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La riforma Berlinguer "in progress"

Relazione letta al Convegno Nazionale di Alleanza Cattolica del 31-1-1998

 

Premesse

Il mosaico. Le riforme delle istituzioni educative operate dall'Ulivo, possono essere comprese solo se considerate nel loro complesso: lo stesso Ministro per l'Università, la Ricerca Scientifica e Tecnologica, On. Berlinguer, le ha definite un "mosaico": "Ho intenzione di tracciare un disegno complessivo per intervenire ed applicare una tessera per volta" (1).

La presunta improvvisazione. Le iniziative legislative in corso non possono in alcun modo essere considerate come improvvisate: sono invece il frutto di un'elaborazione teorica (2) e di un'azione politica almeno pluridecennale, che ha trovato nella attuale coalizione di Governo la possibilità di operare quasi senza ostacoli. A ciò si aggiunga che vengono realizzate col supporto di almeno venti ex-funzionari del PDS, della CGIL e di area, che sin dalla vittoria elettorale operano all'interno dei ministeri educativi del paese (3).

Due possibili modalità espositive. Vengono qui inquadrati i principali provvedimenti - approvati ed annunciati - in una classificazione che meglio permetta la comprensione del "mosaico" al grande pubblico. E' tuttavia possibile la classificazione degli stessi all'interno delle tre "linee-guida" dichiarate dalla coalizione di Governo (4) , la cui comprensione può tuttavia risultare più difficile a causa della ambivalente terminologia dei pedagogisti che l'hanno pensata.

A causa della continua e progressiva emissione di atti e proposte legislative, la situazione esposta tiene conto dei principali provvedimenti noti alla data del 1 gennaio 1998.

 

1 - Il fine

Il fine del progetto educativo soggiacente la riforma (5) è di fare dell'uomo un cittadino "democratico", capace cioè di adattarsi ai cambiamenti sociali e, anzi, di velocizzare il progresso. Si tratta - come si può leggere nella Proposta per l'istituzione dei "liceo delle scienze sociali" - di "superare la distinzione tra teoria e pratica in una concezione poietica del sapere" (6). A tale concezione si riferiva probabilmente l'On. Berlinguer con la celebre - ma abbondantemente sottovalutata - frase secondo cui "Il grande liceo classico in cui abbiamo studiato [...] ci ha corrotto. Molti di noi, che hanno fatto quegli studi, hanno un rifiuto della manualità e questo é un fatto che non va d'accordo con la cultura contemporanea" (7).

Per i pedagoghi marxisti o postmarxisti, infatti, tale poiesi dice relazione non soltanto all'attività lavorativa comunemente intesa, bensì al primato della prassi sulla contemplazione del reale (8). Questo orientamento, che in ultima istanza si rivela come orientato alla palingenesi attraverso la prassi, non viene più esplicitato dai postcomunisti odierni in termini vetero-comunisti, ma trova piuttosto espressione nell'attenzione rivolta alla multimedialità e alle tecnologiche didattiche e non (cfr. le cm n. 282 del 24-4-97 e n. 425 del 7-7-97), di cui potrebbe essere la chiave di lettura più autentica.

Il legame tra poiesi e nuove tecnologie didattiche é messo in risalto dal prof. Roberto Maragliano, docente di area PDS all'Università di Roma Tre e presidente della cosiddetta Commissione ministeriale dei "saggi", nei seguenti termini: "Il presente intervento considera la multimedialità più come risorsa epistemologica che come parco strumenti. L'invito che ne viene è di cogliere nelle logiche di funzionamento delle macchine l'emergere di forme di pensiero e di coscienza assai diverse di quelle ereditate dalle forme di dominio e di esclusività proprie della scrittura a stampa [...] Stiamo di fatto passando da un regime all'interno del quale l'attività formativa [ ...] equivaleva alla configurazione e alla conseguente messa in azione di saperi stabili, destinati a costituire lo sfondo immobile per le future attività lavorative dell'individuo destinatario di tale azione, ad un regime dentro il quale la conoscenza e le dinamiche che le sono proprie assumono un ruolo di primissimo piano in tutte le attività dell'individuo, presenti e future, produttive e no [...] Tra le molte risorse che la multimedialità mette a disposizione di chi si occupa di problemi formativi ce n'è una il cui impiego, particolarmente impegnativo [...]: si tratta di vederla non tanto come parco strumenti né come un'area di contenuto caratterizzata dalla presenza di sofisticate procedure tecnico-scientifiche, ma come chiave filosofica generale per fare i conti con la configurazione in perenne movimento del problema generale della formazione" (9).

Così, l'impressione che le Riforme in corso siano improntate ad un mero economicismo (10) (originata tra l'altro dal documento relativo al Riordino dei cicli scolastici (d'ora in avanti abbreviato in Riordino[11]) e dal corrispondente documento di Riordino della Ricerca Scientifica e Tecnologica (12), che pure é una componente ben presente), devono invece venire inquadrate in tale visione epistemologica, che viene dichiaratemente posta al servizio di una educazione "nella e alla democrazia" (13).

E' questo il fine ultimo delle riforme in corso. Nella prospettiva della globalizzazione, il "problema dell'identità individuale e delle forme di appartenenza [é] al centro dell'attenzione di una scuola rinnovata" (14), poiché "un sistema formativo contribuisce allo sviluppo di un paese quando sa anticipare le domande, i bisogni, i vincoli di un futuro possibile. Di fronte alla crisi del rapporto qualità della vita - qualità del lavoro - qualità dello sviluppo, alla scuola si chiede di operare in vista della promozione di una "cittadinanza attiva"" (15).

La tesi sin qui sostenuta é rilevabile in molti dei documenti sinora emanati, da quelli apparentemente "neutri", come le Ordinanze Ministeriali (OM) n. 400 del 30-7-96 e n. 455 del 29-7-97 [16] (relative a Corsi per adulti finalizzati all'alfabetizzazione culturale e ad una prima formazione professionale, volti ad "acquisire, consolidare e sviluppare la flessibilità come disponibilità a cambiare e innovare"), alle più note direttive ministeriali (dm) nn. 681 e 682 del 4-11-96 (relative a Modifiche delle disposizioni relative alla suddivisione annuale del programma di Storia), che, nella loro prima applicazione (ossia il Decreto Ministeriale (DM) del 31-1-97 per gli istituti professionali), contengono espliciti riferimenti a Braudel, alla circolare ministeriale (cm) 27-4-97 per le celebrazioni gramsciane. (17).

La stessa logica soggiace anche al Regolamento approvato con direttiva ministeriale (dm) 245 del 21-7-97, relativo agli Accessi all'istruzione universitaria e ad attività di orientamento che sembra voler "orientare" gli studenti favorendone (anche attraverso borse di studio erogate dai Comitati di Coordinamento Regionali [18]) l'iscrizione nelle facoltà più funzionali ai bisogni del paese (19).

 

2 - Il ruolo della famiglia

Quanto sinora esposto in tema di finalità educative abbisogna della riduzione del diritto naturale e primario della famiglia ad educare: nella logica della riforma, la famiglia non deve ostacolare il progresso con il naturale esercizio della sua influenza sui "futuri cittadini", e deve possibilmente essere sussidiaria all'azione dello Stato (20).

E' questa la direzione indicata dal citato documento finale della "Commissione dei saggi" che elenca i motivi - culturali e non - di ostacolo alla scuola rinnovata: "Ci si deve rendere conto di quanto sia ancora grande, in Italia, la diseguaglianza delle opportunità educative. L'articolo 3 della Costituzione italiana aveva impegnato la repubblica a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana". Ma secondo alcuni dei più importanti indici internazionali sullo sviluppo dell'educazione, risulta che la produttività formativa del scolastico italiano è ancora arretrata rispetto a quella di buona parte dei paesi europei. Famiglia, ricchezza e cultura di provenienza determinano in forme non più accettabili la riuscita scolastica di moltissimi individui" (21).

Va segnalato che la più evidente conseguenza del citato Riordino, riproposta senza variazioni nel Disegno di Legge (DdL) approvato dal CdM il 3-6-97 e purtroppo data come ineludibile da tutti, consiste nella elevazione della durata della scolarità obbligatoria - da otto a dieci anni - e nell'anticipo dell'inizio dell'obbligo all'ultimo anno della scuola dell'infanzia (DdL cit., art. 3), mentre viene già annunciata un ulteriore innalzamento dell'obbligo "sino al diciottesimo anno di età"(22).

Inoltre, l'importante Proposta del MPI di riforma del Decreto Legge (DL) 148/1990 (relativo alle scuole materne ed elementari), mentre prospetta l'ipotesi di una frequenza scolastica anche di quaranta ore settimanali, afferma: "E' necessario confermare e consolidare le condizioni di qualità del tempo scolastico, rimuovendo le diverse difficoltà presenti (strutturali, inadempienze dell'ente locale, resistenze delle famiglie). Il tempo scolastico è un valore" (23).

L'uso della Scuola come "alternativa" alla famiglia, risulta evidente anche dal disposto della cm n. 135 del 3-4-96, dal DL n. 323 del 20-6-96 e nella cm n. 654 del 17-10-96 (inerenti il Regolamento per apertura pomeridiana delle scuole), in cui si elenca la tipologia delle attività realizzabili "teatro e animazione; ascolto ed esecuzione musica; giornali studenteschi; laboratori letterari; realizzazione libri, fumetti, video e audiocassette; concerti; conferenze; sport; tornei; gemellaggi; approfondimento di argomenti di attualità guidato da docenti; attività educative, culturali, ludiche, sportive anche aperte al territorio [...] possibilità di disporre anche di un locale attrezzato quale luogo di ritrovo anche pomeridiano, con servizio mensa o altro tipo di ristoro".

Anche la più recente proposta del M.P.I. di uno Statuto degli studenti e delle studentesse - presentata il 19-12-97 -, esclude ogni e qualsiasi possibilità di intervento delle famiglie in ambito formativo e di contributo, non menzionandole neppure: lungi dal toccare principalmente i docenti questo provvedimento acquista la sua vera e più profonda drammaticità se si considera la totale esclusione dei genitori e dei loro diritti dall'ambito scolastico.

 

3 - Il ruolo dello Stato

Lo Stato, per assicurare la riuscita del disegno sin qui descritto, non può tollerare ingerenze nello stabilire i fini dell'educazione: dovrà perciò perseguire maggiore efficienza attraverso un decentramento amministrativo, valutare quali istituti sono efficienti e certificare i risultati ottenuti da alunni, docenti e scuole.

E' questo lo scopo dei DL 59/97 - c.d. "Bassanini" - e 127/97 - c.d. "Bassinini 2" dal Parlamento (ma in qualche modo già anticipato col DL n. 323 del 20-6-96, relativo a una Manovra di contenimento della spesa pubblica), il cui "federalismo" e "autonomia" (24)educativi sono esposti negli art. 17, 20 e 21. Va sottolineato che tale autonomia non si riferisce al proigetto educativo e ai suoi fini, ma è meramente "organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale" (art. 21, c. 7), ossia "l'autonomia didattica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione [...] essa si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento scolastico" (art. 21, c. 9).

Gli eventuali rischi di un "eccesso" di autonomia vengono perciò contenuti col DM n. 26 del 10-1-97(25), che prevede l'istituzione di un Comitato di Coordinamento e di Indirizzo per "assicurare l'unità di indirizzo dei programmi di sviluppo".

Quanto agli obiettivi educativi e agli standard citati, verranno definiti e controllati da un altro ente statale (come previsto dall'articolo 17 del citato DL 59/97, le cui implicazioni sugli istituti educativi sono passate quasi inosservate): i DM 296 e 328 del 1996, hanno disposto la costituzione di una Commissione tecnico-scientifica Per un Sistema Nazionale di Valutazione, nella cui relazione conclusiva si può leggere che lo "scopo fondamentale di un Sistema di valutazione è dunque quello di valutare lo stato e l'efficienza del sistema formativo del Paese nelle sue articolazioni e a tutti i suoi livelli, al fine di suggerire i necessari miglioramenti anche a confronto con comparabili situazioni di altri paesi [...] Il Servizio nazionale di valutazione avrebbe così anche la funzione di "agenzia di certificazione""(26). Le dm n. 307 del 21-5-97 e la cm n. 403 del 26-6-97, hanno sancito la costituzione di tale Servizio, affidandone al CEDE (27) la funzione di guida e coordinamento, mentre il DL n. 440 del 18-12-97 (istitutivo di un Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa) provvederà all'ampliamento del finanziamento delle attività di valutazione.

Tuttavia, l'ambito in cui più si manifesta la pseudo autonomia di cui si parla, mi sembra essere quello dell'Università (28): a fronte della de-statalizzazione che accompagna la presentazione di numerosi provvedimenti (29), il ricatto del finanziamento subordinato alla valutazione(30) é evidentissimo. Per l'Università, inoltre, é da segnalare un ulteriore tipo di controllo, costituito (oltre che da equivalenti Comitati di Coordinamento Regionali) dal ridimensionamento delle funzioni del Consiglio Universitario Nazionale, di cui al D.M. 278 del 21/7/97, e dalla istituzione del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, il cui Schema di Regolamento é stato approvato dal CdM il 28-11-97, miranti a ripristinare "l'autonoma responsabilità decisionale dell'autorità di governo del sistema (da ciò la contrastata e contestata decisione, contenuta nella riforma del CUN, di abolire - nei rapporti tra quest'ultimo e il MURST - l'istituto dei pareri "conformi" o "vincolanti")" (31).

 

4 - Il ruolo dei docenti

Nel "mosaico" in corso di attuazione, i docenti dovranno essere formati solo dallo Stato, non dovranno "inventarsi" i fini e i metodi di educazione ma attenersi strettamente alle indicazioni ricevute e dovranno permettere alle "forze vive" della società di controllare il loro operato e partecipare al progetto educativo(32).

I d.p.r. n. 470 e n. 471 del 31-7-96 hanno istituito il "Corso di laurea in Scienze della formazione primaria e delle scuole di specializzazione per i docenti delle scuole secondarie" che per i nuovi insegnanti comporta l'obbligo della abilitazione - disposto dal DM n. 231 del 28-3-97 - solo attraverso i nuovi corsi di post lauream per la scuola primaria e secondaria. Oltre alla evidente intenzione di una più "ortodossa" formazione degli insegnanti, va rilevato che "a seguito dell'introduzione dei suddetti corsi di laurea non possono più considerarsi validi, ai fini dell'accesso all'insegnamento nelle predette scuole, i titoli di Studio attualmente rilasciati dalle scuole e dagli istituti magistrali" (Decreto Interministeriale del 10-3-97[33]), in massima parte di ispirazione cattolica.

L'insegnante della Riforma sarà pertanto sottoposto al controllo da parte della società, dei suoi allievi e di strutture interne alla scuola (34): nella citata ultima Bozza Ministeriale dello Statuto degli studenti si legge: "I dirigenti scolastici e i docenti, con le modalità previste dal regolamento di istituto, attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico [...] Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni. Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto".

Infine, con la Proposta di Legge dell'Ulivo - c.d. "Acciarini" - n. 2665 presentata alla Camera, che propone l'elevazione degli organi collegiali interni da tre a undici, "Invece di decidere, insegnanti, presidi studenti e genitori dovrebbero stare in seduta permanente a discutere, mediare, contrattare in una perenne "mobilitazione" [...] L'effetto più deleterio di questa impostazione ultraconservatrice è quello di indurre ogni operatore al rispetto delle regole formale e delle procedure, piuttosto che impegnarsi a definire e realizzare gli obiettivi del servizio" (35).

 

5 - La scuola non statale

Nella prospettiva della Riforma l'educazione è un "servizio pubblico"(36) e perciò - con una totale contraddizione del principio di sussidiarietà - le scuole non statali suppliscono lo Stato dove esso non può arrivare o non è sufficientemente efficiente: la presenza della scuola "privata" appare così come l'ultima barricata che può turbare il progetto di adattamento della natura umana al continuo divenire.

Nonostante le apparenze, la Riforma non affronta il tema della parità solo nella relazione conclusiva della Commissione detta D'Amore[37] (di cui al DM n. 329, del 5-7-96, istitutivo di una Commissione di studio per la definizione del collegamento fra scuola non statale e sistema pubblico di istruzione), ma ne ha iniziato un "accerchiamento" attraverso numerosi interventi di natura indiretta e settoriale (38).

Lo schema di documento conclusivo della citata Commissione D'Amore, presentato il 10-3-97, tuttavia, contiene decisive indicazioni che confermano quanto sinora delineato. In esso si può leggere che "il ruolo di Stato-gestore si va trasformando [...] nel ruolo di Stato-regolatore" mirante a "un sistema pubblico governato da norme comuni e fondato su una convergenza culturale e sociale circa gli obiettivi formativi"; la scuola non statale dovrà perciò assumere il ruolo di una istituzione educativa che concorra "al raggiungimento degli obiettivi e degli standard fissati dallo Stato". Tra le condizioni per poter svolgere il "servizio pubblico integrato" vengono ribadite la "conformità alle norme generali sull'istruzione fissate dalle Leggi della Repubblica", la "Esistenza di un Progetto educativo di Istituto elaborato sulla base dei principi costituzionali e di parametri generali", la "presenza di un sistema di controllo interno ad ogni istituto con finalità autovalutative e informative", la "accettazione dei controlli esterni", la "presenza di forme di partecipazione democratica alla gestione autonoma dell'istituto" e, non ultimo per importanza, il "possesso da parte del personale direttivo docente e non docente dei requisiti di professionalità previsti dalle leggi generali", che potrà consistere anche nell'assunzione dello stesso tra i ruoli dello Stato.

Siamo assai lontani da quanto auspicato dal Rettore della Pontificia Università di Scienze dell'educazione "Auxilium", prof. Enrica Rosanna, uno dei "saggi" nominati da Berlinguer, nell'ambito della già citata commissione c.d. dei "saggi": "Non è più possibile oggi parlare di programmi in termini tradizionali. In regime di autonomia ogni scuola dovrà scegliere il proprio percorso a partire dal profilo di uomo che vuol formare" (39).

David Botti
Milano, 28 gennaio 1998
San Tommaso d'Aquino, O.P.

 

NOTE

(1) Chiara Raiola, Berlinguer: la scuola scoprirà l'autonomia in L'eco di Bergamo del 20-7-96, ove aggiunge che: "Le cause che non hanno permesso fino ad oggi l'approvazione di una riforma organica del sistema educativo italiano sono innumerevoli e, prima di tutte, aver voluto realizzare grandi progetti onnicomprensivi". La tesi é confermata dal sottosegretario di Stato per l'Università, il cristiano-sociale sen. Luciano Guerzoni: "Due le strade teoricamente possibili: la c.d. "riforma organica" o ordinamentale dell'intero sistema universitario (un modello culturale e organizzativo complessivo, da tradurre poi in un mega-disegno di legge da varare in Parlamento, con i tempi e le logiche parlamentari.... italiane); una pluralità di interventi/strumenti parziali, da attivare simultaneamente, in funzione di obiettivi determinati, comunque riconducibili ad un disegno generale di riforma (conseguentemente: confronto politico-culturale e parlamentare non per modelli, ma su obiettivi e sull'adeguatezza degli strumenti adottati in funzione degli obiettivi perseguiti). In sostanza, secondo la formula più volte enunciata dal Ministro Berlinguer, una "strategia a mosaico". Si è scelta la seconda strada, fondamentalmente per i seguenti motivi: assenza delle condizioni culturali, istituzionali e politico-parlamentari per una "riforma organica" o di sistema; l'esperienza degli esiti deludenti, quando non fallimentari, di precedenti "riforme organiche", anche in altri settori, irriducibilmente condizionate dalla necessità della mediazione - spesso soltanto astratta e/o ideologica - fra posizioni diverse, dal compromesso "corporativo" degli interessi in campo e dall'assillo della coerenza del "modello normativo", senza alcuna attenzione per criteri di efficienza/efficacia dell'intervento riformatore, né per la sua concreta implementabilità; una valutazione di fondo: la dipendenza dei mali dell'Università, più che da carenze di innovazione "ordinamentale", da un insieme di fattori" (L'azione del governo per la riforma dell'Università: sintesi delle linee guida (Giugno 1996 - Marzo 1997), a cura del Sottosegretario con delega per l'Università, Luciano Guerzoni, Internet, URL del MURST).

(2)Per una corretta individuazione delle origini culturali e pedagogiche della "Riforma Berlinguer", si vedano, almeno, Bogdan Suchodolski, Trattato di pedagogia generale. Educazione per il tempo futuro, Armando, Roma nel 1964; Aldo Visalberghi, J. Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1951; Lucio Lombardo Radice, Bilancio e prospettive, in Riforma della Scuola, n. 8-9 agosto-settembre 1976, p. 4; Lamberto Borghi, Trasformazione e riproduzione nel pensiero di Dina Bertoni Jovine, in Scuola e Città, 7, 1991, p. 316-324.

(3) "Ha portato con sé non due ma trenta collaboratori addestrati come pit-bull a mordere [...] E che a una pletora di funzionari rimorchiati per sbarcare il lunario dell'ordinaria amministrazione, preferiva il pool di teste di cuoio allenate ad andare dritti al bersaglio grosso della riforma del sistema scolastico italiano" (Luigi Amicone, Libertà... ch'è sì cara, in Tempi del 16-10-96; cfr. pure Francesco Anfossi, Tutti gli uomini del "barone rosso", in Famiglia Cristiana, n. 36/96, p. 57).

(4) Il concetto è stato ribadito anche in occasione dell'annuncio del DdL sulla "parità": "L'approvazione dell'autonomia scolastica, insieme al riordino dei cicli e all'avvio della riforma dei programmi di insegnamento, costituiscono i capisaldi con cui il governo dell'Ulivo intende rispondere alle esigenze della scuola italiana. Manca ora all'appello solo la legge sulla parità solo la legge sulla parità delle scuole" (Luciana di Mauro, Parità scolastica, presto la legge, in l'Unità del 4-6-97).

(5) Nelle Tesi elettorali 1996 della coalizione elettorale detta dell'Ulivo, non è esplicitato alcun modello educativo: ci si limita a dire che è previsto "un piano di interventi straordinari basato su tre idee-cardine: educazione permanente, diritto allo studio e al sapere come diritto di cittadinanza, eguaglianza delle opportunità". In merito al termine educazione permanente (recentemente ridenominata long life learning o educazione per tutta la vita), può essere di giovamento la seguente considerazione: "se deve esserci una relazione sinergica tra l'educazione e la pratica della democrazia partecipativa, non solo tutti devono imparare ad esercitare i propri diritti e a compiere i propri doveri, ma si deve far uso di un'educazione permanente capace di costruire una società civile attiva [...] Così, l'educazione di ogni cittadino deve continuare per tutta la sua vita e diventare parte della struttura fondamentale di una società civile e di una democrazia viva", evitando i pericoli in cui sono incorse alcune "società [che] sono in crisi come conseguenza del loro fallimento nel trovare un nuovo modo di strutturare il tempo della gente" (in Nell'educazione un tesoro. Rapporto all'UNESCO della Commissione Internazionale sull'Educazione per il Ventunesimo Secolo, Armando, Roma 1997, p. 54 e p. 70). Quanto al diritto allo studio come diritto di cittadinanza si consideri che "La crescita di una scolarità di massa é stata uno dei fattori che in questi anni più hanno modificato il volto della nostra società [...] ha infatti creato [...] anche a livelli di scuola secondaria e superiore, una situazione in cui i giovani e gli studenti sono divenuti - anche nei piccoli centri e nei villaggi - attivi portatori di un modo nuovo di intenderela famiglia e la società" (Giuseppe Chiarante, in La democrazia nella scuola, Ed. Riuniti, Roma 1974, p. 17). Infine, in relazione alla eguaglianza di opportunità, "si afferma frequentemente che l'uomo ha diritto a una educazione. Il che é parzialmente certo, poiché tale affermazione da sola non significa nulla (é una ampollosa dichiarazione di diritto, astratta, che di per sé non vuol dire nulla), se non si specifica a quale grado di educazione e cultura l'uomo - vale a dire ogni uomo, come essere concreto - abbia diritto. Le tendenze del "mondo moderno", facendo appello al "dogma" della democratizzazione dell'insegnamento e della cultura, basate sull'erronea identificazione della giustizia con l'uguaglianza, e facendo di quest'ultima la norma suprema regolatrice della condotta umana, pretendono di rendere la cultura accessibile a tutti gli uomini nello stesso grado" (Estanislao Cantero Nuñez, Educación y enseñanza. Estatismo o libertad, Speiro, Madrid 1979, pp. 59-60). Su questi temi - oltre all'appena citato testo di E. Cantero - cui rimando per una trattazione più organica e completa-, si veda Rafael Gambra Ciudad, Il tema dell'insegnamento e la "Rivoluzione culturale", in Cristianità, numero 5, maggio-giugno 1974.

(6) MPI, Progetto per l'istituzione de Il liceo delle scienze sociali, s.d. e s.l. che andrà a sostituire le scuole e istituti magistrali.

(7) Enrico Pedemonte, Barone rosso, che scuola fai?, colloquio con Luigi Berlinguer, in L'Espresso, 22-8-96.

(8) "L'analisi del carattere di classe dell'educazione nella società borghese e la rivelazione delle insopportabili condizioni lavorative ed educative dei fanciulli non impedirono a Marx di vedere i valori insiti, in fondo, nel legame tra lavoro fisico ed educazione [...]. Marx vedeva bene che nonostante le condizioni di vita e di istruzione tremendamente difficili per i fanciulli operai, e nonostante le condizioni migliori di cui godono i figli della borghesia, la prima categoria di fanciulli é superiore alla seconda. "Dal sistema della fabbrica, come si può seguire nei particolari negli scritti di Robert Owen", scrisse Marx, "é nato il germe dell'educazione dell'avvenire, che collegherà per tutti i bambini oltre una certa età, il lavoro produttivo con l'istruzione e la ginnastica, non solo come metodo per aumentare la produzione sociale, ma anche come unico metodo per produrre uomini di pieno e armonico sviluppo". I fanciulli lavoratori hanno appunto la possibilità di unire l'attività corporale con il lavoro spirituale, la teoria con la pratica e quindi, in ultima analisi, la possibilità di uno sviluppo multilaterale" (B. Suchodolski, Fondamenti di pedagogia marxista, La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 177).

(9) Roberto Maragliano, Pensare la formazione dentro la multimedialità, Intervento al Simposio "Didattica e Informatica" del 9-10-97 presso l'Accademia Navale di Livorno.

(10) Numerose sono state le critiche di eccessivo economicismo o di scarsa qualificazione intellettuale delle Riforme: valga per tutte quella fatta nella Prolusione del signor Cardinale Camillo Ruini alla prima sessione 1997 del Consiglio Episcopale Permanente dei Vescovi italiani, del 15-12-96: "Suscita quindi in noi peculiare interesse il progetto di riforma scolastica presentato dal Governo la settimana scorsa [...] La preoccupazione che emerge più spontanea è quella che, contrariamente alle intenzioni, si finisca non per correggere ma per ratificare anche a livello strutturale, e quindi per accentuare, quelle carenze di spazi di vera qualificazione intellettuale e culturale che già oggi insidiano il nostro sistema scolastico [...] Nel contesto di una riforma scolastica globale è poi del tutto necessario dare finalmente attuazione concreta alla parità per le scuole non statali: come abbiamo più volte sottolineato, questa di per sé non è una "questione cattolica", ma un tema di libertà civile e di pubblico interesse" (cfr. pure il Comunicato finale del 28-1-97 della I sessione dello stesso Consiglio). Tali critiche, pur fondatissime, da un lato sembrano trascurare che tali aspetti erano ben presenti anche prima del Ministero Berlinguer: ricordo almeno la cosiddetta sperimentazione "Brocca" di cui al DM n. 133 del 31-1-96 (l'On. Beniamino Brocca è oggi uno dei consulenti scolastici del CCD) e la direttiva ministeriale n. 58 dell'8-2-96, relativa ai Programmi di insegnamento di educazione civica, nel cui ALLEGATO si afferma che: "i limiti e gli ostacoli allo sviluppo scientifico, tecnico, politico, economico e sociale sono soprattutto interni alla mente e al cuore dell'uomo, e dunque affrontabili anzitutto per via educativa". Inoltre, queste stesse critiche, potrebbero lasciare un preoccupante spazio a riforme miranti alla costruzione di un uomo funzionale alla "democrazia senza valori" (Giovanni Paolo II, enciclica Centesimus Annus, del 1-5-1991, n. 46; Idem, enciclica Veritatis splendor, del 6-8-1993, n. 101; Idem, enciclica Evangelium vitae, del 25-3-1995, n. 20), la quale viene "attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società" (Idem, enc. Evangelium vitae, op. cit., n. 12) e, piuttosto che al marxismo o al liberismo, sembra funzionale a una sorta di socialismo tecnocratico (cfr. Luiz Mendoza de Freitas, Le tappe della rivoluzione nell'economia, in Cristianità, n. 15, 1976).

(11) Secondo il quale la "centralità delle risorse umane" è data dall'essere "strumento per sostenere la crescita economica e la competizione a fronte di uguali livelli di investimento"(Riordino dei cicli scolastici. La scuola secondaria. Bozza ministeriale per la discussione presentata al pubblico il 13-1-1997, nonché il successivo DdL inteso al Riordino, approvato dal CdM il 3-6-97, che ha accolto le sole osservazioni e critiche formali - formulate, tra gli altri, anche dalla Conferenza Episcopale Italiana -, senza modificare alcuno degli provvedimenti tesi al c.d. riordino). In merito al Riordino in sé, la logica soggiacente al documento è la stessa della "media unificata" degli anni '60 (che fu obiettivo del fronte marxista almeno dai tempi di Antonio Gramsci), affinché "il sistema dell'istruzione perda la sua caratteristica di struttura fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi" (Riordino, Quadro di riferimento e linee guida della riforma), per fare acquisire, nell'ottica dell'eguaglianza di opportunità, ad esso un forte ruolo massificante. In questa stessa direzione possono essere collocati gli interventi per i primi due anni di tutte le scuole superiori (Cfr. i documenti ministeriali del luglio 1997 Ipotesi di sperimentazione da attuare nei primi due anni di scuola secondaria superiore rispettivamente delle Direzioni Generali per l'Istruzione Classica, Scientifica e Magistrale - area umanistica -, dell'Istruzione Professionale, dell'Istruzione Tecnica e dell'Ispettorato per l'Istruzione Artistica), in corso di sperimentazione dal settembre 1997, il citato Progetto per l'istituzione de Il liceo delle scienze sociali,, il Progetto 2002 per l'istruzione professionale, la nascita dei Licei Tecnici per l'istruzione tecnica, nonché l'annunciata tripartizione dei titoli di studio rilasciati dalle Università (Cfr. il Rapporto finale del Gruppo di Lavoro Murst per l'Autonomia Didattica, presentato il 9-12-97, Università: una riforma per l'Europa). Così scriveva, infatti, Antonio Gramsci: "occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige", (Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, cit. in L'alternativa pedagogica, La Nuova Italia, Firenze 1972, p. 144).

(12) In cui si specifica che "la scienza, la tecnologia, la disponibilità di risorse umane qualificate costituiscono il differenziale che distingue il grado di sviluppo dei diversi sistemi paese", in una prospettiva di "evoluzione del sistema spinta dalle esigenze di internazionalizzazione e globalizzazione dell'economia", per cui "i legami tra Scienza ed Educazione da una parte e Tecnologia ed Innovazione dall'altra, vengono ulteriormente evidenziati" (Linee per il riordino del sistema nazionale della ricerca scientifica e tecnologica; Relazione alle camere del 31-7-1997 del Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, Introduzione e sintesi della relazione). In questo senso si é espressa anche la Commissione Internazionale sull'Educazione per il XXI Secolo dell'UNESCO, reputando necessario uno "sforzo di adattarsi continuamente ai cambiamenti che si verificano nella società", per "contribuire allo sviluppo, aiutare a comprendere il fenomeno della globalizzazione e in una certa misura venire a patti con esso, incoraggiare la coesione sociale" (Nell'educazione un tesoro, cit., p. 19 e p. 133).

(13) Sintesi finale dei lavori, diffusa il 13-5-97, della Commissione detta dei "saggi", i.e. tecnico-scientifica per avviare, in modo coordinato a quella sugli ordinamenti (i.e. cicli n.d.a.), una discussione - la più ampia possibile - sulle conoscenze fondamentali su cui si baserà l'apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni (costituita a seguito del Decreto Ministeriale (DM) 50 del 21-1-97). Tra i numerosi interventi in questa Commissione - raccolti in un Ipertesto diffuso il 13-5-97 - è da segnalare quello, svolto il 18-3-97, del prof. Tullio De Mauro, di area PDS, secondo cui "le nuove società devono imparare a guardare, dentro e oltre i labirinti della complessità, per estrarre dalle tendenze in atto una adeguata previsione di scenari del futuro in ogni parte del globo [...] queste società, questi popoli possono amministrare la loro sopravvivenza solo controllando la interdipendenza multinazionale e multietnica che si è creata tra loro: una interdipendenza che investe tutt'intera la loro vita, le basi produttive e l'intrattenimento, il costume e la ricerca fondamentale, le tecnologie e gli spettacoli, l'assetto politico e gli orientamenti etici. Forse è presto per dire che gli stati nazionali appartengono al passato, a una parentesi cruenta e gloriosa, fosca ed esaltante della storia delle culture umane tra XV e XX secolo. Certo è che si impone qualche forma di coordinamento stretto sovrastatuale".

(14) I Sintesi finale dei lavori, cit. Merita di essere riportato il passaggio integrale, che costituisce il primo dei Quadri di riferimento proposti dal documento: "Molto si è discusso di identità, e lo si è fatto il più delle volte usando il termine al plurale. Nella società del presente, ampiamente differenziata e aperta a un mutamento costante, l'individuo deve orientarsi sulla base di un gran numero di modelli, talvolta anche contrastanti e, lungo tutto il corso della sua vita, deve assumere, di volta in volta, ruoli diversi, a seconda dei contesti di esperienza e di attività. E' dunque assai più difficile, oggi, proporre e far sì che un individuo mantenga una sua identità definita: i suoi quadri di riferimento saranno forniti dalla mediazione delle forme sociali e culturali, ma anche da processi centrifughi rispetto a queste, basati sulla possibilità di far leva su una elaborazione cosciente della sua personale esperienza di vita. In questo senso, il problema dell'identità individuale e delle forme di appartenenza dovrà essere al centro dell'attenzione di una scuola rinnovata. E ciò lo si potrà ottenere sia concedendo un'importanza fondamentale agli aspetti metodologici della conoscenza (si tratta fornire gli strumenti linguistici, interpretativi, operativi che meglio rispondono alle esigenze attuali di un'alta mobilità tra le diverse forme di specializzazione culturale e professionale) sia lavorando a promuovere un fondamento di solidarietà universale che si anticipi alla definizione delle identità particolari e favorisca il riconoscimento reciproco delle differenze".

(15) Ibidem; da ciò la proposta di riqualificazione dell'educazione civica come materia "trasversale" a tutti gli altri insegnamenti: "E' indispensabile dare un opportuno spazio culturale (anche nell'ultimo biennio dell'obbligo) alle "scienze sociali" e alle risorse che esse forniscono in vista della comprensione dei meccanismi di fondo dell'agire individuale e collettivo. A titolo di esempio, temi come: il PIL e il deficit; i sistemi politici e quelli elettorali; i condizionamenti "naturali" e lo sviluppo economico-sociale, il formarsi della personalità, il funzionamento dei gruppi, il linguaggio, la comunicazione e i suoi strumenti (in particolare i media), andranno affrontati con adeguati riferimenti tecnici, teorici e concettuali. Non si tratta di introdurre un ventaglio sconsiderato di nuove e vecchie "materie", ma di sviluppare un insegnamento delle scienze sociali per blocchi tematici, attorno ai diversi rapporti tra natura e società, economia e società, potere e società, cultura e società".

(16) "L'educazione in età adulta è inserita nello scenario generale dell'istruzione e della formazione durante tutta la vita [...] I docenti utilizzano il valore formativo delle discipline [...] per realizzare opportunità che debbono consentire di acquisire, consolidare e sviluppare: - la flessibilità come disponibilità a cambiare e innovare; - l'analisi dei punti di vista e delle realtà come approccio alle altre culture; - la visione sistemica come saper inquadrare la propria attività in quella complessiva dell'organizzazione", OM 455/97, il corsivo é mio.

(17) "Sono tutti convinti che solo lo sviluppo tecnologico, la scienza cioè e il complesso delle sue applicazioni tecniche, segnino il progresso. E siccome il Novecento è il secolo del progresso e dello sviluppo tecnologico, tutti sono convinti che sia giusto occuparcene molto", in Stefano Vastano Novecento. Viviamolo. Studiando i greci. Colloquio con Hans-Georg Gadamer, L'Espresso del 24-10-1996. Sullo stesso argomento, con riferimento ai nuovi programmi di storia per gli istituti professionali, di cui al DM 31-1-97, è intervenuto anche il prof. Ernesto Galli della Loggia: "Tutto il programma berlingueriano appare volto nei primi due anni a contrastare ed esorcizzare un pericolo gravissimo: "l'intermittenza tematica derivante dalla tendenza ad aderire allo svolgimento cronologico di una pluralità di fatti". Tradotto in italiano vuol dire una evidente, fortissima diffidenza per tutto ciò che non sia una concettualizzazione modellistica, all'insegna di quella vulgata marxista-braudelista fatta da un misto confuso di storia sociale, di "longue durée" e di "mentalità collettive", la quale vulgata da anni tiene banco nelle nostre scuole. E' esattamente ciò che il decreto di novembre lasciava prevedere" (Come ti riscrivo il Novecento in Corriere della Sera del 21-4-97).

(18) Sempre in questa prospettiva possono essere letti gli interventi miranti alle cosiddette "Nuove Sedi", cioè agli interventi in materia edilizia: "Per dicembre è prevista l'approvazione del nuovo Piano di sviluppo 1998-2000. Punto qualificante del nuovo piano triennale, che porrà fine alla proliferazione indiscriminata di nuove sedi, sarà la qualificazione del sistema universitario, con un preciso riferimento agli standard europei", in Università & Ricerca. Informazioni. Quindicinale del Ministero dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, Numero 1, Roma, 18 novembre 1997.

(19) Sull'orientamento, ancorché in forma di moral suasion, si veda Tullio De Mauro, Guida alla scelta della facoltà universitaria, Il Mulino, Bologna 1988.

(20) Il prof. De Mauro pone il problema nei seguenti termini: non si può dare troppa fiducia ai genitori e agli insegnanti nel fare la riforma perché sono realtà immature: é per questo che si deve governare la riforma dal centro (Il Manifesto, 15-1-97).

(21) Sintesi finale dei lavori, cit.

(22) Riordino, Obiettivi di fondo, cit..

(23) Il corsivo è mio, ma il Ministro stesso ne ha dato conferma dichiarando che "La scuola dell'autonomia può far svolgere nella scuola alcune delle attività che oggi le mamme organizzano fuori" (Barone rosso, che scuola fai?, cit.)

(24) Il concetto di autonomia rimanda al principio di sussidiarietà, che é "autonomia dell'uomo e della società inferiore rispetto a quella superiore per proiettarsi nella esistenza secondo la propria essenza, che permette la perfezione di ciascuno dei componenti della società e la perfezione di questa come totalità" (Hugo Tagle Martinez, Il principio di sussidiarietà, in Cristianità, n. 81, 1982). Infatti, se "ciò che può essere compiuto da uno solo é preferibile venga realizzato da quest'uno, anziché da molti" (Dante Alighieri, De Monarchia, libro I, cap. 14), "la sussidiarietà, applicata alla società, indica l'intervento compensativo ed ausiliario degli organismi sociali più grandi - per lo più dello Stato o di istituzioni utilitaristiche organizzate - a favore dei singoli o dei gruppi sociali più piccoli" (Joseph Hoffner, La dottrina sociale cristiana, Edizioni Paoline, Roma 1979, p. 42). Pertanto, il principio di sussidiarietà "si applica ai rapporti tra una società minore e una maggiore; in secondo luogo riconosce il primato nell'azione all'individuo rispetto alla società e alla società minore rispetto a quella maggiore; in terzo luogo riconosce tale priorità all'essere che ha maggiore dignità o densità ontologica rispetto a quello di minore dignità o densità ontologica" (H. Tagle Martinez, op. cit.).

(25) Tale Comitato: "sulla base delle direttive del Ministro svolge nelle materie riguardanti la formazione professionale, l'educazione degli adulti, la realizzazione di corsi post-secondari e le iniziative cofinanziate dall'Unione Europea il compito di: a) assicurare l'unità di indirizzo dei programmi di sviluppo; b) specificare gli obiettivi stabiliti dalle direttive in ordine alle priorità, alle modalità e ai tempi di intervento ed alla collaborazione necessaria con le Regioni e gli Enti Locali; c) individuare i criteri omogenei di attuazione delle iniziative, nel rispetto delle responsabilità dirigenziali". Cfr. per l'Università, il citato Università: una riforma per l'Europa.

(26) I corsivi sono miei. Nonostante le rassicuranti dichiarazioni rilasciate dalla citata Commissione, lo scopo del Sistema Nazionale di Valutazione, non lascia spazio a dubbi: "dove la qualità delle facoltà scende, e questo si vede dalla qualità delle pubblicazioni scientifiche, lì affluiranno meno finanziamenti dallo Stato. Lo Stato dà il massimo di autonomia, ma esercita il suo potere di controllo [...] i finanziamenti dalle imprese, dagli enti di ricerca, dalla Comunità Europea, non arriveranno più nelle università che non funzionano, perché in tutte queste istituzioni ci sono dei valutatori" (Barone rosso, che scuola fai?, cit.)

(27) Il Centro Europeo d'Educazione (CEDE) ha sede in Frascati e può essere considerato la branch italiana della Comparative Education Society in Europe (CESE). La Comparative and International Education Society fu fondata a New York nel 1956: mi pare non trascurabile che il prof. Lamberto Borghi, uno dei massimi esponenti italiani della corrente della cosiddetta democrazia laica, sia stato vice presidente del CESE e presidente del CEDE. Lo sviluppo della Pedagogia comparativa avviene nell'Ottocento e, nel XX secolo, si intreccia col movimento delle "scuole nuove" e delle "scuole attive", dando vita ad importanti centri internazionali di documentazione e ricerca, tra i quali sono gli Institut international de Coopération intellectuelle e Bureau International d'Éducation (BIE); l'Associazione Internazionale dell'educazione fondata nel 1919 a New York; l'International Institute of Teachers College fondato nel 1923 alla Columbia University di New York e legato a John Dewey (1859-1952). Il BIE - fondato a Ginevra nel 1925 e divenuto un'organizzazione tra governi nel 1929 - é un centro di informazione e ricerca nel campo della "pedagogia comparativa", usata "nel determinare i modi di sviluppo dell'istruzione in questo secolo e nel tentare di riconciliare tendenze separate e concorrenti [...]; andar oltre i fenomeni immediati e locali, così da ottenere una più vasta visione sinottica [...] alla ricerca di modalità soddisfacenti di evoluzione futura"( James Bowen, Storia dell'educazione Occidentale, Mondadori, Milano 1983, vol. III, p. 592). Tra i suoi fondatori furono Edouard Claparède (1873-1940) - fondatore nel 1912 a Ginevra anche dell'Istituto Jean-Jacques Rousseau, di cui il BIE fu in certo qual modo il continuatore -, Pierre Bovet (1878-1965) - primo direttore dell'istituto -, e Adolphe Ferrière (1879-1960) - fondatore del Bureau International des Écoles Nouvelles che verrà assorbito nel BIE, e della Ligue Internationale pur l'Éducation Nouvelle. Dal 1934 il BIE organizza una conferenza internazionale sull'educazione statale, nota come International Conference on Education - che dal 1946 vede compartecipe l'UNESCO - finalizzata a proporre le scelte politiche, l'approccio strategico e gli strumenti normativi per i ministri dell'educazione di tutti i paesi. A detta del prof. Battista Orizio, "tutta l'attività dell'UNESCO ha carattere pedagogico-comparativo"( cfr. la voce Comparativa, Pedagogia - Storia della, in Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia 1989, vol. II, p. 2867).

(28) Cfr. il mio In nome dell'efficienza si smantella l'università, in Secolo d'Italia del 19-12-97, annotato in http://www.anpiacenza.org/scuola/bbb.html. Per un'impostazione di carattere più generale e di fondo cfr. soprattutto Vladimiro Lamsdorff Galagane, L'organizzazione dell'università, in Verbo, n. 87-88, agosto-settembre-ottobre 1970 (in http://web.tiscalinet.it/educazione/).

(29) DL 662/1996 collegato alla Finanziaria 1997 (per il cosiddetto "decongestionamento dei Megatenei"); la "rideterminazione dei settori scientifico-disciplinari" disposta dal D.M. del 23-6-97 (che ha come "strumenti e modalità [...] l'istituzione, la soppressione o la trasformazione di corsi, facoltà o atenei"); il D.M. del 25-7-97 (che ha disposto la possibilità della nomina diretta a professore ordinario da parte delle Università di studiosi di "chiara fama" italiani e stranieri); il d.p.r. 387 del 3-10-97 (il quale ha disposto che sia non più il Ministro ma il rettore dell'Università, a rilasciare il titolo di dottore di ricerca, attribuendogli anche la competenza nelle modalità di nomina delle commissioni giudicatrici); il d.p.r. 386 del 3-10-97 (contenente lo stesso criterio per l'approvazione dei concorsi per ricercatore); lo "Schema di regolamento per l'assunzione di professori con contratti a tempo determinato", trasmesso al CdM il 28-10-1997; lo schema di Regolamento sullo sviluppo e la programmazione del sistema universitario, nonché sui comitati regionali di coordinamento trasmesso al CdM il 30-10-97. Quanto al DdL a.s. n. 931 dell'11-7-1996 Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo (Ora DDL Atto Camera 3587, relatore on. Giovanni Castellani, presidente della VII Commissione permanente della Camera dei Deputati, adottato come testo base dalla predetta Commissione in sede referente, nella seduta del 28-10-1997), esso merita un'attenzione tutta particolare perché la "corporazione medievale" dei professori é quella che da più tempo e più violentemente é attaccata da marxisti e progressisti; cfr. Pier Paolo Giglioli, Baroni e burocrati, Il Mulino, Bologna 1978; Felice Froio, Università. Mafia e potere, La Nuova Italia, Firenze 1974; A. Santoni Rugiu, Chiarissimi e magnifici. Il professore nell'università italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1991.

(30) L'Osservatorio per la Valutazione del Sistema Universitario é stato istituito dal DL 537/93, ma sino ad oggi ha svolto funzioni meramente consultive; l'art. 17 della Legge 59/97, prevede invece di "istituire sistemi per la valutazione, sulla base di parametri oggettivi, dei risultati dell'attività amministrativa e dei servizi pubblici favorendo ulteriormente l'adozione di carte dei servizi e assicurando in ogni caso sanzioni per la loro violazione, e di altri strumenti per la tutela dei diritti dell'utente e per la sua partecipazione, anche in forme associate, alla definizione delle carte dei servizi ed alla valutazione dei risultati; c) prevedere che ciascuna amministrazione provveda periodicamente e comunque annualmente alla elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati; d) collegare l'esito dell'attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse; e) costituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una banca dati sull'attività di valutazione, collegata con tutte le amministrazioni attraverso i sistemi di cui alla lettera a) ed il sistema informatico del Ministero del tesoro - Ragioneria generale dello Stato e accessibile al pubblico, con modalità da definire con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400".

(31) L. Guerzoni, L'azione del governo... cit..

(32) Il Ministro avverte: "valuteremo l'impegno dei docenti. Questa scuola ha bisogno di un sistema di valutazione esterno" (Barone rosso, che scuola fai?, cit.). Il ruolo del docente come burocratico funzionario esecutore di procedure centrali - venuto a mancare il naturale patto di delega della famiglia all'insegnante (ogni suo diritto deriva infatti da questa delega) -, lungi dal meravigliare, coincide perfettamente con la prospettiva di un'educazione di cittadini "per il tempo futuro" ed è una logica conseguenza dell'errore iniziale: non si dovrà permettere che il maestro perpetui la cultura che ha dato origine alla civiltà occidentale; al contrario, egli dovrà solo applicare i regolamenti statali, correggere eventuali momenti di "regresso" e accelerare il processo di cambiamento: "in una società dell'informazione gli insegnanti non possono più essere considerati come i soli depositari di un sapere che essi debbono soltanto trasmettere alle generazioni più giovani; essi diventano per così dire dei partner in un fondo collettivo di conoscenze che spetta loro organizzare, ponendosi fermamente all'avanguardia del cambiamento" (Nell'educazione un tesoro, cit., p. 167).

(33) Sull'importanza dei provvedimenti adottati, cfr. Giunio Luzzatto, Insegnanti: si cambia?, in critica Marxista nuova serie, n. 4, luglio-agosto 1997, p. 21-24. Il prof. Aldo Visalberghi aggiunge una spiegazione di particolare rilievo "storico": "la preparazione degli insegnanti di ogni grado di scuola rimaneva saldamente controllata, in misure variabili ai vari livelli, ma sempre massicce, dall'iniziativa privata e in massima parte cattolica. La mancata riforma della scuola secondaria manteneva in vita l'incredibile "scuola magistrale" triennale, di cui esistono solo pochissimi esemplari statali ma una pletora di edizioni d'ispirazione confessionale, e l'istituto magistrale quadriennale, per il quale numericamente, anche se non per effettivi di frequentanti, le istituzioni private e cattoliche sopravanzano quelle statali. La mancata riforma universitaria, per nulla surrogata in ciò dalla sperimentazione promossa dalla legge Valitutti, permette la sopravvivenza di quella facoltà di magistero che registra il massimo numero di esemplari non statali, ma pienamente riconosciuti dallo Stato, rispetto ad ogni altro tipo di facoltà universitaria" in La scuola italiana dal 1945 al 1983 a cura di Mario Gattullo e Aldo Visalberghi, La Nuova Italia, Firenze 1986, p. XI, i corsivi sono miei.

(34) "La scuola deve essere sensibile ai fermenti di progresso presenti nella vita sociale e lottare contro la sclerosi delle forme e dei contenuti mantenuti autoritariamente per inserirsi nel movimento democratico in atto" (Dina Bertoni Jovine, Sul rapporto scuola e società, in Scuola e Città, n. 8, 1964, p. 527); "Noi pensiamo che questa funzione moralizzatrice la scuola deve compierla in modo diverso a seconda della situazione in cui si trova ad agire: come censura e lievito di rinnovamento nei periodi di tirannia, come sostegno delle idealità in atto nei periodi di costruzione e di progresso" (Idem, La pedagogia di Makarenko, in Belfagor, 4, 1955, p. 409); "La scuola deve essere sensibile ai fermenti di progresso presenti nella vita sociale e lottare contro la sclerosi delle forme e dei contenuti mantenuti autoritariamente per inserirsi nel movimento democratico in atto", (Idem, Sul rapporto tra scuola e società, recensione del libro di L. Borghi Scuola e comunità, in Scuola e Città, 8, 1964, p. 527.

(35) Così si esprime il prof. Giorgio Rembado, Presidente dell'Ass. Naz. Presidi, Dichiarazione tratta da Internet, all'URL della redazione di Tuttoscuola.

(36) Sulla parità il Ministro ha chiarito che "Il rapporto é di 9 pubblici per 1 privato [...] La competizione pubblico / privato nuoce alla scuola [...] Le finalità del sistema dell'istruzione sono sempre pubbliche: é la gestione che può essere privata [...] Quando parlo di parità non parlo di finanziamenti, ma di un insieme di obblighi e diritti comuni, soprattutto obblighi. Ci sono standard da osservare: docenti [...] Intanto definiamo i criteri dell'autonomia delle scuole. Poi affrontiamo il tema della parità [...] Non condividiamo la soluzione del buono scuola. E neppure la parte più forte e sensibile del mondo cattolico la condivide [...] Così come non siamo molto convinti della [...] defiscalizzazione delle spese. C'è invece chi propone la strada delle convenzioni" (Barone rosso, che scuola fai?, cit.); e che "parità della scuola non significa soldi pubblici agli istituti privati" (l'Unità del 6.9.96)

(37) Cfr. i miei, "Parità scolastica", battaglia di libertà in Secolo d'Italia del 11-7-97; nonché Pronta la legge, gabbata parità, in Secolo d'Italia del 25-7-97, ora in http://web.tiscalinet.it/educazione/.

(38) Possono essere annoverati fra questi: la riforma degli esami di maturità - DL 425/95 (testo definitivamente approvato dal Senato il 2-12-97) (a questo fine rettificati con l'aumento dei commissari esterni); l'abolizione delle scuole e istituti magistrali, in massima parte non statali, disposta dalla circolare interministeriale n. 434 del 15-7-97; l'anticipo dell'obbligo scolastico all'ultimo anno delle materne previsto nel citato DdL sul Riordino dei cicli, con la conseguente potenziale perdita di utenza da parte delle materne non statali che non saranno in grado di assicurare la prosecuzione degli studi nella stessa scuola; le nuove lauree ed il nuovo certificato post lauream, che comportano l'esclusione di religiose e religiosi dall'insegnamento; i controlli sulla qualità da parte del già citato Sistema Nazionale di Valutazione (Cfr., come esempio di aggressione non estemporanea, né peculiare di questo Ministero, anche, l'intervista rilasciata dal già Ministro della P.I. Giancarlo Lombardi all'Avvenire del 3-4-96, in piena campagna elettorale: "Io credo che per gli istituti non statali che rispettino i criteri fissati da un centro di valutazione nazionale, si possano stabilire delle convenzioni con cui pagare il costo economico delle singole scuole"); i controlli sulle iniziative didattiche da parte dei Comitati di Coordinamento, previsti proprio "in relazione alla problematica della "parità" fra scuole statali e non statali" (Documento conclusivo della Commissione c.d. D'Amore, cit.); i citati finanziamenti alle sole università "efficienti". Un esempio - tra i tanti - della "storica attenzione" per gli istituti educativi non statali, si ricava dall'articolo 332 del DL n. 297/94 (testo unico) il quale dispone che "la vigilanza sulle scuole materne non statali esercitata dal Provveditore agli Studi, il quale si avvale del Direttore Didattico competente per territorio" .

(39) Ipertesto, cit. Verbale del 15-02-97.