzioni più ridotte, dove furono accumulati oggetti preziosi d’ogni sorta". Infine "Questa vita urbana si trasferisce in seguito in campagna. Sorgono le case di campagna ammobiliate con eleganza urbana. Le ville sono, come nell’antichità, un prolungamento della città. Così il lusso si estende e penetra negli angoli più riposti del paese, essendo la grande città modello di vita anche in questo" (p. 129).

Il lusso in città (70): "La città contribuisce ad aumentare le esigenze del lusso. […] per lo sviluppo del lusso è importante la città, soprattutto perché crea nuove possibilità di vita allegra ed esuberante e, pertanto, nuove forme di lusso. Le feste non rimangono circoscritte ai palazzi dei principi, ma si estendono ad altri ambiti sociali, che provano l’esigenza di locali di divertimento […] il lusso privato viene a essere sostituito dal lusso collettivo." (p. 135). Col passare del tempo, al posto della diffusione strettamente privata del lusso subentrano forme collettive di manifestazione dello stesso. Sono gli inizi di quella standardizzazione della condotta di vita che sarà uno dei tratti peculiari dei periodi successivi. Gli elementi presi in considerazione da S. nell’analisi della diffusione del lusso in città sono: a) I teatri; b) Le sale da concerto e da ballo; c) i ristoranti raffinati; d) gli hotels; e) i negozi.

 

5.5 La nascita del capitalismo dal lusso

Gli ultimi tre capitoli del volume che sto esaminando, come al solito brillanti, riprendono tuttavia temi meno "originali" e sono stati oggetto di qualche critica cui abbiamo già fatto cenno. Mi limito a ripetere, ancora una volta, l’opportunità di considerare le indicazioni sombartiane all’interno del quadro della sua opera, senza assolutizzarne le singole affermazioni, come, ad. es., quella che chiude l’opera: "Così il lusso, che abbiamo visto esser figlio legittimo dell’amore illegittimo, è il padre del capitalismo" (p. 204). Come ho cercato di dimostrare, assolutizzare le singole affermazioni di S. ignorandone le "coordinate quadro" e dimenticando la sua intenzione di individuare la "costellazione" di fattori, mi sembra il modo più sicuro per fraintendere il contributo da lui fornito

 

5.5.1 Impostazione giusta della questione

Quale importanza ha avuto il lusso nello sviluppo del Capitalismo? E come? "Questo problema ha tenuto occupati gli economisti dei sec. XVII e XVIII" e "si riconosceva all’unanimità che il lusso sviluppava quelle forme economiche che allora cominciavano a sorgere ed erano appunto le forme capitaliste; perciò tutti i fautori del "progresso" economico erano ardenti difensori del lusso" (p. 141-142). Perciò, "I governi orientarono la loro politica in un senso favorevole al lusso" e già nel 1600 "le classi dirigenti sono convinte che il dispendio a fini di lusso (nell’interesse dell’industria capitalista) è "necessario"" in quanto reca vantaggi alla collettività: "Quello che tutti i pensatori apprezzano nel lusso è, soprattutto, la sua capacità di animare i mercati" (p. 142). Lo stesso David Hume (1711-1776) giunge alla conclusione che il lusso "buono" è un bene e il lusso "cattivo" è un vizio, ma sempre preferibile alla pigrizia (71). S. riporta i passaggi relativi al lusso della "Favola delle api" di Bernard Mandeville (1670-1733), che più tardi diede a tale concetto la forma di un sistema di filosofia sociale (p. 144).

Insomma, "Rispetto al problema del mercato e al suo influsso sulla genesi del capitale, si è affermata, da Marx in poi, la disgraziata opinione secondo cui il capitalismo sarebbe stato favorito dall’ampliamento geografico dei mercati e soprattutto dallo sfruttamento delle colonie nel sec. XVI. […] Questa direzione, seguita da quasi tutti gli storici dell’economia contemporanei, mi sembra fatale, poiché […] non sono state indicate le vere cause che provocano il passaggio al periodo del capitalismo economico" (p. 145-146). Infatti per S. "fu il lusso a dare il principale contributo allo sviluppo del capitalismo, fino alla fine del primo periodo capitalistico. […] Il lusso ha cooperato, nei modi più diversi, alla genesi del capitalismo moderno. Ha svolto un ruolo essenziale nel passaggio dalla ricchezza feudale alla ricchezza borghese (debiti)" (p. 146).

 

5.5.2 Il lusso e il commercio

"L’influenza del lusso si fece sentire in modo ancor più insistente, esclusivo e profondo nel piccolo commercio. Se nel primo periodo capitalistico vi furono alcuni importanti settori del grande commercio che, benchè adottassero forme capitaliste, non si riferivano per niente al lusso (ad esempio: il traffico del rame, del grano), non credo che vi sia prima del sec. XIX un solo caso di commercio al minuto che rivesta forme capitaliste e non si riferisca a generi di lusso" (p. 158). "L’importanza straordinaria del commercio di lusso è pure dimostrata dal fatto che le società commerciali si formavano solo per seterie, telerie e oreficerie" (p. 164). Nella sfera del commercio al minuto il capitalismo si sviluppa grazie alla diffusione del lusso attraverso le seguenti cause:

"1. La natura delle merci determina l’organizzazione capitalista.

2. La natura della clientela dà, pure essa, incremento allo sviluppo del capitalismo. Questa clientela illustre fa valere le massime esigenze di eleganza e inoltre […] non paga in contanti, quando paga, la qual cosa costringe il commerciante di articoli di lusso – a parità di circostanze – a tenere a propria disposizione un capitale molto maggiore" (p. 164)

ed i seguenti avvenimenti:

"1. Si stabilì una differenza tra commercio al minuto e il commercio all’ingrosso.[…]

2. I commercianti cominciano a installare le loro sedi con maggiore eleganza, al fine di attrarre la clientela […]

3. La forma del moderno commercio al minuto, nel quale le merci vengono riunite secondo la loro finalità, si distacca dal commercio antico, destinato a un settore […]

4. L’oggettivazione del rapporto fra il commerciante e la clientela […]

5. L’ultimo punto, il più importante, è l’ampiezza di questi negozi, i quali, a mano a mano che venivano applicati i suddetti nuovi principi mercantili, dovettero ingrandire la loro base capitalista" (p. 161-163).

 

5.5.3 Il lusso e l’agricoltura.

"Il capitalismo nell’agricoltura fu immediatamente favorito dal lusso, nel senso che campi precedentemente arati si trasformano in pascoli per le pecore, affinchè possa venir soddisfatta la richiesta di lana" (p. 167). Tale trasformazione secondo S. ha una duplice importanza in quanto "da una parte crea forme di organizzazione capitalista, dall’altra stimola la formazione dell’industria capitalista, riducendo lo spazio di attività dei piccoli agricoltori indipendenti.[…] L’influenza del lusso nell’agricoltura consiste, inoltre, nel fatto che esso migliora ed affina la produzione: ciò aumenta i profitti e pertanto il valore della terra, obbligando i proprietari, se non a dare inizio ad attività capitaliste, almeno a impregnare l’agricoltura di spirito capitalistico, il che spezza le antiche forme dell’agricoltura feudale e favorisce indirettamente lo sviluppo generale del capitalismo" (p. 167).

 

5.5.4 Il lusso e l’industria.

"E’ nella sfera della produzione industriale che meglio si vede l’influenza del lusso" (p. 177). S. distingue le "industrie di lusso pure" quelle che producono solo oggetti fini e "industrie miste" quelle industrie che producono anche oggetti ordinari e di fattura più grossolana destinati al grande smercio. Analizzando nel dettaglio queste industrie S. dimostra che: 1) alcune industrie di lusso hanno raggiunto una grandiosa estensione; 2) le industrie di lusso pure hanno assunto fin dai primi momenti una forma capitalista; 3) le industrie di lusso sono le prime in cui si stabiliscono le forme organizzative e produttive del grande capitalismo.

"Notiamo dappertutto che le industrie suntuarie sono dominate dal capitalismo […], mentre continuano nello stesso tempo ad esistere gli antichi mestieri manuali. Vediamo […] come le parti dei mestieri manuali che assumono la forma del capitalismo comprendano sempre quelle attività che producono per le esigenze del lusso. La maggioranza dei mestieri conosce, nel primo periodo del capitalismo, un processo di differenziazione consistente nella separazione del lavoro artistico e qualificato da quello ordinario e nel fatto che il primo diventa autonomo in industrie sue proprie, le quali acquistano un carattere capitalista, mentre il lavoro ordinario continua per molto tempo nella forma del mestiere manuale, finché, ai nostri giorni, conosce anch’esso la trasformazione capitalista" (p. 186).

S. conclude la sua analisi dedicando l’ultimo paragrafo alla "potenza rivoluzionaria del consumo di lusso". Rinnovando la sua critica all’opinione più diffusa secondo la quale "è la dilatazione geografica del mercato a far sì che il capitalismo acquisti vigore rispetto al mestiere manuale", afferma che "è molto maggiore l’influsso esercitato dal formarsi di un gran consumo di lusso sull’organizzazione della produzione industriale. E’ il lusso l’elemento che – in molti casi, non in tutti – apre le porte al capitalismo" (p. 201). Per S. la causa determinante si trova nell’estensione del consumo di lusso e che le industrie suntuarie entrano nel capitalismo in quanto industrie di lusso. Difendendo tale tesi esplicita quattro cause per cui le industrie di lusso sono le più suscettibili di organizzazione capitalista.

Prima causa. La natura del processo di produzione. "L’articolo di lusso richiede quasi sempre una materia prima di valore elevato" ed un "procedimento […] di solito più costoso di quello con cui viene fabbricato l’articolo ordinario. […] Ancora una volta, pertanto, è avvantaggiato l’impresario che dispone di capitale. La fabbricazione degli oggetti di lusso però non solo è più cara, ma è pure più artistica, più complicata, presuppone maggiori conoscenze" (p. 202).

Seconda causa. Sulla natura dello smercio. S. sottolinea il fatto che la vendita di articoli di lusso si trovi soggetta a maggiori rischi, sia per la negligenza con cui i gentiluomini effettuavano i loro pagamenti provocando "frequenti perdite al produttore di articoli di lusso" e rendendo "necessaria una base capitalista più ampia di quella consueta", sia perché è noto "come mutino rapidamente i capricci dei ricchi: nei primi tempi del capitalismo la "moda" comincia a prevalere sul gusto. Questo rapido mutamento comporta, da un lato, frequenti eccessi di merci invendute; dall’altro, esige dal produttore una grande flessibilità mentale, perché egli possa adeguare la produzione alle nuove esigenze della clientela" (p. 203).

Terza causa. Di carattere storico. "Tutte le industrie di lusso dei paesi europei, nel Medioevo, sono state create artificialmente o dai principi o da stranieri dotati di spirito d’impresa" e "recano fin da principio un’impronta razionale. Nascono, in genere, al di fuori delle antiche limitazioni corporative e molte volte in opposizione ai consolidati interessi degli artigiani del paese. Nel momento in cui si installano […] considerano null’altro se non l’utile e il profitto" (p. 203).

Ultima causa. La possibilità di un grande mercato. "Ma la condizione più importante che doveva compiersi affinché un tale sistema economico potesse sussistere era uno smercio adeguato al suo carattere essenziale" (p. 203).

 

M. F. M.

Tesina per l'esame di Sociologia - Prof. Mottura - Anno accademico 1998-1999

 

Appendice. Noterella biografica

Werner Sombart; economista, storico e sociologo tedesco (Ermsleben, Harz, 1863-Berlino 1941). Dopo aver compiuto gli studi a Berlino, frequentando tra l'altro i corsi di Schmöller e di Wagner, e in Italia, a Pisa, con Toniolo, nel 1890 fu chiamato alla cattedra di scienze economiche a Breslavia. Successivamente insegnò a Berlino, prima alla Scuola superiore di commercio (1906) e poi all'Università (1917). Le sue opere più significative sono Der moderne Kapitalismus (1908) e Der Bourgeois (1913; Il borghese). Merita inoltre di essere ricordata una serie di saggi sulla storia del proletariato in Italia raccolti in Sozialismus und soziale Bewegung (1896; Socialismo e movimento sociale), in cui esaminò criticamente il pensiero marxiano, il volume Deutscher Sozialismus (1934; Socialismo tedesco), ove cercò di conciliare le proprie teorie sociali con l'ideologia nazista. Tradizionalmente annoverato fra i rappresentanti della "giovanissima" scuola storica tedesca, S. cercò d'interpretare l'evoluzione della vita economica in termini di sistemi successivi ma indipendenti (classificabili sostanzialmente in precapitalismo, capitalismo e postcapitalismo), tutti caratterizzati da un particolare "spirito". (Enciclopedia de Agostini GEDEA 1998).

 

Note

A. Cavalli, Werner Sombart nel centenario della nascita, in Quaderni di Sociologia, XIV, 1, 1965, pp. 220-227. Da questo articolo prendo spunto per riassumere le critiche rivolte a W. Sombart.

2 Cfr., ad es., i diffusissimi Anthony Giddens, Sociologia, Il Mulino, Bologna 1998; Neil J. Smelser, Manuale di sociologia, Il Mulino - Prentice Hall International, Bologna - Englewood Cliffs 1996; P. Ceri - L. Gallino - F. Garelli - A. Milanaccio - S. Scamuzzi, Manuale di sociologia, Utet, Torino 1998.

3 Alessandro Cavalli, Werner Sombart nel centenario della nascita, op. cit.

4 G. Barbieri, A. Bertolino, M. R. Caroselli, H. Kellerbenz. G. Luzzatto, F. Melis, G. Mira, L'opera di Werner Sombart nel centenario della nascita, con una prefazione di A. Fanfani, Giuffrè, Milano 1964.

5 Cfr. W. Krause, Werner Sombart Weg von Kathedratsozialismus zum Faschismus, Rütten & Lönig, Berlin 1962, cit. in A. Cavalli, Werner Sombart nel centenario..., op. cit..

6 Cfr. A. Sapori, Werner Sombart, 1863-1941: lettura tenuta il 3 maggio 1943, in Atti dell'Accademia fiorentina di scienze morali "La Colombaria", I, 1947, pp. 169-203, cit. in Ibid.

7 A. Bertolino, op. cit.

8 W. Sombart, Il socialismo tedesco, ed. ted. 1934, trad. it. Il Corallo, Padova 1981, capitolo IX, p. 143. In Sozialismus und soziale Bewegung im 19 Jahrhundert, S. "definisce il materialismo dialettico come una concezione mistica e come una Weltanschauung e lo ripudia sia come teoria del divenire sociale che come teoria rivoluzionaria" (A. Cavalli, Werner Sombart nel centenario..., op. cit., p. 225).

9 Per il marxismo "La forma fondamentale dell'attività degli individui è naturalmente quella materiale, dalla quale dipende ogni altra forma intellettuale, politica, religiosa, ecc." (Marx-Engels, L'ideologia tedesca, ed. Riuniti, Roma 1958, p. 70). "Le relazioni fondamentali di ogni società umana sono quindi i rapporti di produzione" (Henri Lefebvre, Il marxismo, ed. it. Garzanti, Milano 1954, p. 19) che costituiscono la "struttura essenziale" la "infrastruttura" su cui si impianta la "sovrastruttura" ideologica (morale, diritto, arte, religione, ecc.) che non ne è che il riflesso. "L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società. Ossia la base reale sulla quale si eleva una struttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forze determinanti della coscienza sociale. [...] Non è la coscienza dell'uomo che determina la sua maniera di essere, ma è, al contrario, la sua maniera di essere sociale che determina la sua coscienza" (K. Marx, Per la critica dell'economia politica, ed. Riuniti, Roma 1972, pp. 10-11 e p. 15).

10 "La filosofia della prassi è il coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale, dialettizzato nel contrasto tra cultura popolare e alta cultura. Corrisponde al nesso Riforma protestante più Rivoluzione francese; è una filosofia che anche una politica e una politica che è anche filosofia" (Antonio Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Einaudi, Torino 1948, p. 86). Cfr. pure Luciano Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, (Editori Riuniti, Roma 1972) alle cui pp. 9-15 rimando per la trattazione della problematica.

11 A. Gramsci, Note sul Machiavelli, Editori Riuniti, Roma 1973, p. 23.

12 E' opportuno far rilevare come la condanna di S. sia rivolta soprattutto al Capitalismo, cfr. ad es. Perchè negli Stati Uniti non c'è il socialismo, ed. ted. 1906, trad. it. con una prefazione di A. Cavalli, ETAS, Milano 1975.

13 Da una rapida ricerca sono venuta a conoscenza dell'esistenza di traduzioni de Gli Ebrei e la vita economica; I volume, Il contributo degli Ebrei all'edificazione dell'economia moderna (ed. Ar, Padova 1980, traduzione di Franco Freda che ironizza sullo pseudonimo di "Renato Licandro", da lui usato per "rassicurare coloro che fanno, generosamente, quadrato contro [...] le nostre pubblicazioni"); Gli ebrei e la vita economica; II volume, La vocazione degli Ebrei per il capitalismo (Ar, Padova 1988); Gli ebrei e la vita economica; III volume, Genesi e formazione dell'identità ebraica (Ar, Padova 1997); Il socialismo tedesco (op. cit.); la selezione di testi raccolti sotto il nome di Metafisica del capitalismo (a cura di Claudio Mutti, Ar, Padova 1977); ed il volume oggetto di questa ricerca, Lusso e capitalismo (All'insegna del Veltro, Parma 1982, a cura di Riccardo Frassinelli; che quanto a prefazione e traduzione non regge però il confronto con l'edizione di Unicopli, Milano 1988, a cura di Mauro Protti).

14 W. Sombart, Il socialismo tedesco, op. cit., p. 8 e 9.

15 A. Cavalli, Werner Sombart nel centenario della nascita, op. cit., p. 226.

16 "Se conosci il nemico e conosci te stesso, non devi temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta potrai subire anche una sconfitta. Se non conosci né il nemico né te stesso, soccomberai in ogni battaglia" (Sun Tzu, L'arte della guerra, Guida, Napoli 1988, p. 83).

17 Valga per tutti l'opera del professore della Harvard University Jeffrey Herf, Il modernismo reazionario. Tecnologia, cultura e politica nella Germania di Weimar e del Terzo Reich (Il Mulino, Bologna 1988, che alle pagine 191-217 dedica un terribile capitolo a Werner Sombart: la tecnologia e la questione ebraica).

18 W. Sombart, Il socialismo tedesco, op. cit., p. 192.

19 Ibidem, p. 234.

20 Oltre alle pp. 32-43 del vol. II dell'opera su Gli ebrei e la vita economica, cfr. Il borghese. Lo sviluppo e le fonti dello spirito capitalistico (con una presentazione di F. Ferrarotti, Longanesi, Milano 1978, pp. 236-247); Il capitalismo moderno (traduzione parziale, con una introduzione e una nota bibliografica di A. Cavalli, UTET, Torino 1967 e 1978, pp. 272-305).

21 W. Sombart, Il borghese, op. cit., p. 244.

22 Cfr. il garbato accenno alla polemica ne Il borghese: "Contro questo malinteso si è già levato risolutamente Max Weber, quando si cercò di attribuirgli il tentativo di far derivare tutto il capitalismo da moventi religiosi" (op. cit., p. 223).

23 George L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, Il Saggiatore, Milano 1984, p. 207-208.

24 Cfr. F. Melis, L'opera di Werner Sombart, segnalato in A. Cavalli, Werner Sombart nel centenario della nascita, op. cit.

25 Cfr. Max Scheler, Vom Umstruz der Werte, cit. in Franco Ferrarotti, presentazione a Il borghese, Longanesi, Milano 1978, p. XI.

26 David S. Landes, Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell'Europa occidentale dal 1740 ai giorni nostri, Einaudi, Torino 1978, p. 33.

27 Cfr. Roberto de mattei, A sinistra di Lutero. Sette e movimenti religiosi nell'Europa del '500; Città Nuova, Roma 1999.

28 M. tangheroni, Commercio e navigazione nel medioevo, Laterza, Bari 1996, p. 485.

29 Valerio Castronovo, Rivoluzione industriale, in Economia e storia - 2, La Nuova Italia, Firenze 1978, p. 733; Idem, Le rivoluzioni del capitalismo (Laterza, Bari 1995, pp. 5), in cui affronta (forse troppo) rapidamente il tema della data di nascita del capitalismo, confrontando Weber e Sombart e dando ragione a quest'ultimo.

30 Sandro Segre, Weber, Sombart e il capitalismo, ECIG, Genova1997, p. 175. Testo per l'esame di Sociologia Economica alla Facoltà di Scienze Politiche di Genova.

31 Ibidem, p. 29. Non sono riuscita a capire perché anche F. Ferrarotti (Presentazione a Il borghese, p. IX) finisca col sostenere che Sombart spiega "con una citazione letteraria" la genesi dello spirito del capitalismo, quando a questo tema è dedicato tutto il Libro secondo di cui scrive la Presentazione. Cfr. anche il prosieguo di questo lavoro.

32 F. Ferrarotti, Introduzione alla sociologia, Editori Riuniti, Roma1997, p. 9, che rimanda all'edizione tedesca de Il Capitalismo moderno, senza però indicare la pagina.

33 W. Sombart, Il capitalismo moderno, op. cit., p. 178, la sottolineatura è mia.

34 Ibidem, p. 180, la sottolineatura è mia.

35 A. Bertolino, in A. Cavalli, Werner Sombart nel centenario della nascita, op. cit., p. 183.

36 F. Ferrarotti, Presentazione a W. Sombart, Il borghese, op. cit., p. IX

37 Tra le molte definizioni che S. dà del capitalismo, ne propongo una, ribadendo l’avvertenza relativa al non dogmatizzarla (vedi oltre): "è una organizzazione economica di scambio, in cui collaborano, uniti dal mercato, due diversi gruppi di popolazione, i proprietari dei mezzi di produzione, che contemporaneamente hanno la direzione e costituiscono i soggetti economici, e i lavoratori nullatenenti (come oggetti economici), e che è dominata dal principio del profitto e dal razionalismo economico" (Il Capitalismo Moderno, op. cit., p. 166). I principi economici sono il profitto ed il razionalismo economico, che prendono il posto dei principi pre-capitalisti della copertura del fabbisogno e del tradizionalismo.

38 W. Sombart, Il borghese, op. cit., p. 151.

39 Ibidem, p. 274. Si noti la somiglianza con A. Gramsci che, a proposito delle "incrostazioni positivistiche e naturalistiche del marxismo", scrive: "E questo pensiero pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici bruti, ma l'uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà, finché questa diventa motrice dell'economia, la plasmatrice della realtà oggettiva, che vive, si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebullizione, che può essere incanalata dove alla volontà piace, come alla volontà piace" (Scritti giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino 1958, p. 150).

40 W. Sombart, Der moderne Kapitalismus, I ediz., p. XXI, cit. in. A. Cavalli, Introduzione a Il capitalismo moderno, op. cit., p. 28.

41 Ibidem, p. 283.

42 Ibid.

43 Ibid.

44 Ibidem, pp. 283-284.

45 Ibidem, p. 284.

46 M. Protti, Introduzione a Lusso e capitalismo, op. cit., p. 14.

47 Ibidem, p. 29.

48 Cfr. ibidem, op. cit., p. 14.

49 Franco Rizzo, Werner Sombart, Liguori editore, Napoli 1974, pp. 201-202.

50 Così, A. Cavalli, Introduzione a Il capitalismo moderno, op. cit., p. 30-31.

51 W. Sombart, Il borghese, op. cit., p. 156.

52 Ibidem, p. 4.

53 W. Sombart, Lusso e capitalismo, All'insegna del veltro, p. 54. Uso tale edizione perché questa parte del mio lavoro è stata scritta prima di reperire la migliore traduzione di Unicopli. Nel prosieguo della mia esposizione, i riferimenti fatti col solo numero di pagina sono tratti da questa edizione.

54 E’ la conclusione cui perviene Cavalli nella Introduzione a Il Capitalismo moderno (op. cit., p. 49), che mi sembra tuttavia rifiutata da S. nelle opere della maturità, come ad es. ne La crisi del capitalismo (in cui non si intende bene se S. si riferisca al primo capitalismo industriale oppure all’economia pre-capitalistica): "Che questa ricostruzione possa essere fatta secondo l’antico disegno […], non è da aspettarsi. […] Ma anche se fosse possibile restaurare l’antico stato di cose, ciò non sarebbe affatto desiderabile" (Sansoni, Firenze 1933, p. 56). Più che "nostalgia", direi che S. propende per una forma di socialismo ("economia programmatica"), in cui la gestione di imprese quali tutto il credito bancario, tutte le materie prime e le forze naturali, tutte le comunicazioni, la difesa; "tutte le imprese su vasta scala cresciute oltre le proporzioni di una economia privata; tutte le attività che presentano speciali motivi per la statizzazione", (Ibidem, p. 58) è fatta direttamente dallo Stato. Con toni più sfumati lo stesso genere di socialismo è descritto ne L’avvenire del capitalismo (La Tipografica, Frosinone 1933), cap. II, pp. 10-28.

55 W. Sombart, Il Capitalismo moderno, op. cit. p.127. In merito alla menzionata "economia di erogazione", la tesi esposta è condivisa anche da Jacques Ellul, che ne La tecnica analizza i diversi atteggiamenti dell’uomo nei secoli cristiani verso la tecnica e il mondo, via via connotati dalla convinzione che sia "meglio occuparsi dei fini ultimi piuttosto che del periodo transitorio", dalla considerazione per cui "non basta che il fatto sia utile e vantaggioso per l’uomo per dichiararlo giusto", ed altre ancora (La tecnica, Giuffrè, Milano 1969, p. 39).

56 La spunto offerto da S. sul ruolo della corte mi sembra tanto significativo, in quanto all’origine dell’assolutismo politico, quanto poco diffuso. Sulle caratteristiche dell’assolutismo, cfr. il classico Alexis de Tocqueville, L’antico regime e la Rivoluzione, Rizzoli, Milano 1981, in particolare il libro II in cui è accennato il tema della corte.

57 Cfr. A. de Tocqueville, op. cit., p. 159 e succ. Sui riflessi nell’organizzazione sociale delle società di ordini (società la cui struttura portante è costituita da un insieme di persone con caratteristiche omogenee), cfr. Roland Mousnier, Le gerarchie sociali, Vita e pensiero, Milano 1971. Sulle società di ordini nel periodo storico che qui interessa, cfr. georges de Lagarde, Alle origini dello spirito laico. Vol. I Bilancio del XIII secolo, Morcelliana, Brescia 1961, pp. 131-174.

58 Cfr. Georges Duby, Lo specchio del feudalesimo, Mondadori, Milano 1993, pp. 410-416.

59 Cfr. G. Duby, Le origini dell’economia europea, Mondadori, Milano 1992, pp. 325-341. Un punto di grande e generale importanza per lo sviluppo della società moderna, evidenziato da S. ne Il Capitalismo moderno (op. cit. p. 215), è il fatto che "i nuovi ricchi, coloro che non posseggono nulla al di fuori del loro denaro, il cui potere è fondato soltanto sulla ricchezza e non hanno altra caratteristica che li possa distinguere se non la possibilità di condurre una vita sontuosa in virtù dei loro mezzi, che questi parvenus trasmettano la loro concezione del mondo materialistica […] anche alle vecchie famiglie nobili che vengono con ciò trascinate nel vortice della vita agiata. […] Questo rinnegamento delle antiche e nobili tradizioni condusse o alla decadenza economica delle antiche famiglie o alle honteuses alliances con i baroni finanziari arricchiti".

60 In realtà l’andamento demografico europeo può ampiamente essere retrodatato (cfr. Jacques Heers, La città nel Medioevo in Occidente. Paesaggi, poteri e conflitti, trad. it., a cura di Marco Tangheroni, Jaca Book, Milano 1995, p. 104 e succ.), ma non per questo quanto scrive S. sul ruolo dell’urbanizzazione perde validità. Sul peso determinante da attribuire ai fattori demografici nello sviluppo economico medievale, cfr. Leopold Genicot (Profilo della civiltà medievale, Vita e Pensiero, Milano 1968, pp.303-306), che nel corso dello stesso capitolo effettua anch’egli qualche accenno di collegamento con la nascita delle grandi città (pp. 309-311).

61 Lo stesso genere di mutamenti nell’atteggiamento verso le realtà terrene (denaro, morte, ecc.), per la sola Francia, è efficacemente descritto da Bernard Groethuysen, Le origini dello spirito borghese in Francia, Il Saggiatore, Firenze 1975.

62 Alla luce di più recenti studi storici, si potrebbe tentare un collegamento del trobador provenzale allo straniero sombartiano (vedi sopra), passando attraverso la resa di Montségur del 1244, come modalità di trasmissione del manicheismo cataro e della sua concezione del rapporto tra i sessi. Esplicitamente contro questa tesi è Henri-Irénée Marrou (I trovatori, Jaca Book, Milano 1983, pp. 145-148), mentre a favore è la Encyclopedia Britannica (voce Troubadours, editio 1964, vol. XXII, p. 502). Ho trovato qualche spunto di riflessione sul tema in Henri-Charles Puech, Il manicheismo, in Storia della religioni, vol. 8, Laterza 1977, pp. 262-270. Un accenno di riflessione sulle variazioni nella concezione dell’amore è stata fatta da Thomas Molnar, L’utopia eresia perenne, Borla, Torino 1968, pp. 43-47.

63 La cocotte concede le proprie grazie a varie persone contemporaneamente, la femme entretenue dispensa i suoi favori ad un amante.

64 "Ma tale processo di secolarizzazione non sarebbe stato tanto rapido, e la diffusione del lusso non avrebbe conosciuto proporzioni così colossali in un periodo così breve, se accanto alla corte non fosse emersa un’altra fonte importante dalla quale si sprigionasse l’ampio flusso della sete di piacere, della vita allegra, della vanità e del fasto che si riversò nel mondo: se cioè non fosse scoppiato come una malattia devastatrice un intenso bisogno di beni di lusso presso i "nouveaux riches"" (Il Capitalismo moderno, op. cit., p. 212).

65 "Questa tendenza fatale della nobiltà a tenere il passo dei mercanti nella ostentazione del lusso è reperibile in ogni Paese e in ogni tempo non appena la ricchezza borghese si accresce in modo repentino" (Il Capitalismo moderno, op. cit., p. 216).

66 Ne Il capitalismo moderno, S. aggiunge una quinta importante tendenza quella al mutamento. Essa si manifesta nel crescente dominio della moda, che porta come conseguenze "la tendenza al mutamento da essa prodotta e la standardizzazione dei bisogni a cui essa necessariamente conduce" (op. cit., p. 227). In quest’ottica la moda risulta essere "una manifestazione necessaria del processo di secolarizzazione della condotta di vita, accompagnato dai crescenti consumi di lusso a sfondo edonistico" (Ibidem, p. 228).

67 Cfr. Lusso e capitalismo, ed. Unicopli, p. 97-98.

68 Trad. it. Einaudi, Torino 1949 e Il Saggiatore, Milano 1969.

69 Antonella Picchio, espressione (a mio modo di vedere felicissima) raccolta durante una lezione. Relativamente agli elementi che verranno ora esposti, non sono stata in grado di trovare alcun riferimento bibliografico di confronto/conferma, nè di approfondimento.

70 Sotto questo aspetto S. rimanda a Montesquieu per la Francia e Mandeville per l’Inghilterra, ma la traduzione de All’insegna del veltro ha dilettantescamente omesso interi gruppi di note dell’A. (p. 135). Nella traduzione di Protti (ed. Unicopli) S. rimanda all’Esprit des lois, di Montesquieu senza nulla dire di Mandeville.

71 S. cita D. Hume, Of refinement in the arts, in Essays, ed. 1793, 19ss.