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Il 18 maggio si svolgerà a Roma la IX edizione della Marcia per la Vita. Quali sono le novità di quest?anno?
Più che novità sottolineerei la continuità del nostro percorso. Siamo ormai giunti alla IX edizione e la Marcia è ormai consolidata sul piano nazionale ed internazionale. La nostra forza sta nella coerenza con cui continuiamo a manifestare il nostro no all?aborto. L?aborto è una ferita profondissima nel corpo sociale italiano, ferita che non si può cicatrizzare. Ogni anno, dunque, a noi sta il compito di risollevare il problema e proporre la soluzione.
Qual è la soluzione?
L?abrogazione totale della legge 194. Questa è l?unica medicina giusta per curare questa ferita. Il nostro è il rifiuto totale di una legge che uccide i nostri bambini.
Anche se rimangono sacche enormi di ideologia (per il Comune di Milano se vuoi partecipare ad un bando per ristrutturare un immobile devi essere a favore dell?aborto) il clima politico in Italia sembra essere più ricettivo. Partiti come Fratelli d?Italia, Lega e parte di FI sembrano più disposti ad ascoltare le ragioni dei pro-life.
Sono d?accordo. Questa nuova sensibilità del mondo politico nasce a mio avviso da due fattori. Innanzitutto ci si rende conto, anche da dati oggettivi come quelli Istat, dell?enorme problema della denatalità, emergenza che ha ricadute immediate in ogni settore, a iniziare da quello economico.
L?altro fattore che sta facendo aprire gli occhi alla politica è lo sviluppo di quel movimento pro-life italiano ? di cui la Marcia per la Vita è un?importante espressione ? che ha rimesso al centro il tema dell?aborto e della contraccezione, due dei fattori che provocano quel crollo della natalità che oggi è sotto gli occhi di tutti.
In Formula 1 le macchine prendono velocità con quello che si chiama ?effetto scia?: a suo avviso la Marcia per la Vita di Roma potrà contare sull??effetto Verona??
Anche io ero in piazza a Verona ma è ancora presto per poter valutare l?apporto della tre giorni della città scaligera. Sono convinta però che quanto accaduto ha palesato a tutti l?esistenza di un Popolo della vita e della famiglia sempre più determinato ad andare avanti, pronto anche a scendere in piazza finché non otterrà quello che chiede. L?altra cosa che l?appuntamento veronese ha reso chiaro agli italiani è la carica di odio di cui è capace un altro popolo, fortunatamente minoritario in Italia, che è quello che porta avanti la ?cultura della morte?. Hanno dalla loro tutti i media, hanno i mezzi economici, ma non rappresentano il popolo italiano.
È stato detto che la violenza mediatica ha rafforzato «la percezione della portata controcorrente e profetica dei propri valori». É d?accordo?
Certo, perché quella in corso è una vera e propria battaglia. Suor Lucia dos Santos, una delle veggenti di Fatima, aveva profetizzato che «lo scontro finale tra Dio e Satana» sarebbe stato «su famiglia e vita».
A Rio de Janeiro, nel ?97, papa Giovanni Paolo II parlò apertamente di «nemici di Dio» all?opera «attorno alla famiglia e alla vita». Mi auguro che dopo Verona il movimento pro-life e pro-family abbia realmente compreso che questa battaglia va affrontata con un?attitudine psicologica e spirituale combattiva, non remissiva e condiscendente.
Il rafforzamento del popolo della vita in una dimensione psicologica e spirituale si nota anche nell?organizzazione e nei numeri della Marcia per la Vita?
Presiedo all?organizzazione della Marcia per la Vita di Roma da diverse edizioni e mai come quest?anno noto che il coordinamento e le prenotazioni dei pullman che da tutta Italia porteranno le persone a Roma a difesa della vita sono partite in netto anticipo. C?è un grande fermento. Segno che un popolo si sta svegliando e che tutte le battaglie in difesa del bene ? che siano per la vita o per la famiglia ? essendo complementari interagiscono tra loro, accrescono i numeri dei partecipanti agli eventi, donano nuova forza e soprattutto nuova consapevolezza. È un effetto contagio che dà speranza.
Molti italiani si stanno accorgendo che c?è una parte della legge 194 non ancora applicata, quella che promette aiuti economici alle donne costrette ad abortire per mancanza di possibilità economiche. Ora può succedere di tutto, non trova?
Secondo me parlare di applicazione integrale della legge 194 è un pericoloso errore perché, ripeto, la legge va rifiutata in toto. Mi rendo conto benissimo che questo è un obiettivo finale, non raggiungibile a breve, ma il fine per cui dobbiamo batterci non è quello di applicare la legge sull?aborto in tutte le sue parti ? approccio minimalista e fallimentare ? piuttosto di smontarla pezzo per pezzo.
Qual è il primo pezzo da smontare della 194?
Sicuramente l?abolizione del finanziamento pubblico all?aborto. Penso che questo sia un obiettivo realistico anche per i nostri politici. Pochi giorni fa, per un infarto, a causa di un?autombulanza che non è mai arrivata, è morta una mia conoscente. Troviamo assurdo che con una sanità che fa acqua da tutte le parti, una donna che desidera abortire non solo viene immediatamente ricoverata, addirittura il giorno dopo la sua richiesta, ma dalla collettività le viene pagato tutto. Ecco, utilizzare i soldi pubblici, quelli degli italiani, per uccidere i nostri bambini è un?ingiustizia tremenda. Si parta da qui.
«Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? Vi domando: è giusto affittare un sicario per risolvere un problema?». Anche se i media – che pure citano il Papa quando fa loro comodo ? lo hanno ignorato, Papa Francesco sull?aborto è stato chiarissimo. Quale crede che sarà l?atteggiamento della Chiesa rispetto alla prossima Marcia per la Vita?
È vero che papa Francesco si è sempre espresso contro l?aborto. Ricordo che nel 2013 scese addirittura in piazza San Pietro per incontrare i partecipanti alla Marcia. Era il primo anno della sua elezione. Certamente ci farebbe piacere un impegno maggiore dei nostri vescovi come accade con altre marce per la vita nel mondo. Ci saranno sicuramente dei vescovi che il 18 maggio marceranno a Roma con noi ma preferisco non fare nomi per evitare che possano subire pressioni e magari desistere dall?intento. La nostra Marcia, comunque, rimane un?iniziativa di laici, per cui non ecclesiale, oltre che totalmente indipendente dai partiti politici.
È notizia di questi giorni che l?industria di Hollywood ricatta la Georgia, stato americano che mira a diminuire gli aborti, segno che la cultura radicale continua a smaniare per l?aborto libero e senza limiti.
La lettera di protesta dei 115 divi di Hollywood è vergognosa, basata com?è sul potere del ricatto: portare via l?industria cinematografica dalla Georgia e quindi risorse economiche dal paese. A fronte di quest?arroganza, però, c?è un?America che ha uno spirito radicalmente diverso. Il partito radical-chic di Hollywood non corrisponde minimamente al sentimento profondo della maggioranza degli americani.
Come per i contestatori a cui accennavo, anche qui siamo di fronte ad una minoranza, certamente potente quanto a soldi e a mezzi, che sfrutta la fama per imporre il suo pensiero; ma ciò si scontra, per esempio, con il grandissimo successo della Marcia per la Vita di Washington. In quella che è considerata la ?madre? di tutte le Marce ci sono persone vere, c?è un?America profonda che scende in piazza da 40 anni con numeri sempre crescenti. Ma c?è di più.
Cioè?
Trump ha già nominato due giudici pro-life alla Corte suprema, se cambierà ancora l?equilibrio della Corte ? cosa altamente probabile con questa presidenza ? ci sarà una svolta epocale in tema di aborto. Proprio dagli Stati Uniti potrebbe arrivare in tutto il mondo un segnale radicalmente contrario all?aborto.
Il presente degli Stati Uniti, però, parla di una legge varata dallo stato di New York che permette l?aborto addirittura al nono mese (nonché dei disperati tentativi dei media nostrani di trattare la notizia come fake news).
L?aborto al nono mese non è altro che la conseguenza di questa cultura di morte, di questa mentalità abortista che non si ferma. È uno spaventoso passo avanti, chiaro, ma non è ancora tutto. Giungeremo presto a ciò che vogliono veramente: l?infanticidio. D?altronde per loro la logica è unica e coerente: così come puoi uccidere il bambino a 3 mesi, lo puoi fare a 6 mesi, a 9 mesi e anche fuori dal grembo materno. Non c?è alcuna differenza.
Come spiega quest??escalation del male??
Credo che in America le lobbies abortiste premano il piede sull?acceleratore proprio perché il presidente Trump ha tolto i finanziamenti alla Planned Parenthood, e agendo sulla Corte Suprema potrebbe invertire la rotta. Gli abortisti ci insegnano che, in una lotta, la miglior difesa è sempre l?attacco.
Anche per opporsi a questo scempio è importante essere a Roma sabato 18 maggio.
Valerio Pece, per [lanuovabq.it]
L'articolo Marcia per la Vita, obiettivo: smantellare la Legge 194 proviene da Difendere la Vita.
]]>Come sempre, mentre in Italia si rincorre l?ultima ‘novità etica’ sul fronte del diritto all?autodeterminazione, all?estero c?è già chi fa marcia indietro.
È il mondo scientifico che illumina con un faro di critiche la legislazione sull?eutanasia, invece da tanti magnificata in Italia a sproposito.
Il motivo più recente sono gli errori, i dubbi, le denunce di casi di eutanasia su persone disabili mentalmente o su soggetti psichiatrici. E i medici si domandano: perché non curarli meglio, invece di lasciarli morire?
Tanti depressi chiedono di morire, certo, ma la buona medicina sta nel curar loro la depressione, non di obbedire alla domanda di eutanasia che viene da una persona instabile mentalmente o che ha perso il senso oggettivo delle cose.
L?autorevole «Journal of Palliative Care» riporta le buone ragioni per essere contrari all?eutanasia (che nel frattempo è arrivata al 2% delle cause di morte in Belgio) nei disabili mentali. La prima è la presenza di «pendii sdrucciolevoli»: in Olanda e Belgio le misure di salvaguardia del paziente nei casi di disabilità mentale ed eutanasia sono inefficaci o violate per effetto della somministrazione di farmaci letali senza il consenso del paziente, dell?assenza di malattia terminale o della presenza di malattie psichiatriche non trattate.
Altro motivo riportato dalla rivista scientifica è la mancanza di autodeterminazione: motivi psicologici e sociali caratterizzano le richieste assai più di sintomi fisici o scelte razionali, mentre molte richieste rientrano con un miglior controllo dei sintomi e il supporto psicologico. Infine, lo studio del «Journal» addita come fattore di rischio proprio la presenza di cure palliative inadeguate: un trattamento all?altezza per la depressione e il dolore diminuirebbe il desiderio di morte. I ricercatori concludono che «i medici hanno molta strada da fare contro il dolore. Le soluzioni per la sofferenza dovrebbero migliorare le cure palliative e le condizioni sociali lottando con le motivazioni per le richieste di suicidio/eutanasia, e non includendole».
Una petizione intitolata «Revisione della legge sull?eutanasia per la sofferenza psichica» (che in inglese ha come acronimo Rebel) ha raccolto le firme di 253 medici belgi che chiedono una «riflessione etica» sulla legge tra tutte le parti coinvolte: «Chiediamo di rafforzare i criteri per la diagnosi di sofferenza psichica ? si legge nella petizione ? e di consentire a una commissione di giudicare ogni caso in anticipo, o preferibilmente di rimuovere dalla legge la sofferenza psichica insopportabile e senza speranza come criterio per l?eutanasia». Queste preoccupazioni sono state riprese in un editoriale pubblicato nel prestigioso «New England Journal of Medicine» e firmato dallo psichiatra Joris Vandenberghe, del Centro psichiatrico universitario di Lovanio.
«Gli attuali sistemi attivi in Belgio e nei Paesi Bassi ? denuncia il clinico ? falliscono in termini di valutazione attendibile dei pazienti, almeno per quel che riguarda le malattie psichiatriche». Pur sostenendo in astratto l?idea che il «suicidio razionale» sia concepibile anche in presenza di malattie mentali, Vandenberghe osserva però che la morte medicalmente assistita per malattia mentale potrebbe essere tollerabile «solo se esistono sufficienti garanzie che si tratti davvero dell?ultima risorsa».
Invece, osserva, la valutazione richiesta per eseguire la stimolazione cerebrale profonda ? trattamento chirurgico volto a ridurre i sintomi debilitanti caratteristici di alcune malattie mentali come le sindromi ossessive ? è più rigorosa rispetto a quella richiesta per dare una morte medicalmente assistita.
E aggiunge: «Per il suicidio assistito o per l?eutanasia, al contrario, un singolo medico decide che il paziente è idoneo dopo aver ricevuto il parere non vincolante di due colleghi che hanno esaminato il paziente e la sua cartella clinica».
In altre parole, «non ci sono criteri specifici di diagnosi per decidere che nessun altro trattamento rimane ragionevolmente da provare».
Recentemente è stato sollevato davanti ai giudici belgi il caso della morte per suicidio assistito di una donna affetta da sindrome di Asperger, una forma di autismo. I parenti lamentavano varie irregolarità nella procedura tra le quali il forte dubbio che anche la diagnosi di Asperger fosse sbagliata, convinti com?erano invece che la donna stesse soffrendo per i postumi di una storia sentimentale finita in modo traumatico.
Una storia che riporta alla vicenda della quale tempo fa si occupò la Procura di Como indagando sulla morte di un ingegnere brianzolo 62enne che nel settembre 2017 era andato a morire in una centro specializzato svizzero dove si pratica il suicidio assistito. L?uomo non era affetto da malattie incurabili ma era in cura per depressione, una situazione attestata da una lettera inviata dall?ingegnere ai servizi sociali in cui spiegava le sue intenzioni.
Uno studio pubblicato nel 2016 su «Jama Psychiatry» ha mostrato che in 66 casi di morte assistita per malattia mentale nei Paesi Bassi vi era stato disaccordo tra i consulenti che avevano giudicato la richiesta in 16 circostanze (pari al 24%), mentre in altri 7 casi (11%) non c?era stata una consulenza psichiatrica indipendente.
Trudo Lemmens, professore di Diritto e politica sanitaria all?Università di Toronto, ha affermato su «Medscape Medical News» che «molti canadesi, e certamente la maggior parte dei fornitori di assistenza psicologica, sono consapevoli del fatto che offrire suicidio o eutanasia come ‘terapia’ rischia di minare i nostri obblighi sociali verso coloro che lottano con problemi di salute mentale e potrebbe avere un impatto sulla prevenzione del suicidio».
Uno specialista che la sa lunga su questo aspetto è Paul Appelbaum, direttore del Centro di ricerca sulle implicazioni sociali di genetica psichiatrica, neurologica e comportamentale presso la Columbia University di New York. «Anche se si rispettano gli standard e le procedure, l?applicazione della morte assistita da parte di personale medico su persone con malattie mentali rimane problematica: il desiderio di morire può essere un sintomo della malattia stessa, aggravata dall?isolamento sociale e dalla demoralizzazione», ha scritto Appelbaum sul «New England Journal of Medicine».
Nella più accreditata letteratura scientifica emergono dunque numerose riserve sull?apertura all?eutanasia e al suicidio assistito nei Paesi dove queste pratiche sono legali, tollerate o considerate come un?eventualità plausibile.
Cresce la consapevolezza che si tratta di una scorciatoia per chi soffre, che deresponsabilizza gli Stati rispetto al dovere di mettere in pratica politiche sociali e sanitarie per le categorie di malati più fragili: le persone sole, depresse, mal consigliate.
Una situazione che può facilmente sfuggire di mano, come abbiamo visto. Viene spacciata come situazione ideale la collocazione al centro del rapporto medico di un contratto per suggellare il quale basterebbe una firma che poi diventa determinante e cogente. Ma sappiamo che il rapporto medico è fondato sulla fiducia e la collaborazione, sempre più difficili nella medicina burocratizzata, ma che devono riprendere spazio.
Aprire all?eutanasia invece significa svilire i medici. Che, forse, se ne stanno accorgendo.
Carlo Bellieni
da [https:]
L'articolo Eutanasia anche per chi soffre di depressione… proviene da Difendere la Vita.
]]>L?Ordine delle professioni infermieristiche di Roma, l?Ordine degli psicologi del Lazio, l?Ordine provinciale di Roma dei medici-chirurghi e odontoiatri, l?associazione radicale ?Luca Coscioni?, la Società Italiana di Cure Palliative, l?Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica e l?ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli hanno redatto un documento dal titolo Conoscere la legge n. 219/2017 – la cosiddetta legge sulle Dat – al fine di offrire un’esegesi della norma a beneficio di cittadini, pazienti, familiari e operatori sanitari.
In via preliminare occorre precisare che questo documento non esce dal perimetro normativo della legge 219 e ne rispetta la ratio eutanasica. In altri termini il documento – a parte qualche eccezione marginale – non critica la legge.
Quest?ultima, lo ricordiamo ( [www.lanuovabq.it] ), legittima sia l?eutanasia omissiva che quella commissiva (detta anche attiva).
Infatti, il comma 5 dell?articolo 2 riconosce il diritto di rifiutare qualsiasi terapia, quindi anche quelle salvavita, da iniziare e di interrompere qualsiasi terapia, comprese nuovamente quelle salvavita, già iniziate.
Ora, per il documento Conoscere la legge n. 219/2017 ?l?eutanasia è la morte procurata direttamente da un medico a una persona richiedente? (p. 27), aggiungendo che tale forma di eutanasia è vietata dal codice penale. Dal tenore del testo si comprende che, per gli estensori, eutanasia sia solo quella commissiva, ossia attiva. Ma in realtà si può provocare direttamente la morte di una persona anche tramite eutanasia omissiva, ossia astenendosi dall?iniziare o continuare trattamenti salvavita. L?avverbio ?direttamente? infatti deve essere riferito alle intenzioni dell?agente: dunque l?omissione potrebbe essere diretta alla morte propria o altrui.
Inoltre, diversamente da quanto indicato dal documento, possiamo avere eutanasia anche nel caso in cui il paziente non abbia espresso il suo consenso: si vedano i casi Eluana Englaro, Charlie Gard e Alfie Evans.
Infine l?eutanasia commissiva ? l?unica forma di eutanasia esistente per gli estensori del documento ? è permessa proprio dalla legge 219 come abbiamo appena visto e non è vietata. Pensiamo ad esempio all?interruzione di nutrizione e idratazione assistite da parte del medico. Molto probabilmente il documento si riferisce solo all?iniezione letale, che in effetti è una modalità di eutanasia commissiva vietata dalla legge.
Il documento, assai esteso, presenta altre criticità, molte delle quali, come appuntato, in piena sintonia con il dettato normativo della legge 219. Qui ne analizziamo solo alcune.
In primis, il principio di autonomia e autodeterminazione viene legittimato in senso assoluto (cfr. p. 8). Infatti è sempre da rispettare anche quando la volontà del paziente rifiuta terapie salvavita (cfr. pp. 10, 73-74, 79-80). Significativo che, in materia di ostinazione irragionevole dei trattamenti sanitari, l?ultima parola spetti sempre al paziente (cfr. p. 68): in tal modo l?eutanasia potrebbe occultarsi sotto le spoglie del rifiuto dell?accanimento terapeutico.
Il contributo dello psicologo si inserisce in questa prospettiva dove il paradigma ultimo da rispettare sono i desiderata del paziente, al di là dell?orientamento pro-eutanasia che potrebbero esprimere. Così il documento: ?Non si tratta di avvalersi delle competenze psicologiche per mettere in discussione la decisione del paziente? (p. 33); ?va chiarito che questa assistenza [psicologica] non è fornita per ?persuadere? il paziente a rinunciare allo spazio autonomo del proprio processo decisionale e neppure assolve una semplice funzione di ?ratifica notarile? della scelta del paziente di rifiuto/rinuncia della cura? (p. 84).
Tradotto: occorre consolidare la volontà eutanasica del paziente se è presente oppure consolidare la sua volontà di vivere se c?è. Quindi è bene aiutarlo nel concretare le sue volontà, ma ci si astiene da qualsiasi giudizio valoriale sulle medesime.
Il documento poi presenta significative ambiguità in merito al termine ?dignità?. Da una parte dignità personale significa qualità della vita così come percepita dalla persona stessa, valore biografico della propria esistenza. Ad esempio quando si parla del ?concetto di ?dignità? fortemente ancorato a quello di identità soggettiva? (p. 9); quando si fa riferimento ai ?valori che compongono la propria idea di dignità? (p. 13); quando si auspica che il cittadino riconosca ?le condizioni di salute che ritiene incompatibili con la propria dignità? (p. 21); quando il medico, interrogato dal paziente, deve fornire una risposta ?che sia rispondente al contenuto di vita del paziente, al suo concetto di dignità e di esistenza? (p. 20); infine quando ci si interroga su ?fino a che punto l?esistenza possa essere considerata dignitosa? (p. 33).
Di contro il documento poi indica un?accezione dell?espressione ?dignità personale? condivisibile, seppur non priva di qualche sbavatura: ?La dignita? piena e non graduabile di ogni essere umano (il suum di ciascuno), ossia il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di essere uomo e di esistere e? cio? che qualifica la persona, individuo unico e irripetibile. Il valore dell?esistenza individuale e? dunque l?autentico fondamento della dignita? umana? (p. 57).
Questa difformità di giudizio su cosa sia la dignità molto probabilmente è spiegabile se pensiamo che il documento è la sintesi di opposte sensibilità sul tema: da una parte abbiamo ad esempio l?associazione dei Radicali ?Luca Coscioni? e dall?altra il Fatebenefratelli. Fatto sta, comunque, che quest?ultima accezione del termine ?dignità? non è quella sposata dalla legge sulle Dat che infatti permette l?eutanasia, atto che è sempre contrario alla dignità intesa come preziosità immutabile della persona fondata metafisicamente.
Infine, sono interessanti le riflessioni articolate dal documento intorno al tema della sedazione palliativa profonda continua (espressione che comunque è al centro di alcune dispute tra esperti del settore). Il comma 2 dell?articolo 2 della legge 219 afferma: ?In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente?.
Come viene interpretato questo passo dal documento? ?Le sofferenze refrattarie – spiega il documento – sono quelle indotte da sintomi refrattari, i più frequenti dei quali sono: la dispnea, il dolore intrattabile, la nausea e il vomito incoercibili, il delirium (agitazione psico-motoria), il distress psicologico o esistenziale? (p. 78); ?I sintomi definibili refrattari possono essere sia fisici sia psicologi e/o esistenziali? (p. 26). Il dolore fisico spesso provoca sofferenza, intendendo come sofferenza il dolore della mente. C?è però da appuntare che la sedazione profonda per gli estensori del documento potrebbe essere utilizzata anche nel caso di sole sofferenze psicologiche non connesse a dolori fisici e a imprecisate sofferenze esistenziali, che in realtà si convertono necessariamente in sofferenze psicologiche.
Dunque il comma 2 dell?art. 2 potrebbe aprire alla sedazione profonda anche per quelle persone, ad esempio, molto depresse, ma non pazienti terminali (a rigore la lettura di questa seconda parte del comma 2 non riguarda necessariamente i pazienti terminali).
Il documento però chiarisce, correttamente, che non è lecito usare la sedazione al fine di provocare la morte del paziente (cfr. p. 26). Infatti è noto che la sedazione profonda può provocare come effetto l?accelerazione del processo morte. E dunque, se non si rispettasse tale divieto morale, si potrebbe usare questa metodica per uccidere il paziente terminale, ma anche il depresso non paziente terminale.
Ma tale giudizio negativo sull?uso improprio della sedazione profonda è condiviso dalla legge? Parrebbe di sì, dato che le uniche modalità per sottoporre ad eutanasia una persona, ex lege 219, sono il rifiuto di terapie o trattamenti salvavita. Però è assai prevedibile che questo comma potrebbe essere usato con disinvoltura nelle corsie di ospedali con il beneplacito dei magistrati.
Ne abbiamo già avuto una prova nel recente passato: sebbene la legge escluda che si possa rifiutare la ventilazione assistita, nel febbraio del 2018 la signora Patrizia Cocco, malata di Sla, si fece staccare il ventilatore che la teneva in vita perché voleva morire.
Tommaso Scandroglio, per [lanuovabq.it]
L'articolo Prime interpretazioni delle DAT confermano: è legge pro eutanasia! proviene da Difendere la Vita.
]]>?E? a Verona ? scrive Massimo Recalcati? che va in scena lo scontro politico tra le due anime del governo? (?La Repubblica, 31 marzo). Ed è vero. Le polemiche che si sono accese attorno al Convegno sono nate soprattutto dal desiderio della sinistra di allargare le divisioni che esistono tra i due movimenti della Lega e dei Cinque Stelle al governo. Certamente questo non era nelle intenzioni degli organizzatori, che avrebbero però dovuto prevedere le conseguenze della vistosa passerella politica inscenata nel congresso, a cui hanno partecipato professori, esperti, leader pro-life di valore che non hanno avuto però le luci della ribalta.
Al di là delle buone intenzioni, leggiamo poi con preoccupazione queste parole nel documento conclusivo del congresso:
?Tra le richieste della Dichiarazione di Verona: il riconoscimento della perfetta umanità del concepito; la protezione da ogni ingiusta discriminazione dovuta all?etnia, alle opinioni politiche, all?età, allo stato di salute o all?orientamento sessuale; la tutela delle famiglie in difficoltà economiche, specie se numerose, e delle famiglie rifugiate; il contrasto all?inverno demografico, tramite leggi che incentivino la natalità? (Notizie Pro Vita 31 marzo).
Purtroppo questa dichiarazione accetta una categoria giuridica estranea alla legge naturale e al vero diritto: il principio di non-discriminazione.
Il vero diritto discrimina, in quanto favorisce e tutela alcuni comportamenti, ritenendoli giusti e ne scoraggia e reprime altri, ritenendoli ingiusti e dannosi.
Il principio di non discriminare gli orientamenti sessuali appartiene ai ?nuovi diritti? introdotti per capovolgere la legge naturale e cristiana.
La non discriminazione degli orientamenti sessuali significa infatti la parificazione di tutte le tendenze e le scelte in campo sessuale, quali esse siano. Ogni critica pubblica di un comportamento difforme dalla legge divina e naturale sarebbe una forma di discriminazione.
Chi sostenesse, ad esempio, che la scelta omosessuale è un vizio contro-natura cadrebbe in una forma di discriminazione omofobica, che andrebbe punita dalla legge.
Ciò è coerente con quanto ha affermato Luca Zaia, secondo cui ?Se esiste una patologia è l?omofobia, non l?omosessualità?, ma quale coerenza ha con la concezione cristiana professata dalla larga maggioranza dei partecipanti al Congresso di Verona? Una volta accettato il famigerato principio di non-discriminazione degli orientamenti sessuali, non si potranno più criticare pubblicamente i comportamenti contrari alla morale cristiana, definendoli, ad esempio ?tendenze disordinate?, come fecero Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Se il Congresso è stato la ?mente? dell??evento?, il ?cuore?, secondo gli organizzatori è stata la Marcia per la Famiglia che si è svolta domenica 31 marzo.
Il presidente del comitato Difendiamo i nostri Figli Massimo Gandolfini, che ne è stato il protagonista, ha voluto far propria la linea indicata dal presidente della CEI Gualtiero Bassetti: ?non trasformiamo la famiglia in un?occasione di scontro?.
A chi li accusava di combattere una battaglia in difesa della famiglia, gli organizzatori hanno risposto che non si trattava di una battaglia ma di ?una proposta?. Sarebbe stato meglio che avessero risposto: non è una battaglia, ma è una guerra.
Una guerra aperta, dichiarata dalle femministe e dagli attivisti gay, che il 30 marzo hanno invaso Verona, guidati da Monica Cirinnà, al grido: ?Siamo le streghe che non avete bruciato?. Nel loro corteo spiccava una marionetta del senatore leghista Simone Pillon dentro una gabbia e uno striscione con scritto ?un orgasmo vi seppellirà?. Il lancio davanti alla Gran Guardia di fumogeni, assorbenti e bottigliette vuote, esprimeva la violenza di cui è carico questo vero e proprio partito dell?odio.
La violenza non è solo teorica. Sei milioni di bambini uccisi in Italia grazie alla legge 194 sono il bilancio della guerra in corso. Di fronte a questo massacro, come si può dire di non essere contro la legge abortista?
Tutti gli uomini politici intervenuti al Congresso di Verona, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, hanno affermato che la legge 194 e ?i diritti acquisiti? non si toccano.
Ciò è grave, perché conferma che nessun deputato in parlamento è pronto a battersi pubblicamente per la difesa integrale della vita. Ma più grave ancora è il fatto che nessuno dei rappresentanti del Congresso, anche solo per correggere il tiro, si sia espresso pubblicamente per l?abrogazione totale della legge 194 o della legge Cirinnà sulle unioni civili.
E? per questo che, come osserva il prof. Corrado Gnerre, il messaggio mediatico che è passato è ?che i diritti acquisiti non si devono toccare. Che la 194 non si deve toccare. E che quello che si vuole è solo un maggiore spazio e un po? più di riconoscimento giuridico per la famiglia tradizionale. Ben poca cosa!?
?Perché tutte le leggi si possono discutere ma la 194 no?? si è chiesto Mario Giordano su ?La Verità? (31 marzo). Perché, si potrebbe rispondere, nessuno la mette in discussione nella sua totalità e nei suoi fondamenti ideologici.
Nessun uomo politico e pochi tra i rappresentanti dei movimenti pro-life italiani osano affermare che questa legge infame va cancellata in toto.
Ma in toto la vorrebbero certamente abrogare le migliaia di partecipanti che con generosità ed entusiasmo sono giunti a Verona per partecipare alla Marcia di domenica. Essi costituiscono un popolo della vita che cresce e che deve essere adeguatamente rappresentato, in nome degli autentici principi non negoziabili, e non in nome della Costituzione italiana, che non è intoccabile e che costituisce l?inizio della laicizzazione della nostra società.
Gandolfini ha fatto riferimento al necessario ossequio a papa Francesco, che però, sull?aereo che lo portava in Marocco, ha ripetuto le parole del cardinale Parolin, di condividere ?la sostanza, ma non le modalità del convegno?.
Quali sono le modalità da cui Francesco vuole prendere le distanze? Si voleva forse riferire alla presenza al Congresso del ministro Salvini, che il Santo Padre si rifiuta di ricevere finché non cambia la sua politica sui migranti? Si tratterebbe di una considerazione prettamente politica che, come tale, sarebbe più che legittimo non condividere. Del resto papa Francesco ha ricevuto nel mese di marzo il gruppo LGBT+Catholics Westminster Pastoral Council e riceverà venerdì una commissione guidata dal professore argentino Raul Eugenio Zaffaroni, che gli illustrerà una ricerca sulla criminalizzazione delle relazioni omosessuali (Il Fatto quotidiano, 31 marzo). Zaffaroni è un intellettuale di sinistra favorevole all?aborto e ai matrimoni gay, oppositore, come il Papa, del governo di Mauricio Macri. Lo stesso Zaffaroni ha annunciato, per questa occasione, un ?discorso storico? di papa Francesco di apertura e solidarietà agli omosessuali.
Alle obiezioni che gli fossero rivolte, papa Francesco forse risponderebbe che si tratta solo di nuove modalità pastorali. Per questo non è solo sulla sostanza, ma anche sulle modalità di azione che oggi bisogna confrontarsi, cercando non ciò che piace a noi, ma ciò che è più perfetto e più gradito a Dio. Sarà Lui, in ultima analisi a tracciare la strada e a dare la vittoria a chi combatterà bene la buona battaglia in difesa della vita e della famiglia.
Roberto de Mattei, per [https:] del 1 aprile 2019
L'articolo Dopo Verona: il popolo della vita e chi pretende rappresentarlo proviene da Difendere la Vita.
]]>Sono trascorsi ormai quasi quarantuno anni dall?entrata in vigore della legge 194/1978 che ha legalizzato l?omicidio dell?innocente nel grembo materno e che ha causato la morte, finora, di oltre sei milioni di persone. Eppure, essa continua a godere di un certo pregiudizio positivo soprattutto in ambito pro-life, anche da chi tende comunque a giudicarla una norma iniqua.
Per costoro la 194 è costituita da due parti separate e distinte, quasi a formare altrettanti differenti corpi normativi: una negativa che regolamenta l?aborto volontario e l?altra positiva che indica delle possibili alternative all?aborto stesso. In particolare, gli articoli 1 e 2 della legge conterrebbero delle disposizioni tese a limitare gli aborti e ad aiutare le madri in difficoltà, che sarebbero rimaste in larga parte disattese, ossia non applicate.
Tale tesi è emersa chiaramente anche nel Congresso Mondiale delle Famiglie che si è appena concluso. Massimo Gandolfini, il leader dell?evento che ha suscitato molte polemiche per via della presenza di numerosi politici e per il patrocinio concesso dal ministero della Famiglia, ha dichiarato che «in Italia, dal 1978 ad oggi, sono stati uccisi sei milioni di bambini (?) Noi diciamo che la legge 194 va applicata tutta. Voglio ricordare che dagli anni 70 ad oggi sono stati salvati 200.000 bambini grazie ad associazioni finanziate con la beneficenza, mentre lo Stato non ci ha messo un euro (?) Dico ai politici: finanziate i primi 5 articoli della legge 194».
Sulla stessa lunghezza d?onda gli interventi dei politici intervenuti al convegno i quali hanno sostanzialmente ribadito che la 194 va applicata soprattutto nella prima parte, che parla di tutela della donna e della gravidanza.
È sempre nell?ottica di una sostanziale accettazione dell?attuale legislazione che va inquadrata la proposta di legge presentata dalla Lega che mira a riconoscere la soggettività giuridica e l?adottabilità del concepito, al fine di contrastare l?aborto volontario. Stefani, il primo firmatario del disegno di legge approdato alle commissioni riunite giustizia e affari sociali il 15 marzo scorso, ha dichiarato al Corriere che «la libertà della donna di abortire non viene toccata ma viene data una possibilità in più alla donna», mentre per Alberto Gambino, giurista e presidente di Scienza & Vita, «l?idea rappresenta una valida alternativa all?aborto che non può che essere presa in considerazione da chiunque abbia a cuore la vita nascente e la stessa salute psico-fisica della madre».
In realtà, provvedimenti del genere, seppur affatto negativi, rischiano di aggravare le conseguenze dell?aborto anziché mitigarle; alla base vi è infatti la sostanziale accettazione della legge 194 che rappresenta la causa prima del dilagare degli aborti, della mentalità abortista ed eugenetica imperante e dello sfaldamento della famiglia, assieme ad altre leggi inique come quella sul divorzio.
La legge 194 nacque in un contesto storico che vide da una parte schierati i fautori della libertà di scelta della donna con a capo il partito radicale e i movimenti femministi ed anticristiani, dall?altra la Chiesa Cattolica e parte della società civile a favore della difesa della vita innocente. Le menzogne dei radicali sul numero di donne morte in seguito agli aborti clandestini, amplificate dagli asserviti mass media, unite ad un generale progressivo allontanamento della società italiana dai valori naturali e cristiani sotto la spinta della rivoluzione sessuale e culturale, indussero l?allora governo democristiano guidato da Giulio Andreotti, alle prese con gravi problemi di tenuta politica, ad accogliere in toto le richieste degli abortisti, avendo cura di occultare le vere intenzioni del legislatore.
Il risultato fu il varo della 194, una legge profondamente ipocrita che, di fatto, ha trasformato un delitto in un diritto insindacabile della donna. Per rendersi conto della natura perversa della 194 basta prendere in esame l?articolo 1 della legge in cui è scritto che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L?interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite».
Come può una norma pensata per legittimare l?uccisione dell?innocente nel grembo materno voler al contempo tutelare la vita umana dal suo inizio (quale?) e riconoscere valore sociale alla maternità invero negata dall?introduzione dell?abominevole pratica dell?aborto a semplice richiesta? Del resto, le statistiche sull?attuazione della legge 194 dimostrano che l?aborto è usato principalmente come mezzo di controllo delle nascite e non certo perché la legge è stata disattesa ma come inevitabile conseguenza dell?elevazione a dogma del pseudo principio di autodeterminazione femminile.
Il vero problema è che all?indomani dell?approvazione della sciagurata legge 194 il Movimento per la vita italiano e le gerarchie ecclesiastiche scelsero di abbandonare una linea di opposizione chiara e netta per intraprendere la via del dialogo e del compromesso, della rinuncia alla battaglia sui principi e sulle idee. Tale scelta strategica si è rivelata un completo fallimento, non solo perché la cultura della morte è avanzata senza incontrare ostacoli ma anche perché il tema aborto è progressivamente sparito dal dibattito politico e culturale.
Tuttavia, in questi ultimi anni il dibattito intorno all?aborto ed in particolare alla legge 194 è parzialmente emerso dall?oblio culturale e mediatico in cui era stato relegato. Appuntamento dunque al prossimo 18 maggio per la IX edizione della Marcia per la Vita che rappresenterà come di consueto una grande occasione per ribadire con forza che la legge 194 non va in alcun modo migliorata, né rivista, né applicata meglio ed in tutte le sue parti. Ma solamente abrogata.
Alfredo De Matteo, di Famiglia Domani: [www.famigliadomani.it]
L'articolo Dopo Verona: Abrogare o applicare la 194? proviene da Difendere la Vita.
]]>Si intitola Unplanned ed è la cosa peggiore del mondo. Tratto dal libro omonimo del 2011, è la storia vera e nota di Abby Johnson, che oggi ha 39 anni. Quando ne aveva 29 ha visto un aborto monitorato agli ultrasuoni (1).
Il punto è che agli abortisti fa scandalo che una donna possa vedere e sentire il figlio che sta per sopprimere. Il NARAL lo dice apertamente: «Le leggi sull?obbligatorietà degli ultrasuoni non hanno giustificazione medica e sono pensate dai politici anti-choice solo per intimidire, vergognare e molestare le donne che vogliono l?aborto» (2).
C?era una volta Bernard Nathanson (1926-2011), il medico che truccò le carte dell?aborto clandestino e che si vantava di essere stato responsabile di 75mila aborti. Poi venne l?ecografia e a Nathanson cadde la mascella. Si convertì (alla fine anche al cattolicesimo) e divenne un eroe pro-life con pochi eguali anche realizzando lo scioccante documentario L?urlo silenzioso, che un altro eroe, donna, convertita cattolica pure lei, Faith Whittlesay (1939-2018), regalò in videocassetta a ciascuno dei parlamentari americani.
Anche Abby Johnson è stata folgorata dagli ultrasuoni. Di aborti ne aveva avuti lei stessa, due. Aveva patito fisicamente le pene dell?inferno, ma non aveva mai visto cosa succede fisicamente a un bambino nel ventre di sua madre quando viene annientato per suzione. Un giorno, per caso, ma il caso non esiste, fu chiamata in sala operatoria. Svolgeva mansioni amministrative, aveva fatto carriera: da hostess on the road, di quelle che si prendono ?cura? delle abortende per sottrarle ai pro lifer che cercano di dissuaderle, a dirigente di una clinica della Planned Parenthood. Ma un aborto in diretta non lo aveva ancora mai visto, benché alle turpitudini non fosse certo nuova. Fu allora che piantò tutto.
La sua conversione è stata la notizia peggiore che la Planned Parenthood abbia mai avuto. Perché ovviamente poi Abby Johnson non se n?è rimasta zitta. Ecco, Unplanned è il film della sua storia. Unplanned è la cosa più cruda che possiate vedere. La cosa più greve. E pure la più grave. Uno scannatoio ributtante. Ma ad Unplanned non si può sfuggire: perché racconta esattamente quanto accade tutti i giorni, da decenni, in migliaia di luoghi del mondo.
L?attrice Ashley Bratcher interpreta Abby alla perfezione ed Abby ha approvato la sceneggiatura. Diretto da Chuck Konzelman e Cary Solomon, il film è costato 6 milioni dollari alla Pure Flix e le sue riprese si sono svolte in segreto. Quando lo vedrete, capirete perché. Unplanned ha un vantaggio enorme. È fatto benissimo, roba da grandi major. Nei 110 ?interminabili? minuti della sua cavalcata sciorina scene da fare accapponare la pelle per lo sdegno e per la compassione.
Venerdì 29 marzo è uscito in 1059 sale americane e ha incassato 3 milioni di dollari. Nei due giorni seguenti è salito a 6,4 milioni, più di quello che è costato, piazzandosi al quarto posto delle vendite del week end nel momento del trionfo di Dumbo. La Motion Picture Association of America, quella che dà le patenti ai film, lo ha marchiato ?R?: con meno di 17 anni va visto solo se accompagnati. Però gli aborti si possono anche se più giovani. Quindi, mentre Unplanned sbancava, Twitter ne sospendava l?account. Per un errore, dicono. Poi l?hanno riconnesso: ovvio, s?è sollevato mezzo mondo, e tra i fan della pellicola ci sono anche Donald J. Trump e il suo vice Mike Pence.
L?ho visto in anteprima privata in margine al Congresso mondiale delle famiglie. Arriverà anche in Italia. Andremo tutti a vederlo, e soffriremo, piangeremo, urleremo, picchieremo i pugni, ma sarà fondamentale farlo vedere a chi l?aborto lo predica e lo pratica. Perché Unplanned cambia davvero la vita. Si raccolgono idee su come convincere gli abortisti a vedere questo piccolo, grande capolavoro che amiamo e odiamo allo stesso tempo.
Marco Respinti, per [www.lanuovabq.it]
NOTE.
(1) Cercando il modo migliore per tradurre questa espressione dall?inglese, mi imbatto in una fantastica geremiade della NARAL Pro-Choice America, una delle costole storiche della lobby abortista statunitense: «Costringere una paziente a sottoporsi a una procedura medicalmente non necessaria non è etico ed è avvilente, ma questo è esattamente ciò che le leggi sull?ecografia obbligatoria impongono alle donne che chiedono interventi abortivi». L?originale, ipocrita, falso e infingardo, dice «abortion care», un ossimoro per «cura abortiva». Prosegue: «Per la maggior parte delle donne che cercano abortion care, l?ecografia non è necessaria dal punto di vista medico. Tuttavia, diversi Stati del Paese impongono ai medici di fare l?ecografia prima di eseguire un aborto. Alcuni di questi Stati costringono anche le donne a visualizzare gli ultrasuoni o ad ascoltare il battito cardiaco, anche se la donna vi si oppone con decisione». A parte la ricostruzione caricaturale della faccenda.
(2) Qui la ricostruzione caricaturale si fa grottesca, ma il punto è detto con chiarezza (in mezzo c?è un passaggio ridicolo: «Vale la pena notare che, per ragioni di sicurezza, l?American College of Obstetricians and Gynecologists raccomanda che gli ultrasuoni vengano eseguiti solo per scopi medici da un operatore sanitario qualificato». Ragioni di sicurezza mentre si sta letteralmente disintegrando una vita umana?).
L'articolo “Unplanned” sfida la censura e mostra l’orrore dell’aborto proviene da Difendere la Vita.
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