L'UOMO E LA FEDE

Il pensiero del cristiano è privo di razionalità? Il fideismo tende a ciò, il laicismo ne fa un capo d'accusa. Eppure la fede è una attività dell'uomo

Uno degli equivoci più incresciosi e più dannosi parimenti alla filosofia e alla fede cristiana consiste nel non saper accuratamente distinguere tra il naturale e il soprannaturale nell'ambito del conoscere nel quale la suddetta distinzione coincide con quella tra ragione e fede, tra filosofia e teologia. S. Tommaso dichiara senza mezzi termini il suo punto di vista: "Necessarium fuit, ad humanam salutem, esse doctrinam quamdam secundum revelationem divinam, praeter philosophicas disciplinas, quae ratione humana investigantur" (1, 1, 1 c). La teologia, la sacra dottrina, si ispira alla luce soprannaturale della divina rivelazione e perciò si colloca al di là (praeter) delle discipline filosofiche che affidano la loro indagine alla sola ragione.

Contro questa netta distinzione che vede i due ambiti separati nella diversità del loro oggetto cosiddetto formale ovvero dell'approccio intellettivo alla conoscenza del vero, ma anche coordinati e complementari reciprocamente e sempre amici nella coerenza della verità, poiché, se non tutto ciò che è coerente (non-contraddittorio) è vero, certamente tutto ciò che è vero è invece coerente e vicendevolmente non ripugnante, si oppone un duplice errore. Uno è quello del fideismo, l'altro, opposto nelle motivazioni, ma identico nei contenuti, è quello del laicismo. Entrambi dichiarano che il pensiero del cristiano non può che essere un pensiero cristiano che poggia sul mero "rischio della fede), ed è perciò privo di qualsivoglia razionalità naturale solo che il fideismo se ne rallegra dichiarando che se un cristiano pensasse diversamente, cioè in chiave puramente filosofica e naturale, cadrebbe nell'idolatria della ragione (basta pensare all'opposizione, di pascaliana memoria, tra il Dio dei Patriarchi e il Dio dei filosofi) mentre il laicismo ne fa un capo d'accusa contro il cristianesimo parlando d'un pensiero plagiato in partenza da un ché di irrazionale e di storicamente e "dogmaticamente" condizionato.

Questo stato di cose costituisce una vera e propria piaga della cultura moderna che si scinde in una razionalità riduttiva da una parte e in un fallimentare tentativo di ricuperare le idee metafisiche (Dio, anima ecc .) sul piano dell'irrazionale dall'altra parte. Lo si trova facilmente in Kant, padre della modernità, il quale dichiara illegittima ogni metafisica speculativa affidandone poi i contenuti alla morale pratica e pensando molto ingenuamente, che così essi continuano ad essere razionali e per giunta al riparo da eventuali attacchi degli scettici. Di fatto la metafisica, appena estromessa dal suo ambito proprio, ovvero razionale e speculativo, fu distrutta e la trascendenza fu affidata al più bizzarro arbitrio di sentimenti più o meno edificanti. 2 un fatto che potrebbe sorprendere, eppure è innegabile, che cioè l'illuminismo razionalistico è il più grande fautore non solo dell'ateismo, ma anche della superstizione più primitiva e ributtante.

Identificando filosofia e kantismo e scordandosi ogni istanza critica nel momento stesso in cui solennemente la proclamano, i laicisti riducono la filosofia al fenomenismo e all'immanentismo, il che li induce a pensare che ogni anelito al trascendente che osasse apparire nel pensiero razionale sia già un contenuto dipendente da convinzioni religiose se non addirittura dall'"inganno dei preti". Ma se così fosse, Platone non sarebbe filosofo perché a differenza dei sofisti egli vede in Dio e non nell'uomo la misura di tutte le cose e non lo sarebbe nemmeno Aristotele, il quale definisce la metafisica senza mezzi termini come disciplina teologica,, in quanto il suo sommo oggetto non può essere che Dio. Certo, negare che ci sia religione naturale e che il pensiero umano può e deve pensare Dio, è sfortunatamente ancora "filosofia", ma pessima filosofia come lo fu la sofistica in tutta la sua hybris antropocentrica ed implicitamente atea contrapposta al messaggio socratico tutto vibrante di una tanto sentita quanto ragionata religiosità.

I fideisti pensano di difendere la religione dagli attacchi dei laicisti concedendo loro proprio ciò che costituisce il loro cavallo di battaglia: l'impossibilità d'una religione naturale e di una metafisica (teologia) razionale. Essi sono convinti che il razionalismo va combattuto non in ciò in cui pecca, ovvero nell'esclusione della religione e del soprannaturale, bensì in ciò che esso ha di buono, nella affermazione della ragione. Orbene, è sempre cattiva teologia quella che per difendere la fede ha bisogno di prendersela con la ragione. 1 fideisti dunque sono d'accordo coi razionalisti che la metafisica è già sotto l'influsso della fede, ma si limitano a rinfacciare loro che in fondo non c'è filosofia che non sia già sotto l'influsso di qualche "fede,,, vera o falsa che essa sia.

Con questa affermazione si sbarra ogni strada verso una filosofia razionale: il pensiero più alto, la sapienza, altro non sarebbe che un'estrinsecazione di condizioni culturali nelle quali si vive. Sono davvero pochi i temi nei quali la metafisica classica può trovarsi d'accordo con il criticismo kantiano, ma uno di essi è decisamente quello della netta distinzione tra epistemologia e psicologia. Nessuno nega l'ovvia constatazione che l'atto cognitivo ha anche una componente psicologica, ma si ribadisce che la psicologia non è per nulla in grado di spiegare tutto il conoscere, anzi, proprio la natura, l'essenza del conoscere, non è afferrabile da essa. La differenza concerne l'universale e il particolare in quanto l'apporto psicologico è sempre singolare, valido o per un individuo o per un gruppo, ma mai accettabile da tutti, mentre la natura stessa del conoscere, così come si costituisce oggetto dell'epistemologia (gnoseologia), è universalmente valida, così che tutti dovrebbero riconoscerne i contenuti purché sufficientemente pensati o meditati. Kant ripudiò la metafisica proprio perché secondo il suo punto di vista non fondava sufficientemente la caratteristica dell'universalità e dì necessità nell'a priori del soggetto pensante. Di fatto la scienza e la metafisica sono conoscenze razionali e come tali devono presentare le caratteristiche di universalità solo che, mentre la fisica, data la povertà ontologica del suo oggetto, facilmente giunge a tale mèta, nella sapienza filosofica l'ideale sarà sempre presente, ma mai perfettamente raggiunto ed anche le sue parziali realizzazioni saranno dovute non già a modelli teorici più o meno applicabili ai fenomeni, bensì a ragionamenti che pensano un oggetto come già almeno implicitamente presente alla mente del pensatore (non però come un a priori, ma come un oggetto realtà).

Il fideismo non imperversa però solo nella teologia, perché il suo parallelo filosofico, lo psicologismo, devasta la speculazione razionale non meno rovinosamente. Perciò la constatazione che, in fondo, se la teologia può influire sul pensiero cristiano, a sua volta ogni umana filosofia contiene parimenti il suo condizionamento psicologico (storico, culturale), costituisce davvero una magra consolazione. Di fatto ritenere che la sapienza non può nemmeno essere partecipe del rigore razionale e della validità universale equivale alla distruzione e della rivelazione che deriverebbe tale e quale da stati psichici, tesi fin troppo ovviamente modernistica, e del pensiero filosofico che si limiterebbe ad esplicitare delle originarie intuizioni poetiche (Heidegger) che saranno belle finché si vuole, ma vere solo hic et nunc e per tale individuale soggetto ossia non sono, alla fine dei conti, vere affatto.

S. Tommaso, e la Chiesa su questo punto fece largamente suo il pensiero del Dottore Comune, proclama la distinzione delle discipline razionali -sia scientifiche che sapienziali - le quali entrambe, seppure in modi diversi, sono razionali, naturali ed universali da una parte e, dall'altra, della conoscenza soprannaturale che poggia sulla divina rivelazione e su un assenso dell'umano intelletto premosso dalla volontà (amore della verità rivelata) e dalla grazia attuale. Ed è solo rimanendo bene consistente in se stessa che la natura può dare testimonianza alla fede e similmente mantenendo la propria indipendente intellettualità naturale la filosofia potrà servire da buona ancella la teologia il che, come si vede, rivela che la tanto malintesa frase "philosophia ancilla theologiae" non solo non diminuisce la dignità della filosofia, ma addirittura ne postula la reale indipendenza. Ed in verità non vi è migliore aiuto al razionalismo immanentistico, tendenzialmente ateo, di quello datogli dal suo apparente avversario che è il fideismo irrazionale - se tutto fosse fede, la fede stessa potrebbe anche essere pura opinione, ma, siccome Dio obiettivamente è, e la ragione da sé, antecedentemente all'assenso di fede, lo riconosce tale, la Sua parola sarà a sua volta altrettanto obiettiva e reale. Se Dio esiste solo perché si crede in Lui, la stessa fede sarà priva di un fondamento nell'essere e risulterà opera del solo pensiero, edificante finché si vuole, ma solo soggettivo e al limite arbitrario. E allora avrà ragione Feuerbach a dire che in tal caso non l'uomo è opera di Dio, largitore di essere, ma al contrario Dio è opera dell'uomo elucubratore di ideali o, come direbbe Kant, costruttore di castelli in aria. Una teologia che disprezza la ragione non può che essere cattiva teologia e una fede che pensa di poter prescindere dalla natura intellettiva dell'uomo, aperta alla realtà dell'ente, di fatto distrugge se stessa. La fede suppone la ragione e la rivelazione soprannaturale suppone la certezza razionale naturale che Dio esiste e che può comunicarsi all'uomo.

Passiamo ora ad esaminare i diversi significati del termine "filosofia cristiana" per vedere se ce n'è uno che rispetti la ragione nella sua indipendenza e rispettandola rispetti anche la fede cristiana stessa perché, secondo quanto è emerso sinora, non si rispetta la fede nella sua reale obiettività se non si rispetta la ragione nella sua reale indipendenza dalla fede. Anzitutto si potrebbe intendere per filosofia cristiana una riflessione razionale sullo stesso dato di fede, ma in tal caso non si avrebbe più una filosofia bensì precisamente una teologia, giacché la differenza tra le due discipline consiste proprio nel fatto che, mentre la prima procede da principi naturali e naturalmente conosciuti, l'altra appoggia la sua ricerca sul dato soprannaturalmente rivelato da Dio e altrettanto soprannaturalmente creduto dall'uomo. Non si può trattare nemmeno di un pensiero positivamente influenzato dalla fede cristiana, perché in tal caso si avrebbe sempre una ricerca teologica almeno in quelle parti di essa che sottostanno all'influsso diretto della fede. Non si può trattare nemmeno, secondo la moda esistenzialistica che in teologia corrisponde al neomodernismo, di una riflessione che porta l'uomo alla coscienza del bisogno di ricevere una rivelazione soprannaturale, perché in tal caso l'ordine della grazia non sarebbe più di grazia, ovvero gratuito, ma entrerebbe a far parte delle esigenze stesse della natura che si comprende come radicalmente insufficiente in sé e inoltre una simile conclusione sarebbe falsa anche nello stesso ordine naturale, in quanto non tiene debitamente conto della sua consistenza e indipendenza propria. Né si può trattare della semplice ricezione della filosofia platonica, aristotelica e neo-platonica nell'ambito del cristianesimo che corrisponde ad un momento storico molto limitato e non risponde per conseguenza alla domanda globale sulla filosofia cristiana in sé; inoltre i padri della Chiesa che accolsero tale eredità erano formalmente teologi e non filosofi. Che poi vi sia una "teologia" che pretende di fare a meno della filosofia non costituisce nulla di strano, solo che si tratta in tal caso di una teologia mentalmente immatura, rozza e primitiva, in breve, settaria, o di un'elaborazione in chiave razionalistica scientistica delle fonti della rivelazione che non è teologia né filosofia, ma, semmai, un'interpretazione scientifica dei testi.

Da tutto ciò appare con chiarezza che ogni pensiero influenzato dalla fede non può dirsi filosofia cristiana per la semplice ragione che è cristiano, sì, ma non filosofico, bensì teologico. Ma non basta nemmeno dire che la filosofia cristiana consiste in una ricerca razionale compatibile con la fede o aperta alla fede nel senso, che solo è corretto, della non-contraddittorietà rispetto alla fede. E questo per la semplice ragione che tale caratteristica spetta alla filosofia senza varcarne i limiti naturali, ma non costituisce nulla di specificamente cristiano. Infatti, il non contraddire la rivelazione compete alla filosofia non perché cristiana, ma perché vera nel suo stesso ordine naturale e razionale. La verità non è mai contraddittoria sicché ciò che è vero nell'ordine naturale non può escludere ciò che è vero nell'ordine soprannaturale. Ogni filosofia è compatibile con il cristianesimo in virtù della sua intrinseca verità, la sua non compatibilità con esso è sicuro indice della sua falsità nel suo stesso ambito di filosofia.

Non vogliamo negare che accidentalmente certi temi filosofici possono essere messi maggiormente in evidenza in quanto adoperati nella riflessione teologica (basta citare a titolo di esempio il problema della sussistenza nel contesto cristologico), ma con ciò essi non cessano di essere per sé sempre filosofici, accessibili alla sola ragione naturale indipendentemente dalla fede. In conclusione ci resta solo questo da dire: la filosofia cristiana è un malinteso, esiste solo filosofia di cristiani e ci auguriamo che molti cristiani si dedichino alla filosofia, perché la filosofia, purché veramente tale, dà testimonianza alla fede non dipendendo dalla fede o confondendosi con essa, ma spingendosi nella sua più alta speculazione all'affermazione dell'esistenza obiettiva e necessaria del Dio personale la cui Rivelazione studiata dalla teologia riceve così una garanzia imparzialmente attestata di obiettività e di intelligibilità.

P. Thomas M. Tyn O.P.