1914-1989. Ideologia marxista e prassi leninista dalla prima guerra mondiale alla caduta del Muro di Berlino

Affrontare un tema come quello previsto dal titolo di questa relazione significa ripercorrere tutta la storia del Novecento con la certezza di non riuscire ad affrontare tutti gli avvenimenti più importanti del secolo che sta terminando.

Il marxismo prima della Rivoluzione d'ottobre

In realtà, l'ideologia marxista costituisce il fenomeno che più di ogni altro caratterizza la storia del XX secolo, soprattutto grazie all'apporto fornito da Lenin e dal partito bolscevico, che permettono all'ideologia di raggiungere il potere in Russia al termine della prima guerra mondiale e di dare vita al primo esperimento di socialismo reale nel mondo.

Non che il marxismo non avesse operato nel secolo precedente, soprattutto dopo il lancio del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels nel 1848, la costituzione a Londra della I Internazionale nel 1864 e della II nel 1889, che segnano la progressiva egemonia del marxismo sul movimento operaio a danno della "concorrenza" mazziniana e di quella anarchica e delle legittime aspirazioni originarie del movimento operaio, che volevano semplicemente alleviare l'insopportabile condizione operaia in seguito alla Rivoluzione industriale e dopo l'abolizione del sistema corporativo; tuttavia, senza la conquista del potere in Russia e la immediatamente successiva fondazione della III Internazionale comunista, il marxismo sarebbe rimasto uno "spettro che si aggira per l'Europa", senza diventare, come diventa, il protagonista ideologico del XX secolo.

Come interpretare il XX secolo?

A chiunque si accosti alla storia del XX secolo, accanto al problema delle fonti - in parte ancora inaccessibili o accessibili da troppo poco tempo come gli archivi dell'ex URSS - si pone il problema di individuare un filo conduttore che permetta di cogliere il senso ultimo della cronaca, cioè della serie di avvenimenti che si sono succeduti nell'arco di tempo che appunto va dalla prima guerra mondiale alla caduta del Muro di Berlino.

Fra le molte opere di sintesi e di interpreatzione del secolo XX che sono state scritte dopo il 1989, ho senz'altro privilegiato quella di Francois Furet, intitolata Il passato di un'illusione. L'idea comunista nel xx secolo.

Si tratta di un'opera seria e appassionata nel tentativo di descrivere il rischio corso da tutto il mondo occidentale di finire sopraffatto dall'ideologia comunista e dai regimi da essa realizzati dopo la Rivoluzione d'ottobre. E' l'opera di un intellettuale convinto della superiorità del sistema e delle istituzioni sorte in Europa dopo l'illuminismo e messe in pericolo dalla tentazione giacobina, che inizia già a prendere corpo con la Rivoluzione francese fino a realizzarsi compiutamente nel partito comunista di Lenin e nei regimi del socialismo reale. E' un'opera certamente acuta ma priva di quella dimensione religiosa che impedisce all'autore, per esempio, di cogliere la vera natura religiosa dello scontro di civiltà in corso in Spagna dal 1936 al 1939.

Grazie a Dio, ho ricevuto il dono della Fede e con essa la consapevolezza che il Signore della storia non assiste indifferente al succedersi degli avvenimenti, ma li accompagna e li dirige con l'intervento della sua Provvidenza. Proprio quest'ultima, fra le sue caratteristiche, ha quella di precedere e accompagnare gli avvenimenti drammatici per mettere in guardia gli uomini, per aiutarli a correggersi, in una parola per indicare dove si trova il male e come porvi rimedio.

Ebbene, nel 1917, in piena guerra mondiale, la Madonna a Fatima anticipa la Rivoluzione bolscevica d'Ottobre con sei apparizioni a tre pastorelli nelle quali, fra l'altro, profetizza che la Russia avrebbe diffuso i suoi errori nel mondo prima di convertirsi: credo sia difficile, per un credente, non cogliere l'opera della Provvidenza in queste apparizioni. Ma anche per chi non credesse esse rimangono un fatto e, soprattutto, anticipano quello che sarà il motivo dominante del secolo: la Russia comunista protesa alla conquista ideologica e militare del mondo.

Ecco allora il mio filo conduttore, o, meglio, la guida necessaria per intraprendere il lungo viaggio attraverso il XX secolo. Le apparizioni mariane di Fatima descrivono uno scenario che caratterizzerà la storia del secolo e che sarà ripreso dal Magistero della Chiesa: al peccato personale e sociale seguono l'inferno, dove finiscono le anime che muoiono non in grazia di Dio - e che viene mostrato ai bambini con un atto pedagogico controcorrente - ma segue anche l'inferno per le nazioni - cioè la diffusione dell'errore comunista nel mondo da parte della Russia e la successiva instaurazione dei regimi del socialismo reale; questa sarà la condizione del mondo fino al trionfo del Cuore Immacolato di Maria, che potrà verificarsi soltanto dopo la conversione degli uomini e delle nazioni.

Il messaggio di Fatima è una lettura teologica del XX secolo donato per la conversione del mondo; ma, in più, permette anche di comprendere il senso ultimo degli avvenimenti, fra i quali decisivo è il ruolo interpretato dal comunismo.

La prima guerra mondiale

Il messaggio di Fatima si svolge poco prima della Rivoluzione russa, ma anche quasi al termine della prima guerra mondiale.

Proprio Furet ha perfettamente ragione ad attribuire una decisiva funzione dissolvitrice e rivoluzionaria alla prima guerra mondiale.

Con essa infatti, un mondo storico si dissolve completamente, un mondo che "sopravviveva" al tempo precedente la Rivoluzione francese e che senza una restaurazione vivificante dei princìpi naturali e cristiani era inevitabilmente destinato a scomparire.

Il mondo precedente la guerra era contrassegnato dall'esistenza di prìncipi ma anche di princìpi, aveva cioè un senso comune che orientava la vita individuale e collettiva e che permetteva agli individui e alle famiglie di costituire effettivamente delle comunità, delle nazioni.

Tuttavia questo mondo si era lasciato contagiare dalla passione ideologica per un nazionalismo - anch'esso figlio della Rivoluzione francese e che non aveva e non ha nulla in comune con l'amore di patria - che non solo detestava gli Imperi sovranazionali, ma odiava anche quel senso comune della vita che appunto fondava le comunità.

Ebbene, questo mondo tradizionale ancora legato al vissuto quotidiano, spesso inconsapevole, del diritto naturale, questa società ancora sostanzialmente impermeabile alle ideologie, comincerà a scomparire dopo la prima guerra mondiale, tanto che in un suo bel libro Francois Fejto (Requiem per un impero defunto) ha potuto affermare e dimostrare che uno degli scopi del conflitto fu senz'altro quello di eliminare la realtà politica che con i suoi pregi e i suoi difetti incarnava questo mondo, l'Impero d'Austria e Ungheria, come dimostrabile dalla congiura diplomatica e politica contro i tentativi di far cessare la guerra e scindere le responsabilità dell'Austria da quelle della Prussia da parte del successore di Francesco Giuseppe, il ven. Carlo d'Austria, l'ultimo imperatore degli Asburgo.

Tuttavia vi è dell'altro. La diffusione del nazionalismo ha favorito la nascita e il consolidarsi, per "via dialettica", dei suoi errori contrari, il cosmopolitismo di origine massonica e l'internazionalismo socialista e comunista.

Non è un caso che, immediatamente dopo la distruzione dell'Impero austro-ungarico venga fondata la Società delle Nazioni nel tentativo, che risulterà vano, di comporre le tensioni esistenti fra popoli diversi, senza peraltro dar loro un diritto comune e una famiglia che, come quella imperiale, potesse vantare dei carismi di guida politica plurisecolari.

E non è un caso che l'ideologia nazionalista, con la sua cecità, sia all'origine anche politica e militare della vittoria comunista in Russia, come dimostra la vicenda del "vagone piombato" che attraverso la Germania giunge in Russia trasportando la classe dirigente bolscevica, grazie alla complicità del governo tedesco che, con la vittoria di Lenin, avrebbe ottenuto l'uscita della Russia dalla guerra e un importante nemico in meno.

Ancora il messaggio di Fatima ritorna alla mente quando si ripercorrono le inquietanti vicende delle origini della Rivoluzione d'ottobre: inquietante infatti è l'importante figura-chiave dell'accordo tedesco-bolscevico, il finanziere amico dei comunisti, Parvus, che anticipa l'altra figura "esemplare" appena scomparsa, Harmand Hammer, ma soprattutto inaugura la lunga serie degli industriali e finanzieri affascinati o interessati dall'ideologia comunista.

Ma infinitamente più misteriosa e inquietante è la figura di Lenin, l'anima della Rivoluzione, colui che ad essa ha dedicato la vita, vero rivoluzionario di professione, grande uomo d'azione.

Perchè ancora Fatima? Perchè, nel messaggio, la Madonna attribuisce tanta importanza a un'ideologia che, allora, rappresentava ancora soltanto una speranza per pochi comunisti, e una inoffensiva utopia per i più. E così dicendo, la Madonna indica nel comunismo - che si appresta a conquistare una patria da dove poi cercherà di irradiarsi nel mondo - il protagonista e il pericolo per l'umanità del XX secolo. Non credo di forzare il messaggio per fare dell'anticomunismo, ma credo semplicemnete di riflettere su un fatto.

Da Lenin a Stalin: "il socialismo in un solo paese"

Sconfitta dall'esercito polacco davanti a Varsavia, nel 1920, l'Armata Rossa è costretta a porre termine all'espansione dell'ideologia verso Occidente. Si interrompe il sogno di Lenin di esportare subito il comunismo in Europa e, dopo pochi anni, si interrompe anche la sua misteriosa vita. Stalin gli succede alla guida del Partito e dunque dello Stato e, in polemica con altri dirigenti comunisti, vorrà la costruzione del socialismo in un solo paese.

Se l'odio fra le nazioni aveva segnato l'inizio del secolo e portato alla prima guerra mondiale e se l'odio di classe aveva animato la spinta rivoluzionaria dei primi bolscevichi guidati da Lenin, con Stalin l'odio rimane il motore della Rivoluzione ma viene utilizzato anche all'interno della forza rivoluzionaria. Rimasto solo alla guida del partito e dello stato sovietico dopo una sanguinosa epurazione che colpisce anche Buharin, l'allievo prediletto di Lenin, e che porta all'espulsione di Trockij dall'URSS, sempre nel 1929, il comunista georgiano si può dedicare al consolidamento del regime, alla trasformazione del paese in una potenza industrial-militare, alla deportazione di milioni di persone colpevoli soltanto di non trovare posto nei programmi di pianificazione economica. Si può dedicare anche alla coltivazione del culto della sua persona, autoproclamandosi l'unico legittimo interprete di Marx, nel 1931, e costruendo, secondo alcuni suoi biografi, un impero nazional-popolare, frutto della commistione fra le due ideologie del secolo, nazionalismo e marxismo. Il suo apogeo viene celebrato durante il Congresso del Partito, nel 1934, contemporaneamente all'apogeo celebrato in un congresso a Norimberga da Hitler, appena asceso al potere: entrambi i congressi del 1934 verranno definiti i Congressi dei vincitori (cfr. Geller - Nekric, p.286).

Hitler, Stalin e il Patto del 1939

Se oggi si interrogasse l'uomo comune, anche colto e informato, a proposito dei rapporti fra Hitler e Stalin, fra il nazionalsocialismo e il socialcomunismo, la risposta sarebbe ovviamente del tipo: "i peggiori nemici della storia contemporanea". La realtà è diversa. Non solo perchè entrambe le ideologie avevano in comune l'odio, di razza o di classe poco importa, ma anche perchè i contendenti che ambivano a dominare il mondo di allora erano tre, nazionalsocialismo, socialcomunismo e democrazie liberali con i rispettivi regimi, ed era quindi gioco-forza che la vittoria di uno dei contendenti sarebbe dovuta passare attraverso la momentanea alleanza con uno degli altri due. Questo contribuisce a spiegare il patto di non aggressione fra Germania nazista e URSS siglato il 23 agosto 1939 al quale segue, il 28 settembre, un trattato di amicizia fra i due Stati che stabilisce il confine fra i due paesi impegnandoli in una lotta comune contro la resistenza polacca.

Il Patto sconvolse l'assetto politico dell'Europa e sancì la spartizione della Polonia fra i due Stati, l'annessione dei paesi baltici all'URSS e, successivamente, anche l'invasione sovietica della Finlandia, che peraltro oppose un'eroica e indomita resistenza. Le democrazie occidentali rimasero sconvolte dal voltafaccia sovietico, soprattutto perchè Stalin aveva scelto, negli anni successivi all'ascesa al potere di Hitler, di praticare la politica dei Fronti Popolari antifascisti per permettere all'URSS di uscire dall'isolamento politico accreditandosi come forza democratica presso i governi e l'opinione pubblica delle nazioni occidentali; la strategia dell'alleanza antifascista raggiunse il culmine nel periodo della guerra civile spagnola. Mentre l'Unione Sovietica giocava la carte antifascista, negli anni dal 1936 al 1939 Stalin faceva celebrare i processi di Mosca contro gli oppositori sopravvissuti.

Durante il periodo del patto tedesco-sovietico, scoppia la seconda guerra mondiale in seguito all'invasione tedesca della Polonia (1-9-1939) e alla successiva dichiarazione di guerra da parte di Inghilterra e Francia. Quest'ultima viene velocemente sconfitta e truppe tedesche ne occupano il territorio, mentre il 16 giugno 1940 si costituisce il governo del Martesciallo Petain con sede a Vichj, nel territorio non occupato dalle truppe tedesche: l'Inghilterra rimane per circa un anno da sola ad opporsi alla Germania di Hitler.

Il 22 giugno 1941, con l'operazione Barbarossa, la Germania invade l'URSS cogliendola completamente di sorpresa, anche se qualcuno ha sostenuto che l'operazione di Hitler sarebbe stata preventiva rispetto a un attacco sovietico.

E' un momento drammatico per l'Unione Sovietica: ripetutamente sconfitto, il suo esercito è costretto ad arretrare verso est, mentre le truppe tedesche sono accolte come un'esercito di liberazione da molta parte della popolazione, da numerosi villaggi che offrono ai soldati tedeschi pane e sale secondo le sacre abitudini dell'ospitalità; infine, centinaia di migliaia di uomini chiedono di potersi arruolare in un esercito slavo anticomunista. Nel 1941, sessanta milioni di cittadini sovietici su centocinquanta non sono più sotto il controllo dell'URSS. Le notizie fornite da Solzenichin al proposito sono molto precise:

Soltanto il delirio razzista dell'ideologia nazionalsocialista può aver accecato a tal punto la classe dirigente tedesca da impedirle di cogliere l'opportunità che la storia le offriva, cioè di diventare l'armata liberatrice dei popoli slavi: ma Hitler cercava schiavi non alleati. Questa è la conclusione a cui arrivano Aleksandr Solzenicyn (Arcipelago 3, pp 34-37), Heller e , Furet. Per la verità, qualcosa fu fatto come emerge dai resoconti degli stessi autori, se alla fine della guerra un milione di cittadini sovietici combatteva nelle file della Vermacht. Ma nulla fu fatto rispetto a quanto era possibile e soprattutto non venne mai data ai russi la possibilità di sentirsi sudditi di un loro governo di liberazione e combattenti in un loro esercito.

In pochi mesi la situazione cambiò completamente: Stalin accentua la componente nazionalista del suo binomio ideologico e lancia continui appelli alla difesa della patria. Nasce un movimento partigiano che opera contro le truppe naziste e italiane; l'esercito tedesco viene sconfitto davanti a Mosca, da dove era addirittura fuggito il governo sovietico. Come Napoleone, anche Hitler comincia la sua disfatta dalla trappola russa.

Invece Stalin riceve dal nazionalsocialismo il miglior regalo della sua carriera politica: da complice della barbarie nazista e da traditore diventa in pochi mesi la vittima e l'eroe che resiste all'invasore e lentamente ma inesorabilmente lo ricaccia da dove era venuto.

L'Armata Rossa arriverà a Berlino come un esercito liberatore e Stalin siederà accanto a Churchill e a Roosevelt per operare la spartizione del mondo: vittime di Yalta, i popoli dell'Europa orientale diventeranno negli anni successivi alla fine della guerra schiavi di Mosca.

Il dopoguerra in Italia: il ritorno di Palmiro Togliatti

Come la prima guerra mondiale aveva reso possibile la Rivoluzione comunista in Russia, così la seconda permette l'esportazione del comunismo fuori dall'URSS. Stalin saprà approfittare del credito raccolto in Occidente con la guerra antinazista e nel giro di tre anni il regime comunista scenderà come la notte più buia sull'Albania, la Cecoslovacchia, la Polonia, l'Ungheria, la Bulgaria, la Romania, oltre che in Jugoslavia con modalità diverse. In tutti questi casi vale il principio spartitorio della logica di Yalta e le suddette nazioni diventano regimi comunisti nonostante i partiti comunisti locali siano rappresentativi di parti minoritarie, in alcuni casi addirittura minuscole, dell'opinione pubblica.

La stessa logica di Yalta impedisce all'Internazionale Comunista di operare in Italia allo stesso modo. Quando, nel 1944, Palmiro Togliatti, l'ex-segretario del Partito Comunista Italiano, sbarca a Napoli, porta già sopra di sè grandi responsabilità morali in quanto responsabile nell'aver apposto la sua firma agli assassini di molti compagni comunisti invisi a Stalin nel tempo dei "grandi processi" di Mosca degli anni trenta, in qualità di...e anche per l'eliminazione di migliaia di anarchici durante la guerra civile spagnola, in quanto massimo rappresentatante dell'IC in terra di Spagna.

Egli è stato con Gramsci il costruttore del PCI dopo la scissione dal partito socialista nel 1921: un'opera resa difficile dall'esilio a Mosca dopo il 1926, dalla clandestinità cui tutto il partito è costretto, ma che non gli impedisce di guidare comunque il partito nell'alternarsi fra la politica del fronte comune con le altre forze antifasciste e l'appello ai fascisti per un incontro sulla base dei principi ispiratori del fascismo del 1919 o addirittura all'infiltrazione in organismi fascisti, come i GUF, così come viene raccontato con dovizia di particolari da Ruggero Zangrandi nel suo Il lungo viaggio attraverso il fascismo.

Le difficoltà che incontra al suo rientro in Italia sono molte e la principale riguarda l'ostilità e la resistenza di buona parte del partito alla sua politica legalitaria intesa a fare del PCI la forza egemone della sinistra, avente come meta la fuoriuscita dal capitalismo verso una società socialista legata profondamente a quella sovietica, ma sempre nell'ambito e nel rispetto della legalità repubblicana. Gli si oppongono i comunisti legati a una concezione settaria del partito, che credevano possibile, come Secchia, la conquista del potere con le armi, seguendo l'esempio di Lenin nel 1917 e attraverso la continuazione della Resistenza senza che i partigiani deponessero le armi, come Togliatti richiedeva. I suoi oppositori, perciò, rifiutarono fin da subito la concezione che Togliatti aveva del "partito nuovo", di massa e non solo di militanti, capace di radicarsi nel paese attraverso una profonda azione culturale che modificasse anzitutto il senso comune della gente, che attraverso il dialogo coi cattolici superasse l'ostilità della Chiesa. Circondandosi di giovani intellettuali che non provengono dall'esperienza comunista e sfruttando la struttura organizzativa del partito - l'unico che aveva mantenuto in clandestinità una pur limitata presenza sul territorio - Togliatti riesce progressivamente a costruire il partito nuovo, diventando presto la principale e più forte alternativa rivoluzionaria alla Chiesa cattolica e alla DC.

Partito di quadri e di massa, che forma i dirigenti al marxismo-leninismo però abituandoli al gradualismo nel perseguimento degli obiettivi rivoluzionari, il PCI passa dall'esperienza di governo fino al 1947 alla sconfitta elettorale del 1948 e alla successiva opposizione parlamentare; quest'ultima però non impedisce al partito di crescere progressivamente nei consensi elettorali ma soprattutto di riuscire a incrementare la propria egemonia culturale sulla società.

Quando Togliatti muore, nel 1964, il PCI ha raggiunto parecchi degli obiettivi che si era prefissato: è diventato stabilmente il partito guida della sinistra italiana, è riuscito a ottenere ampi consensi elettorali e soprattutto a livello di quadri dirigenti al di fuori del tradizionale bacino d'utenza della classe operaia, ha ottenuto in modo particolare l'egemonia culturale che Gramsci aveva auspicato in ampi settori della vita italiana, la scuola e l'università, il mondo dell'editoria e anche dello spettacolo, ha contribuito allo spostamento a sinistra dell'asse politico del paese con la nascita del primo governo di centro-sinistra - di fronte al quale Togliatti, favorevole all'astensione del PCI in sede di voto parlamentare, sarà messo in minoranza dalla direzione del suo partito - e ha potuto già vedere il miglioramento del dialogo col mondo cattolico soprattutto dopo la famosa conferenza di Bergamo del 1963, quando il segretario del PCI aveva lanciato un nuovo appello alla collaborazione coi cattolici in nome del pacifismo.

Il rapporto col mondo cattolico era uno dei punti fissi della politica togliattiana ed era una conseguenza della sua formazione culturale.

La sua formazione intellettuale illuministica e il suo marxismo idealistico lo portavano a promuovere un'azione politica sempre molto aderente alla realtà. E la realtà degli anni del dopoguierra era una società profondamente intrisa di principi religiosi, nella quale la Chiesa cattolica aveva acquisito un enorme consenso popolare. Togliatti ne tenne sempre conto e questo significò eliminare ogni componente di anticlericalismo dal PCI che lo porterà lontano da altre posizioni rivoluzionarie in Italia, come quelle laiciste uscite dal partito d'azione e poi rappresentate per esempio dal partito redicale.

Tuttavia, quando Togliatti muore lascia un partito in crisi, come in crisi era il comunismo sovietico nonostante l'apparenza contraria.

La crisi del comunismo comincia nel 1956 con la denuncia dei crimini di Stalin compiuta da Chruscev in occasione del XX congresso del PCUS; così la commenta Furet: "Stalin è stato troppo al centro del movimento comunista perché sia semplicemente possibile sbarazzarsene, anche se in pubblico. I suoi eredi, compagni o figli infedeli, non possono ucciderlo senza farsi del male" (p 506). Ma Chruscev non si rivolgeva alla società bensì al partito e chiedeva non la fine dell'uso della violenza contro i popoli asserviti dall'URSS, ma soltanto la fine delle eliminazioni interne al partito. Infatti, solo pochi mesi dopo il discorso di Chruscev, l'URSS sopprime la protesta scoppiata in Polonia e soprattutto, nell'ottobre, invade l'Ungheria dove si sta verificando la più grande rivolta anticomunista nella storia dell'impero.

Così, gli eredi di Stalin sono costretti a farsi del male per sbarazzarsi dell'ingombrante figura del piccolo padre georgiano. Il PCI perde l'appoggio militante di molti intellettuali e l'URSS perde in Occidente l'immagine favorevole che aveva faticosamente riconquistato dopo la seconda guerra mondiale nonostante gli "errori" commessi nella guerra civile spagnola e l'ingombrante parentesi dell'alleanza col nazionalsocialismo dal 1939 al 1941.

Tuttavia, il comunismo riesce ancora a cavarsela, a cominciare una nuova vita. Poichè il comunismo sovietico appare, ed è, triste e burocratico, violento e totalitario, incapace ormai di sedurre, allora gli si creano altre alternative. Anzitutto intellettuali, in Occidente, con la scuola di Francoforte, il nuovo modo di essere rivoluzionari proposto da Herbert Marcuse o da Louis Althusser, e poi anche soluzioni politiche diverse, con il comunismo cinese, che rompe con Mosca, o il comunismo tropicale, più romantico, che si instaura a Cuba con Fidel Castro e lancia nel mondo il mito del Che. "Comunismi assortiti" dunque, secondo un'espressione di Plinio Correa de Oliveira, per frenare la crisi del comunismo.

Il Sessantotto e il terrorismo

Frattanto si prepara una nuova fase rivoluzionaria che prenderà il nome dall'anno, il 1968, in cui si verificano gravi e continui incidenti fra studenti parigini in rivolta contro autorità accademiche e forze dell'ordine. Per la verità, il fenomeno della cosiddetta contestazione proveniva dagli Stati Uniti, dai campus universitari, ma in Europa passerà alla storia attraverso il maggio francese, corrispondente nella mitologia rivoluzionaria alla presa della Bastiglia del 1789.

In estrema sintesi, si può definire il Sessantotto come una rivoluzione culturale che mira alla mutazione antropologica della persona, alla costruzione dell'uomo nuovo, grazie a "una ribellione totale", secondo l'espressione di Marcuse. Esso è il frutto di un lungo processo di secolarizzazione che, dopo la fine della guerra, ha investito l'Europa occidentale accompagnandone il risanamento economico e dando vita progressivamente e attraverso una immensa dilatazione dei consumi a quella che viene definita, dagli anni Sessanta, la società opulenta o del benessere.

La secolarizzazione ha investito tutta la popolazione e tutti i diversi ambienti politici, la destra come la sinistra e lo stesso mondo cristiano; se la osserviamo in Italia, vediamo come essa abbia imposto dei radicali mutamenti alla stessa politica del PCI, costringendolo a confrontarsi con temi morali ed esistenziali, quali il divorzio, l'aborto, la rivoluzione sessuale, la diffusione delle droghe, il rifiuto dell'autorità, che il PCI di Togliatti non avrebbe mai voluto toccare, sia perché lo avrebbero portato allo scontro diretto con il mondo cattolico su temi non immediatamente politici, sia perché avrebbero urtato la sensibilità della stessa base comunista, che era composta in maggioranza da credenti, come Togliatti stesso sapeva e come riconobbe per esempio nella conferenza di Bergamo.

Così il PCI dovette assistere alla nascita di una nuova sinistra, laicista, libertaria, antisovietica, che si estenderà nel mondo soprattutto giovanile provocando un mutamento culturale e di costume i cui effetti cominciano solo oggi a farsi sentire.

Ma il Sessantotto provocò la nascita anche di un'altra sinistra, che colse nel movimentismo soprattutto l'aspetto politico, rinverdendo il mito leninista della conquista del potere con le armi e riallanciandosi alla Resistenza armata e a quell'ala del PCI facente capo a Pietro Secchia, che il PCI di Togliatti aveva emarginato ma che pur rimaneva presente nell'ambiente socialcomunista. Questo fu il percorso attraverso il quale vide la luce il fenomeno terrorista, che dai servizi d'ordine dei cortei alla violenza esercitata con gli agguati a giovani di destra, predispose decine di migliaia di giovani al passaggio alla clandestinità, a dfiventare rivoluzionari di professione in armi, esito che trova nei brigatisti rossi l'esempio più significativo in Italia.

Il Sessantotto ha raggiunto il suo scopo, che era culturale, cioé di cambiare la mentalità e il costume di una generazione. I suoi contenuti utopistici e nichilistici hanno invaso tutte le famiglie culturali d'Europa, incidendo profondamente nelle trasformazioni in corso, negli anni Ottanta, nei rapporti di forza fra le due superpotenze mondiali, gli Stati Uniti e l'URSS.

Cosa accadeva in questi anni nella competizione tecnologica e nucleare fra le due superpotenze?

Secondo Francois Fejto, nel suo La fine delle democrazie popolari, la vittoria politica degli USA è emblematicamente espressa dalla realizzazione dello scudo stellare, che sancisce la sconfitta sovietica rendendo inoffensivo il possibile uso della bomba atomica da parte sovietica. Dal riconoscimento dell'impossibilità di proseguire nell'opera di conquista del mondo, che nel 1975 con la caduta di Saigon in mano comuniste aveva raggiunto l'apice, l'URSS è costretta a operare per una metamorfosi ideologica e politica, che comuncia con Andropov e viene portata a termine dal suo delfino, Gorbaciov.

Ma la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, e i successivi mutamenti nei regimi dell'Europa orientale e nella stessa URSS, non sono l'esito di una rivolta anticomunista, bensì di un'implosione, cui segue una ristrutturazione e un ritorno al potere, come ci racconterà Pierre de Villemarest.

Anche in Italia, la trasformazione del PCI nel Partito Democratico della Sinistra, viene presentato, e in parte lo è veramente, come il punto di arrivo di un itinerario che comincia con la segreteria di Enrico Berlinguer, con lo "strappo" da Mosca, con l'esaurirsi della capacità propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre.

Tutto questo, però, non provoca neppure lontanamente qualcosa di simile a quello che si è realizzato nel dopoguerra a proposito del nazionalsocialismo. Eppure il costo umano del comunismo nel mondo viene calcolato attorno ai 200 milioni di morti, secondo stime di diversa fonte. Essere anticomunisti rimane un atteggiamento demodée, esagerato, estremista, sul quale permane il sospetto di fascismo e di nemico della democrazia e della libertà.

Il vero problema è che gli intellettuali non vogliono veramente affrontare il problema del comunismo, il suo essere, come ha spiegato Solzenichin, una menzogna organizzata nella storia. Perché se il comunismo è una menzogna, la fuoriuscita da questa ideologia presuppone la ricerca e la l'approdo alla Verità, alla verità che può riconciliare gli uomini dopo la semina di odio ideologico, per oltre un secolo.

Devo concludere. E lo voglio fare citando le parole di chi in Italia ha raccolto l'eredità del PCI, il segretario del PDS on. Massimo D'Alema. Parlando in Israele, nei giorni scorsi, a proposito del processo contro Priebke, ha detto che certi delitti non cadono mai in prescrizione né per la giustizia, né per la coscienza morale. Applicando le sue parole al comunismo, si deve ricordare che i suoi delitti contro le persone e contro le nazioni, che la congiura contro la verità e la pace scatenata dalle forze che al comunismo si sono ispirate in particolare dopo la seconda guerra mondiale, per rispetto della giustizia impongono un nuovo processo di Norimberga che giudichi non solo i vinti della seconda guerra mondiale, ma anche i vincitori.

Marco Invernizzi