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Antonio Aparisi y Guijarro (1815-1872):
la politica dei valori (1)

 

Antonio Aparisi y Guijarro nasce a Valencia il 29 marzo 1815 e viene battezzato nella parrocchia di San Esteban, alla stessa fonte di San Vincenzo Ferreri O.P. (1350-1419). Dell'ambiente familiare, seppure profondamente cattolico, dirà: "Sono nato e cresciuto tra liberali, senza essere stato liberale per neppure un solo istante di tutta la mia vita" (2).
Rimasto orfano di padre a 14 anni conosce la povertà ma, grazie ai sacrifici materni, riesce a portare a termine gli studi presso i padri Scolopi (3).
Nel 1839 si laurea in diritto all'università di Valencia e presto ottiene brillanti successi nel foro - assieme ad alcune lusinghiere segnalazioni presso il Tribunale Supremo -, specie come penalista dei ceti più umili, cosa che è alla radice della sua successiva fortuna politica (4).

Il 1840 è l'anno dell'ingresso di Aparisi nella vita pubblica, che avviene come reazione all'esilio della regina María Cristina (1806-1878) e ai successivi eccessi compiuti dal capo del Governo, il generale liberale Baldomero Espartero (1793-1879).
Così, l'avvocato valenciano si dedica ad un'intensa attività giornalistica - collabora ai periodici La Esperanza, La Estrella e El Liceo Valenciano - che culmina nel 1843, con la fondazione della rivista La Restauración, dovuta al suo giudizio sulla situazione politica del tempo, sintetizzato nel modo seguente: "Anche il liberalismo spagnolo, come quello francese, si vergognò del passato; ruppe sante tradizioni; volle, in qualche modo, lasciarci senza genitori […]; dichiarò il mondo antico stupido e il mondo nuovo, venuto dalla Francia, saggio, splendido, magnifico. E andammo in cerca di quel mondo e vedete che, di miseria in miseria, di agitazione in agitazione, tenendo sempre conto del bilancio e della cupidigia e disprezzando la vergogna e il rispetto verso la legge, siamo arrivati alla rivoluzione [...], e con essa alla triplice bancarotta: economica, dell'autorità e dell'onore" (5).
Aparisi, fedele alla regina perché monarchico, ha tuttavia a cuore il bene della nazione e lo dimostra dalle colonne della sua rivista esprimendo parere favorevole alle ventilate nozze pacificatrici (6) tra la figlia della sovrana, la futura regina Isabel II (1830-1904)
, e il pretendente carlista - il ramo tradizionalista della famiglia reale, ingiustamente escluso dalla successione al trono per l'abrogazione della legge salica fatta da re Fernando VII (1784-33) nel 1830 - Don Carlos Luis de Borbón y Braganza (1818-1861).

Tuttavia, più che di questioni dinastiche, il giovane giornalista scrive per difendere i diritti dei cattolici: "Il nostro dovere, dovere dei grandi e dei piccoli, dei saggi e degli ignoranti, è prendere parte a questa gran lotta d'idee che oggi agita gli spiriti d'Europa e domani potrà fare di essa un immenso campo di battaglia […]. Il nostro dovere di uomini e di cristiani è di combattere, ciascuno nel posto in cui glielo consentono le proprie forze, in difesa della Chiesa, della quale siamo figli, e della verità, per la quale dobbiamo essere martiri" (7).

La Restauración esce fino al 1854, quando deve chiudere a causa di restrizioni fiscali imposte dal governo progressista del generale Leopoldo O'Donnell (1809-1867).
Aparisi tace per qualche mese, quindi fonda un nuovo periodico, El pensamiento de Valencia (8), che tuttavia resiste solo fino al 1856 e deve chiudere a causa delle continue multe fatte dal Governatore locale.

Nel 1857, su pressione di un gruppo di amici e senza quasi fare propaganda - non aveva mai fatto parte di alcun partito (9) - , si candida al Parlamento, ma non viene eletto. Viene invece eletto l'anno successivo nel collegio di Serranos de Valencia e così giudicherà l'arrivo della sua nomina: "un ospite nobile, ma importuno e molesto" (10).

In Parlamento, nel quale parla per la prima volta il 21 dicembre 1858, Aparisi sarà l'uomo con la missione di ricordare alla nazione i principi che avevano fatto grande la Spagna: "Io potrò anche essere un uomo del passato […], però sono un passato che scuote da sé gli errori in cui è caduto e getta lontano gli abusi, se ne ha commessi; sono il passato che conserva i grandi principi della nazionalità spagnola; che bada, inviolabilmente, alla fede del cuore e alla hidalguía del carattere; ma non odia le scoperte moderne, accetta tutti i progressi legittimi, a condizione che vada innanzi a tutto, e che tutto vivifichi, il progresso morale. Potrò anche essere del passato […], ma voglio il regime davvero rappresentativo […], non il sistema parlamentare, che è corruttore e francese; perché voglio la verità in tutto e la giustizia per tutti; perché non gradisco né il dispotismo corrotto, né le vergognose repubbliche" (11).

L'opera di Aparisi, inoltre, non trascura una costante e vigorosa denuncia degli abusi compiuti dai governi liberali dell'epoca - come l'esproprio dei beni ecclesiastici, dei beni dei municipi e delle corporazioni civili, che egli chiama "il patrimonio dei poveri" (12) - e, sul piano internazionale, la difesa del potere temporale del Papa.
Accorgendosi di essere il solo in Parlamento a sostenere queste posizioni, e divenendo perciò il facile bersaglio del Governo e delle opposizioni moderata e progressista (13), non si scoraggia, decide di non prendere partito (14), di continuare a servire la regina Isabel (15) e di ricambiare l'ironia di cui è fatto oggetto: "Quanto ai tempi antichi, io non so se il signor Madoz creda che […] i nostri padri e i nostri nonni, nel lungo scorrere dei secoli, siano stati degli imbecilli. Io, signori, non lo credo; non credo che in Spagna non ci sia stata né libertà, né moralità, né scienza sino ad oggi; non credo che tra noi sia mancata la scienza fino a questo tempo, in cui si scrivono molti giornali e nessun libro; che non ci sia stata moralità fino al tempo dei crediti e delle cambiali, e che non ci sia stata libertà fino ai tempi in cui si sono commessi gli abusi più grandi, le maggiori sopraffazioni e vessazioni" (16).

Aparisi, che verrà sempre rieletto al Parlamento per diversi collegi (17), pur vivendo a Madrid non tralascia l'attività giornalistica e dà vita a un nuovo periodico, La Regeneración, che uscirà dal 1862 alla sua morte.

Nel 1865 viene riconosciuto il Regno d'Italia (1861), un fatto al quale Aparisi - come tutti i cattolici fedeli del tempo - reagisce con durezza pronunciando alle Cortes un celebre discorso nel quale predice la caduta della sovrana, definendola "regina dai tristi destini" (18): infatti, a seguito di un colpo di mano del partito progressista, la sovrana dovrà abdicare e abbandonare la Spagna il 30 settembre 1868 (19). E' la cosiddetta "rivoluzione di settembre" (20), un fatto che, unito al precedente, risulta sconvolgente per la mentalità spagnola del tempo e che spinge numerosi intellettuali cattolici di primissimo piano - come Cándido Nocedal y Rodríguez de la Flor (1821-1885) e Gabino Tejado y Rodríguez (1819-1891) -, a passare in blocco alle file carliste (21).
A causa di quella rivoluzione Aparisi lascia la Spagna e nel gennaio 1869 fa visita al pretendente Carlos VII, decidendo quindi per l'adesione al carlismo militante (22).
Del decisivo cambiamento della sua prospettiva politica dà ragione in un pamphlet diffuso in 50.000 copie, El rey de España, con queste parole: "Considero indubitabili due cose. La prima è che in Spagna e nel mondo si combatte oggi una grande battaglia tra il cattolicesimo e il razionalismo. La seconda è che il partito carlista in Spagna è formato dalla maggioranza dei cattolici spagnoli, i quali sono soprattutto cattolici, e dopo di ciò sono carlisti, perché credono che Don Carlos sia re legittimo ed il miglior rappresentante dei principi che amano e venerano" (23).

Nei tre anni di volontario esilio (24), Aparisi svolge un'intensa attività: tenta invano la riconciliazione di Don Carlos con la regina Isabel II, si reca a Londra per organizzare il partito carlista, contribuisce a dar corso alla Conferenza organizzativa carlista del 18 aprile 1870 a Vevey, in Svizzera - nella quale è nominato membro del Consiglio particolare del Re (25) -, e fonda a Parigi il Direttivo Centrale del partito carlista.

Nel 1870 è ricevuto da Papa Pio IX (1792-1878) in udienza particolare, venendovi accolto con molte dimostrazioni di speciale affetto.

Tuttavia, l'aspetto più rilevante di questo periodo è l'intima collaborazione tra Aparisi y Guijarro e il pretendente al trono, accanto al quale trascorre lunghi periodi in Svizzera (26), che culmina nella pubblicazione di un documento fondamentale del pensiero politico carlista, la Lettera-Manifesto del giugno 1869. In tale documento, redatto sostanzialmente da Aparisi, sono proposti a tutti gli spagnoli i principi fondamentali dell'ideario tradizionalista (27), come ad esempio il seguente: "La Costituzione viva e feconda è quella di cui non si possono indicare gli autori; quando si può dire "la nostra Costituzione l'hanno fatta i secoli", si può veramente affermare che quella Costituzione è stata fatta da Dio per mezzo degli uomini" (28).
Nella Lettera-Manifesto viene riproposta la prospettiva di una monarchia tradizionale, la quale pone l'accento più sulle modalità di esercizio della sovranità che sugli aspetti dinastici, come Aparisi proporrà nell'opuscolo La restauración (29): "il re può compiere degli abusi, o possono farlo i suoi ministri […] è ovvio: sono uomini. Sarà perciò opportuno che esistano istituzioni che rendano meno possibili o più rari gli abusi? Non lo nego, e se mi chiedete quali racchiudano più virtù o efficacia, dico che sono quelle fatte dai secoli. E se la Rivoluzione le ha distrutte? Rispondo: se potete, restauratele. E se ne incontrassimo altre, nuove, che racchiudono una virtù ed efficacia eguale o simile […]? In questo caso vi dichiaro uomini grandi, e tengo per certo che un principe cristiano si riterrebbe felice se, conservando la libertà di fare il bene, si trovasse nella felice impossibilità di operare il male. Ma non dimenticate che ogni istituzione trae la propria forza dalla coscienza onorata della nazione. A che servono, cantava Orazio, le leggi senza i costumi?" (30).

In Spagna, nel frattempo, la marcia della Rivoluzione non si è fermata e i moti del 1870 portano alla "elezione" a Re di Amedeo di Savoia (1845-1890): la nazione, stanca delle violenze progressiste e umiliata dall'insediamento di quella che considera una "dinastia importata", nel 1871 premia il partito carlista con l'elezione di 78 suoi esponenti tra Camera e Senato.
Aparisi, eletto senatore per Valencia e Guipúzcoa, fa ritorno in Spagna ed assume la guida della trentina di senatori (31).
Questo lusinghiero risultato, per gran parte frutto del pluriennale lavoro del giornalista valenciano, gli è d'occasione per introdurre all'interno del partito carlista una modalità di lotta politica "nuova", che non prevede solo l'insurrezione armata ma anche l'utilizzo di tutte le possibilità legali offerte dai regimi democratici.
La teoria dell'azione di Aparisi è sempre la stessa: "Cosa farebbero i nostri antenati, quelli del secolo XV o XVI, se risuscitassero nel secolo XIX e vedessero da un lato le stragi della rivoluzione folle, che non ha riformato ma ha distrutto, e si imbattessero dall'altra col libro e il giornale, con la rotaia e il telegrafo? […] Restaurerebbero, per quanto possibile, l'opera dei secoli, ma accomodandola alle vere necessità, alle legittime aspirazioni e persino al gusto presente. […] L'altare è sempre lo stesso; gli addobbi cambiano al passo coi tempi. In quelli attuali, come nei passati, si può e si deve scrivere nella bandiera spagnola: "Dio, Patria e Re"" (32).

Questa modalità d'azione avrà importanti riflessi nella successiva storia di tutto il carlismo e non a caso, in coincidenza della scomparsa di Aparisi, avrà inizio la Seconda Guerra Carlista (1872-1876).

Stanco e senza cura per la propria salute, il 5 novembre 1872, mentre si reca a teatro con il fraterno amico Gabino Tejado, è colpito da infarto e poco dopo muore (33).
L'articolo postumo "Recuerdos" apparso su La Regeneración del 23 novembre 1872, riporta questo riferimento al medioevo, che riassume il senso di tutto il suo operare politico: "Le Cortes erano Cortes, vere rappresentanti delle forze sociali della Spagna: chiedevano e concedevano. E' tanto certo che in Castilla e Aragón si conobbe il vero governo rappresentativo, come è falso che nell'uno e nell'altro regno mancasse qualcosa di simile a quanto oggi intendiamo per governo rappresentativo (34).

David Botti

10 maggio 2000 - Festa di Sant'Antonino O.P., arcivescovo di Firenze

 

Per approfondire: Antonio Aparisi y Guijarro, Obras completas. Cinco tomos. Imprenta de la "Regeneración", Madrid 1873-1874; Cándido Nocedal y Rodríguez de la Flor, Don Antonio Aparisi y Guijarro: Discurso necrológico, leído en la Real Académia Española, el 5 de diciembre de 1872, apud Memorias de la R.A.E., tomo IV, Rivadeneyra, Madrid 1873; AA.VV., Antonio Aparisi y Guijarro en 1972. Las claves de la política española, Ediciones Montejurra, Sevilla 1973.

 

NOTE

(1) Dati biografici tratti da Enciclopedía Universal Ilustrada Europeo-Americana, Vol. V, Hijos de J. Espasa Editores, Barcelona, s.d.; José F. Acedo Castilla, Las predicciones de Aparisi, in Razón Española, n. 100, marzo-aprile 2000; Gabriel Alférez Callejón, Historia del carlismo, Editorial Actas, Madrid 1995, con una breve biografia alle pagg. 144-149; Dalmacio Negro Pavón, El pensamiento político, volume XXXV/1 della Historia de España, fundada por Ramón Menendez Pidal y dirigida por José María Jover Zamora, Espasa-Calpe, Madrid 1989, pp. 628-631. Nei casi di discordanza tra le fonti, ho penalizzato l'enciclopedia Espasa, che sbaglia la data di morte. Diffidando, identica scelta ho fatto per le notizie biografiche riportate solo dalla Espasa, come ad es. la conclusiva descrizione della morte.

(2) Aparisi y Guijarro. Antología, selección y prólogo por Vicente Genovés, II ed., Ediciones FE, Madrid 1938, p. 17. Tutte le citazioni di Aparisi y Guijarro sono tolte da quest'opera, d'ora in avanti abbreviata in "Antologia", e da El tradicionalismo español del siglo XIX, selección y prologo de Vicente Marrero, Dirección General de Información, Publicaciones Españolas, Madrid 1955, testi di Aparisi alle pp. 121-183, abbreviata in "El tradicionalismo".

(3) "Nella sua formazione influirono D. Francisco Belda, volontario nella Guerra d'Indipendenza e fervente tradizionalista, ed il domenicano P. Miguel Flores. Galindo de Vera fu suo grande amico" (Alferez, op. cit., p. 144). "Si diede a conoscere come poeta all'età di dodici anni, col venire premiata dalla Sociedad de Amigos del País una sua composizione" (Enc. Espasa). "Già a 16 anni, alcune sue odi inserite nel "Diario mercantil", avevano attirato l'attenzione del pubblico" (Acedo).

(4) "Era famoso come penalista difensore dei poveri e la sua oratoria in favore della religione, della tradizione politica spagnola e delle classi umili aveva superato le porte dell'emiciclo del Parlamento" (Alexandra Wilhelmsen, La formación del pensamiento político del Carlismo (1810-1875), Actas, Madrid 1995, p. 427).

(5) Antologia, pp. 57-58, Obras completas II, 275. Oppure: "Io voglio conservare lo spirito che ancora vive tra noi, lo spirito religioso e monarchico di Spagna, lo spirito che ha reso grande la nostra nazione e che fu la causa perché questo nostro popolo compisse meraviglie con le quali stupì il mondo antico e civilizzò il nuovo" (Antologia, p. 145, Obras completas, II, p. 342)

(6) Alferez, op. cit., p. 100.

(7) Antologia, p. 156-157 (OC, IV, 4).

(8) L'apparizione nelle Cortes costituenti del 1855 di democratici e repubblicani fa sì che, dalle colonne de "El pensamiento de Valencia", Aparisi chieda l'unione di tutti gli uomini che amano la Spagna (Acedo, op. cit.).

(9) Wilhelmsen, op. cit., p. 427.

(10) Antologia, p. 19 (OC, IV, 97).

(11) Antologia, p. 155 OC II,159.

(12) Antologia, p. 242 (OC, II, 41). Il 29 gennaio 1859 parla a favore dell'unità spagnola per contrastare la proposta di una Unión Moderada e quella di una Unión Liberal.

(13) Acedo, op. cit.

(14) Alferez, op. cit., p. 145.

(15) Dopo il manifesto del 20-9-1860, nel quale Don Juan Carlos VI rivendicava il trono sull'esclusiva base della sovranità popolare, i neo-cattolici Gabino Tejado e Aparisi y Guijarro rifiutano tale impostazione, chiedendosi se non valesse la pena operare solo sfruttando le concrete possibilità offerte dalla legislazione vigente, benchè ne rifiutassero i principi (Alferez, op. cit., 125).

(16) Antologia, p. 151; OC II, 32

(17) "Rieletto deputato come indipendente nelle elezioni del 1863, resta all'opposizione" (Alferez, op. cit., p. 147); "Nel 1865 tornò ad essere eletto deputato per Valencia e per Pamplona [...] Rieletto deputato nel 1868 per Bilbao" (Enc. Espasa, op. cit.). Nel 1866 viene nominato membro della Accademia Spagnola "carica di cui non riuscì a prendere possesso", Enc. Espasa, op. cit., che non spiega perchè.

(18) El tradicionalismo, op. cit., OC II, p. 522; Cfr. pure Alferez, op. cit., p. 132.

(19) Acedo, op. cit.

(20) "Nuovi abusi governativi - attacchi alla Chiesa, scioglimento degli ordini religiosi, sequestro di beni religiosi - e la messa sul trono, il 16 novembre 1870, di Amedeo di Savoia (1845-1890), appartenente ad una dinastia "importata" portarono nel partito carlista un ulteriore, grande numero di cattolici. Alle Cortes costituenti dei primi mesi del 1869 vengono eletti 24 deputati tradizionalisti", Acedo, op. cit.

(21) Cfr. Alferez, op. cit. p. 138; Cfr. pure Roman Oyarzún, Historia del carlismo, Ediciones Falange Española, Madrid 1939, p. 297

(20) Acedo, op. cit.; "Giunsi a Parigi con cuore oppresso e timoroso. Sarà Don Carlos il re di cui abbisogna la Spagna? […] Ho visto il giovane, l'ho conosciuto, l'ho frequentato per lunghi giorni […] e ora mi azzardo a salutare in Don Carlos de Borbón y Este la speranza di Spagna" (Cit. in Alferez, op. cit., p. 140; Cfr. pure Oyarzún, op. cit., p. 305-306).

(21) cit. in Wilhelmsen, op. cit., p. 497, discorso del 1870. Nello stesso senso: "Ascoltate e imprimete nel cuore queste parole, e non dimenticatele: il partito carlista non è solo un partito politico, è un partito cattolico; è, soprattutto, un partito cattolici: ha intrecciato la sua causa con quella del cattolicesimo e riceve la sua forza principale dalla bandiera, che spiega ai venti del cielo. Per questo siamo obbligati ad essere migliori, per onorare quella bandiera; obbligati ad operare in tutto e in tutti i casi con maggiore giustizia, prudenza, chiarezza, decoro; perché, se non facessimo così, non danneggeremmo solo dei diritti personali e politici, ma i grandi, i permanenti, gli alti interessi della Chiesa Cattolica" (OC, vol. III, p. 390; El tradicionalismo, p. 145).

(22) Alferez, op. cit. p. 148.

(23) Oyarzún, op. cit., p. 317 e succ.

(24) Wilhelmsen, op. cit., p. 446.

(25) Alferez, op. cit., p. 141; Wilhelmsen, op. cit., p. 447.

(26) Antologia, p. 170; OC II, p. 391.

(27) Alferez, op. cit., p. 144

(28) Cit. in Wilhelmsen, op. cit., p. 528 (OC, IV, p. 283). Nello stesso senso: "Non cerco di resuscitare la Costituzione d'Aragón, perché non porto in questo secolo le leggi d'un altro quando non posso portarvi i costumi; perché a cosa valgono le leggi senza i costumi?" (Antologia, op. cit., p. 144).

(29) Cfr. Wilhelmsen, op. cit., p. 431-432; Alferez, op. cit., p. 148.

(30) Antologia, op. cit., p. 156.

(31) Alferez, op. cit., p. 149. Questa è, invece, la descrizione della morte secondo l'Enc. Espasa: "Nel pomeriggio dell'8 novembre 1872, dopo aver pronunciato uno dei suoi migliori discorsi in Parlamento, cadde dalla sedia con tutti i sintomi di una prossima morte improvvisa. Assistito convenientemente, morì pochi attimi dopo essere stato portato via dalla Camera, dando luogo a sentiti necrologi - di amici e avversari, e la stampa senza distinzione di partito - nei quali si rendeva rispettosa giustizia alla memoria di un uomo che seppe guadagnarsi il rispetto generale, anche nel mezzo delle violente lotte politiche spagnole degli ultimi anni della sua vita".

(32) OC, III, p. 432, cit. in WILHELMSEN, p. 529; Così prosegue la citazione: "Ciò è provato dalla sola considerazione che per prendere una decisione era necessario il consenso dei tre rami e che in Aragòn, dove ce n'era un quarto, fino al tempo di Filippo II, un solo voto contrario di uno dei rami bastava per impedirla. Questo era un gran difetto, corretto ai tempi di quel grande re; ma si vede chiaramente che se in quei tempi si fossero usati i partiti, con il loro gioco e con le bagattelle proprie del loro stile, non si sarebbe mai votata alcuna legge né approvata alcuna imposta".