SOCIETÀ BENE COMUNE E LIMITI DEL POTERE
NELLA FILOSOFIA POLITICA DI S. TOMMASO D'AQUINO

di SERGIO LUPPI
Assistente di filosofia del Diritto nella Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
PONTIFICIA ACCADEMIA DI S. TOMMASO, CITTA' DEL VATICANO, 1982. Estratto da "Atti dell'VIII Congresso Tomistico Internazionale Vol. VI (1982), pp. 253-269

 

Introduzione

Nell'enciclica Aeterni Patris, Leone XIII attribuisce una particolare importanza al ruolo che la filosofia cristiana deve giocare nel processo di ricostruzione morale della società civile e dello Stato sconvolti dall'irruzione delle ideologie rivoluzionarie contemporanee e dalla successiva, gravissima crisi dei valori fondamentali della civiltà (1).

L'abbandono dei principi della philosophia perennis tomistica è considerata, da Leone XIII, come una delle cause fondamentali della confusione delle idee e della disgregazione morale penetrate nel mondo occidentale attraverso la riforma protestantica, il filosofismo degli illuministi e il trionfo della Rivoluzione dal 1789 (2). Leone XIII contrappone la solidità e la chiarezza del sistema e del metodo di S. Tommaso d'Aquino alle malferme e, spesso, contraddittorie costruzioni di molti esponenti del pensiero moderno (3), ponendo contemporaneamente in risalto il carattere non-riduttivo della sintesi tomistica, idonea ad accogliere tutte le verità contenute nella filosofia e nella scienza contemporanea (4).

La filosofia politico-giuridica dell'Aquinate, in particolare, si dimostra come strumento efficace di rifondazione dall'ordine civile turbato dagli eccessi dell'individualismo liberale e del collettivismo socialista. In questa mia comunicazione intendo occuparmi in modo specifico del rapporto fra il potere politico e i diritti fondamentali della persona, uno dei temi dominanti di tutto il pensiero politico dell'Angelico (5).

 

1. Individualismo, collettivismo e socialità naturale dell'uomo.

L'antagonismo fra le singole persone e le strutture di potere della società civile e dello Stato rappresenta uno dei tratti dominanti della nostra epoca. Alla radice di questa tensione si colloca la convinzione, spesso confermata dai fatti, che ogni forma di potere collettivo, sovraordinato ai singoli, sia, in ultima analisi, un potere estraneo che grava pesantemente sulla sfera di libertà della persona. E' indubbio che le ideologie moderne hanno potentemente contribuito, nel corso degli ultimi secoli, a costruire la base di legittimazione del processo di rafforzamento e di espansione del potere statale. L'evoluzione della scienza e della tecnologia, l'industrialismo e le conseguenti radicali trasformazioni socio-economiche hanno fornito, invece, l'occasione storica e le condizioni materiali per la concreta attuazione di tale processo. La situazione attuale mostra il fallimento delle ideologie individualistiche e collettivistiche (liberalismo e socialismo nelle loro diverse ramificazioni) nel tentativo di costruire una società "più umana" : fallimento al quale fanno riscontro il progressivo disinteresse (il "riflusso") delle masse "colte" occidentali per la vita politica e l'emergenza tragica del rifiuto radicale delle attuali strutture di potere, che ha preso corpo nella realtà del "partito armato".

Se analizziamo, nei suoi elementi generatori, la crisi profonda che travaglia la civiltà occidentale, possiamo cogliere, quali tratti dominanti, l'idea dell'infinità e della illimitata autonomia dell'individuo e il tentativo di risolvere tutti i problemi personali, sociali ed economici attraverso il coattivo e generalizzato soddisfacimento di tutte le pulsioni, tendenze e richieste che promanano dalla c.d. "sovranità" individuale. In altri termini: abbandonato qualunque riferimento ad una sfera assiologica - oggettiva e trascendente, (l'uomo giudica di reclamare come proprio diritto qualunque cosa egli ritenga necessaria alla sua "crescita" personale e attribuisce alla società e ai suoi poteri costituiti il dovere imperativo di rimuovere tutti gli ostacoli morali, religiosi, politici, economici che ancora si oppongono al soddisfacimento delle sue brame. La funzione essenziale dell'ordinamento giuridico consisterebbe dunque nella lotta contro i residui di una visione arcaica del mondo, basata sulla superstizione, al fine di rendere possibile la illimitata "crescita" delle 'persone, al di là del bene e del male. Alla radice di questa erronea concezione della vita, dell'uomo e della società, già denunciata con preveggenza dal Magistero ecclesiastico del secolo scorso (6), c'è il rifiuto di riconoscere la fondamentale e naturale indigenza dell'uomo singolo e la necessità della sua dipendenza dagli altri uomini (quindi dalla società) e da Dio.

E' stato giustamente osservato (7) che, sul terreno della proclamazione della divinizzazione e della assoluta indipendenza dell'uomo, è possibile trovare il momento unificatore del liberalismo e del socialismo, per altri versi contrapposti. Il socialismo non sarebbe altro che il liberalismo collettivizzato: l'assenza di ogni freno morale oggettivo e l'attribuzione di poteri illimitati passano semplicemente dall'individuo alla collettività. Ciò che prima era prerogativa di un individuo assoluto, egoista, chiuso nella sua "personalità", viene trasferito allo Stato che si incarica così di attuare quell'opera di trasformazione e di sovversione della società tradizionale sproporzionata per le forze non coordinate dei singoli (8). Le profonde analisi di J. Talmon sulle strutture filosofiche e sui modelli istituzionali della "democrazia totalitaria", mostrano, con ampiezza ed efficacia, la reale possibilità di sintesi dell'individualismo e del collettivismo nell'edificazione di uno Stato totalitario, basato sul consenso generalizzato delle masse indottrinate delle élites rivoluzionarie (9).

La dottrina politica di S. Tommaso si presenta — in rapporto ai due estremi dell'individualismo e del collettivismo — come una soluzione intermedia che consente di salvaguardare contemporaneamente i diritti fondamentali e la libertà della persona e le prerogative autonome dello Stato e delle altre stabili strutture di potere.

San Tommaso interpreta in senso fortissimo il noto principio aristotelico della naturale socialità e politicità dell'essere umano. Dire che l'uomo è naturaliter, animale sociale, civile, politico significa infatti affermare che le forme essenziali della vita associata sono necessarie alla perfezione fisica, morale e spirituale della natura umana (10). L'uomo dipende dalla società per quanto concerne il raggiungimento dei suoi fini essenziali: questa è una verità universale che si estende tanto alla vita familiare sociale e politica, quanto alla vita morale e spirituale, nell'ambito della Chiesa (11).

In opposizione alle correnti sofistiche dei mondo antico e all'individualismo radicale che anima il mondo contemporaneo, per i quali socialità, politicità e giuridicità appartengono alla sfera della pura convenzione e dell'arbitrio, S. Tommaso rivendica il carattere naturale della vita associata.

Se la società è necessaria allo sviluppo del singolo individuo, ciò non significa che la ragione profonda dell'esistenza delle strutture sociali sia la mera indigenza e l'incapacità del singolo a provvedere a se stesso. Il bene comune della società è diverso dalla semplice somma dei beni particolari dei singoli. Esso si colloca su un piano superiore: resistenza della società, infatti, assicura l'esistenza di condizioni che consentono non solo la mera sopravvivenza ma anche la piena perfezione dello sviluppo delle qualità intellettuali e morali della persona umana (12).

Se si escludono dal nostro essere tutte quelle qualità che dipendono dall'opera formatrice della società (famiglia, cultura, religione, ecc.), avremo un'anima senza corpo, priva di quelle capacità autonome di affermazione e di sviluppo che testimoniano da pienezza del valore dalia persona (13).

La piena realizzazione della persona esige inoltre resistenza di una pluralità di società. Un regime di pura sussistenza assicura soltanto condizioni minimali di vita; il fine della società non è soltanto il vivere ma è il vivere bene, il vivere conforme alla superiore dignità dell'uomo.

Questi fini sono raggiunti attraverso la costituzione della famiglia e dalle comunità più vaste, fra cui spicca io Stato — società perfetta che ha in sé tutti i mezzi morali e materiali necessari alla conservazione, difesa e sviluppo del singolo e delle società inferiori (14). Il completo soddisfacimento delle esigenze morali e fisiche dell'uomo è, a sua volta, ordinato ad uno scopo superiore che è il fine ultimo della creatura umana: Dio. Tutte le strutture sociali e politiche debbono creare le condizioni più opportune allo sviluppo della vita virtuosa, presupposto necessario alla contemplazione dalla Verità increata (15).

 

2. Il bene comune e le negazioni moderne.

Il soggettivismo radicale che caratterizza il pensiero moderno impedisce di cogliere il nesso profondo esistente fra bene comune e bene particolare del singolo. Il bene comune è considerato, nell'ottica dell'individualismo possessivo liberale, come un bene estraneo, spesso come un bene antitetico al bene privato dei singoli. Questa contrapposizione fittizia ha una duplice radice. Da una parte essa trae origine dalla contingenza storica: l'affermazione dell'assolutismo nell'epoca che va dalla Riforma fino alla Rivoluzione del 1789. Dall'altra essa si presenta come conseguenza naturale delle dottrine contrattualistiche più radicali, come quella di Rousseau. L'espansione dell'assolutismo ingenera la convinzione che lo Stato persegue fini contrastanti al bene privato dei singoli e al bene delle società inferiori. Questi beni, tuttavia, nell'ottica della borghesia mercantile del secolo XVIII, .sono unicamente i beni 'materiali 'misurabili in termini di vantaggi economici. Le finalità etico-religiose e la politica dinastica della monarchia assoluta mal si conciliano con l'idea di uno Stato il cui fine supremo deve essere lo sviluppo dell'economia e la tutela assoluta delle proprietà della classe produttiva per eccellenza, la borghesia (16). Più significativa e gravida di conseguenze per i futuri radicali mutamenti delle istituzioni è la teoria contrattualistica di Rousseau. Essa rappresenta il coronamento di tutta la filosofia politica dell'illluminismo. L'uomo, in aperta opposizione alla dottrina aristotelico-tomistica, viene considerato come un essere assolutamente libero; i vincoli sociali e politici non sono una conseguenza necessaria della natura specifica dell'uomo, ma sono interamente rimessi alla libera volontà degli uomini che si riuniscono in società. Dalla volontà generale degli uomini riuniti nel corpo costituente-deliberante di una assemblea unitaria dipendono non soltanto i mezzi della organizzazione sociale e politica, ma anche la scelta dei fini.

Il potere dell'assemblea non conosce limitazioni di ordine etico-religioso, e non conosce neppure i vincoli posti dalla consuetudine dei popoli, dalla tradizione, dalle leggi precedenti (17). La volontà umana può modificare ad libitum anche le condizioni strutturali della società, i rapporti interpersonali basati sulla giustizia e sul diritto (naturale: la vita associata, in ultima analisi, non è un fatto naturale ma è pura convenzione e dipende in toto, dall'arbitrio dei contraenti il patto sociale. Un passo ulteriore, nello sviluppo delle istanze antropologiche e sociali della filosofia dei Lumi, è compiuto dall'Abate Sieyès. La volontà generale di Rousseau trova la sua espressione storico-concreta nella volontà della Nazione di Sieyès: la Nazione si identifica con il Terzo Stato, la borghesia, la classe produttiva, vera élite degli illuminati che ha il compito di stabilire quale sia la nozione di bene pubblico universalmente valida per tutti. La volontà della Nazione è sempre legale e si identifica con la legge stessa: infatti la Nazione ha il potere costituente, è al di sopra della legge. Qualunque cosa voglia è sufficiente che voglia (18).

Queste correnti di pensiero risolvono il problema dal bene comune attraverso la sua riduzione al mero bene privato. Il bene comune viene, cioè, svuotato da tutti i contenuti oggettivi legati all'ordine ontologico (e, quindi, non modificabili da parte della volontà umana) e diventa una pura forma che può essere riempita con tutti i contenuti che la volontà umana, completamente libera da vincoli etici e giuridici, riterrà opportuno creare. Il contenuto dal bene comune non è una realtà permanente legata alla natura dell'uomo ma diventa oggetto dell'opinione e si immerge nel vortice della contingenza storica: volontà della Nazione, della classe, del partito, della razza...

Questo concetto del bene comune appare come logico risultato del concetto pseudo-metafisico dell'uomo inteso come essere "autoplasmabile" che si autodetermina, usurpando il posto di Dio, e diventando creatore di se stesso (19).

S. Tommaso rifiuta l'identificazione totale del bene comune con il bene particolare dei singoli, in quanto i due ordini di bene (comune e particolare) differiscono fra loro per qualità e non 'soltanto sotto il profilo quantitativo (20). La ragione di questa differenza qualitativa discende immediatamente dal concetto di naturalità dell'ordine sociale e politico considerato al numero precedente. Il bene infatti si identifica con la perfezione che è pienezza dell'essere (21): ora senza l'ausilio della società l'uomo non può compiutamente realizzare la sua umanità, non può conseguire cioè quella pienezza fisica morale e spirituale che è necessaria per raggiungere il suo fine ultimo. Per questa ragione si può affermare che il bene comune è superiore (o, divinius, come afferma incisivamente l'Aquinate) al semplice bene particolare (22). Il bene comune è sempre preferibile anche perché, senza di esso, non si può parlare correttamente del bene particolare dei singoli che, per essere veramente tale, deve essere ordinato e deve partecipare al bene comune.

La ragione profonda della supremazia del bene comune sta quindi nella sua natura di sovrabbondanza; esso è diffusivum sui: è la comunicabilità la ragione della sua eccellenza (23).

L'antitesi bene privato - bene comune può scomparire soltanto se si tiene presente l'aspetto della comunicabilità del bene comune. Il bene comune dalla famiglia, ad esempio, è migliore del bene individuale dei singoli componenti, in quanto esso è, per ognuno di questi singoli, anche il bene degli altri. Il bene comune, nei diversi gradi della vita sociale, è — in ultima analisi — la partecipazione ad un ordine di rapporti che perfezionano simultaneamente tutti i componenti della società: esso dà a ciascuno dei componenti la possibilità di perfezionare ed espandere se stesso in una nuova unità organica, non semplicemente collettiva. E' un bene non-esclusivo che può essere posseduto da tutti senza danneggiare gli altri (24).

Il fine essenziale della famiglia, delle altre associazioni umane e soprattutto dello Stato è, dunque, unicamente quello di organizzare in modo opportuno le relazioni interumane e intersociali per conseguire il bene comune. E' la presenza del bene comune che costituisce il vincolo profondo che lega le persone: la dissoluzione della società in monadi che operano egoisticamente per conseguire un vero o presunto bene privato dissolve l'unità organica della società e crea, in suo luogo, una perniciosa dialettica che conduce a paci fittizie basate sull'equilibrio compromissorio degli egoismi privati, o allo hobbesiano "bellum omnium contra omnes".

La nozione tomistica di bene comune esclude la possibilità di una sua identificazione con il mero bene privato (o con la somma dei beni privati) anche per un'altra ragione fondamentale. Il bene privato non può essere fine della società (in quanto tale, in quanto cioè non subordinato al bene comune) perché, in tal caso, si produrrebbe una negativa confusione della sfera privata dei singoli, con la sfera familiare e la sfera sociale. Quale conseguenza deriverebbe allora da queste confusioni di sfere? La soppressione della libertà naturale e moralmente lecita dei singoli e dei gruppi. Lo Stato e qualunque altra forma superiore di potere organizzato usurperebbe l'autorità e la libertà propria della persona, del capo-famiglia, delle gerarchie sociali intermedie, e potrebbe prescrivere, con una semplice manifestazione di volontà, come vestirsi, come mangiare, come educare i figli, ecc. Tutto ciò ripugna al diritto naturale e alla morale cristiana (25).

La nozione di bene comune segna quindi anche il limite dei poteri dello Stato per quanto concerne la 'sua incidenza nella sfera privata dei singoli. Lo Stato che interferisce con i diritti naturali dei singoli, infatti, viola il bene comune ed è destinato a perdere la sua legittimità (26). Questo ci consente di introdurre il punto successivo della nostra discussione.

 

3. Persona, natura della società e rapporto con il bene comune.

La perfezione della natura umana richiede l'integrazione dell'individuo in una pluralità di ordini sociali (famiglia, corporazioni locali e professionali, Stato, Chiesa) destinati alla protezione e alla promozione dei singoli, attraverso il conseguimento del bene comune relativo a ciascuna forma di vita associata. La società, tuttavia, non costituisce una realtà sostanziale (qui intendo substantia secondo l'accezione aristotelico-tomistica) che gode di una propria forma autonoma di esistenza separata da quella degli individui che la compongono. La società, dal punto di vista metafisico, ha natura accidentale poiché risulta dalla relazione degli uomini che la costituiscono, i soli a essere dotati di una realtà sostanziale. Si può quindi affermare che l'essenza della società consiste in quella specifica forma relazionale che è il rapporto fra gli uomini finalizzato al bene comune. Questo aspetto metafisico riveste una importanza fondamentale ed è gravido di conseguenze per la definizione giuridica dei rapporti fra la società, considerata come tutto, e i suoi singoli appartenenti. La teoria tomistica esclude la possibilità di un completo assorbimento della persona nel tutto sociale: esclude in ultima analisi che i diritti naturali e assoluti che spettano alle singole persone possano essere modificati ad libitum dal legislatore o da chiunque sia costituito in autorità. Ogni assolutismo del potere umano risulta così rigorosamente escluso, in quanto lesivo della giustizia che prescrive il riconoscimento costante di ciò che spetta all'altro a titolo originale e irrevocabile, in quanto fondato sulla eterna disposizione divina e sulla legge naturale (27).

La società, come tutto, risulta distinta (infatti la morte di una o più persone non altera l'essenza di una relazione sociale stabile) ma non separata dalle persone che la compongono (28). Per lo stesso motivo il bene comune non è una entità ipostatica separata dal bene delle singole persone. Il bene comune politico esiste infatti nei e con i membri della società politica che partecipano ai vantaggi derivanti dal vivere insieme, alla sovrabbondanza benefica che promana dai rapporti familiari, sociali e politici organizzati in vista del fine strutturale della natura umana. Sotto questo rapporto il bene comune politico si presenta, per i suoi effetti, immanente e soggettivo e si contrappone al Sommo Bene trascendente, Dio.

Se l’esistenza materiale della società (29) dipende dall'esistenza degli individui, si può allora affermare che l'individuo, sotto questo rapporto, ha una priorità logico-ontologica sulla società. I fini e la condotta della società — come tutto — non possono, di conseguenza essere contrari alla conservazione, alla protezione e allo sviluppo delle singole persone. Ciò comporta un primato dei diritti naturali e assoluti sui diritti storici e relativi che dipendono dalla pura contingenza e non hanno relazione diretta con ciò che appartiene al singolo come prerogativa originale e inalienabile. Anzi il diritto relativo ha la sua base nel diritto assoluto, in quanto negato il secondo, il primo non potrebbe sussistere (30).

Quali sono questi diritti assoluti? S. Tommaso propone, come criterio di gerarchia atto a stabilire un ordine adeguato, l'ordine delle inclinazioni naturali (31). In primo luogo c'è il diritto alla vita, in quanto, come nota l'adagio scolastico, operari sequitur esse, senza esistenza di un essere concreto, non c'è nemmeno operazione. Il diritto alla vita comporta come diritti correlativi, inalienabili e irrinunciabili da parte della persona, il diritto all'autotutela contro i pericoli che minacciano la nostra vita fisica e il diritto a possedere, senza dipendere da altri, almeno i mezzi necessari alla nostra sussistenza (31 bis). La seconda tendenza della natura ci inclina alla procreazione e alla vita familiare, in quanto è necessità naturale perpetuare la specie (32). Sorge così, rigorosamente delimitato, un secondo ambito di autonomia sottratto a interferenze distruttive o regolatrici da parte del potere superiore, della legge dello Stato. La società coniugale — basata sull'unione fisico-morale-spirituale dei coniugi e dei figli — vanta diritti originari e naturali, la cui violazione da parte dello Stato comporta la violazione del bene comune (33).

Infine la terza inclinazione naturale (34) conduce l'uomo a conseguire la piena perfezione della propria natura, nell'ordine dei beni morali e spirituali. Si può parlare, in questo caso, di un diritto naturale dell'uomo alla verità che fonda storicamente il diritto della Chiesa ad insegnare la vera religione e ad amministrare i mezzi spirituali di salvezza. Anche per quanto riguarda questo terzo ordine di inclinazioni c'è l'obbligo della società civile e dello Stato a rispettare le coscienze dei singoli e la libertà di insegnamento e di culto della Chiesa (3S).

Le altre sfere, diverse da quelle definite dai diritti naturali, sono soggette, saliva la giustizia, all'autonomia delle decisioni politiche che potranno stabilire ciò che è più utile e conveniente al bene comune.

 

4. Diritto naturale cristiano e diritto naturale illuministico.

S. Tommaso considera le dottrine sopra esposte alla stregua di princìpi che, per la loro origine divina e la loro "rationabilitas", costituiscono la legge di struttura dell'uomo e della società umana. La legge naturale equivale, secondo ''Aquinate, nell'ordine morale-pratico, al principio di non-contraddizione nell'ordine speculativo (36). Ciò significa che la violazione grave e sistematica dei precetti essenziali della legge naturale produce, come sanzione, il turbamento e il disordine dell'uomo e della società: la violazione totale sarebbe come la negazione dei primi princìpi della ragione e avrebbe come estrema sanzione l'annihilatio del genere umano, Dio permettendo.

Il pensiero moderno, dopo Cartesio, ha abbracciato le tesi del nominalismo più radicale e ha negato la dottrina tomistica della legge naturale etica sostituendola con un diritto di natura in cui gli istinti inferiori e le passioni hanno spesso il sopravvento sulla ragione (37). L'astrattismo razionalistico degli illuministi ha portato fino alle estreme conseguenze questo atteggiamento ed è giunto a concepire come supremo valore ed essenza della legge naturale la libertà di un uomo fittizio, completamente liberato dai vincoli sociali, e dalle leggi strutturali dalla propria natura.

Quali conseguenze ha determinato l'affermazione di tale punto di vista in ordine al nostro tema? La perdita della nozione oggettiva di legge naturale comporta l'impossibilità di stabilire una reale gerarchia dei diritti fondamentali della persona: se la libertà astratta è il nuovo valore supremo, essa reclamerà la propria affermazione anche di fronte al diritto alla vita, al diritto delle famiglie, al diritto alla verità, ai diritti della Chiesa e delle autorità politiche legittime. Con ciò si perde di vista il fatto essenziale che i diritti relativi, minori, storici hanno la loro radice nei diritti naturali e assoluti: l'affermazione della propria libertà non può contraddire l'esistenza delle famiglie e la perpetuazione del popolo attraverso la procreazione. La singolare concezione del diritto sostenuta dagli illuministi impedisce tuttavia di cogliere questo nesso elementare fra diritto naturale oggettivo e diritti relativi di libertà.

Nella prospettiva illuministica, infatti, tutti gli atti che promanano dalla libertà illimitata dell'individuo sono manifestazioni di un diritto: di conseguenza l'unica funzione dell'ordinamento legale è quella di rimuovere gli ostacoli che si oppongono a questa libertà e di promuovere l'autonomia individuale con tutti i mezzi (38). Il bene comune si identifica così con il bene privato (che può essere moralmente anche un male: il fine dello Stato non trascende qualitativamente i meri fini individuali. L'impossibilità di salvaguardare positivamente la legge strutturale della natura umana e della società — combattuta come frutto dalla "superstizione" cristiana — si concreta infine nella fase finale dell'incarnazione della volontà generale di Rousseau: il nuovo Leviatano. Lo Stato nato dalla Rivoluzione è dotato di un moi commun e di una volontà propria, che ha assorbito tutti i diritti degli associati e rifiuta di riconoscere l'esistenza di sfere autonome di diritti naturali alle singole persone e ai gruppi minori (39). Con Rousseau l'astrazione logica diventa una realtà concreta e fisica: un ente collettivo dotato di poteri semi-divini, di fronte al quale non è possibile e non è lecito resistere. I diritti naturali scompaiono per lasciare il posto ai "diritti civili": uscendo dallo stato di natura l'uomo perde il diritto alla propria autonomia. La non-limitazione del potere dello Stato deriva, essenzialmente, dalla non limitazione dei poteri dell'individuo. Se il fine dello Stato è la libertà dei singoli consegue che tutti sono obbligati ad essere liberi (Zwang zur Freiheit).

Come ha giustamente osservato Talmon (40) il pericolo maggiore delle teorie politiche illuministiche risiede principalmente nel loro carattere totalizzante e nel loro immanentismo. Lo Stato dei Lumi opera nel secolo ma il suo ponto di riferimento è assoluto: ciò comporta che la dimensione temporale della vita è l'unica in cui si gioca tutta l'esistenza umana. La volontà di Dio è così sostituita da una volontà puramente umana che è dispotica e assoluta proprio perché è una volontà finita e relativa. Per questo motivo essa non può riconoscere limiti precostituiti alla sua azione: una libertà definita, infatti, non è più libertà.

Il paradosso che deriva da questo principio fondamentale è stato posto in luce da Augusto dal Noce (41) che ha lucidamente dimostrato come le potenzialità distruttive e nichilistiche delle istituzioni contemporanee siano fermamente radicate nella logica interna ad ogni pensiero rivoluzionario.

Secondo questo paradosso il tentativo di instaurare il massimo della libertà abortisce nell'instaurazione del più dispotico fare i regimi mai conosciuti dall'uomo.

Nella prospettiva della filosofia della Rivoluzione l'individuo è creatore di sé stesso e lo Stato, completamente sottoposto alla volontà di un despota, di una classe o della maggioranza, diventa lo strumento di una riforma globale della società che non tiene in alcuna considerazione le limitazioni poste dalla morale e dai diritti oggettivi della persona e dei gruppi naturali. Ha osservato Bertrand de Jouvenel che "La negazione di una legislazione divina e l'avvento di una legislazione umana rappresentano il passo più importante che la società possa compiere verso l'assolutismo reale del potere" (42). Infatti "Se non esiste un diritto intangibile nelle sue parti essenziali sostenuto da credenze comuni a tutta la società; se il Diritto è indefinitamente modificabile a volontà del legislatore sin nei suoi aspetti etici più fondamentali non v'è altra scelta che o la sua proliferazione mostruosa e incoerente sotto la pressione degli interessi e delle passioni, oppure la sua costruzione sistematica da parte di un padrone che sappia quel che vuole e che pieghi duramente la società alle regole di condotta che credere di dover prescrivere. Tale dilemma è la conseguenza di due fatti associati: lo scatenamento di un libero esame senza treno nei confronti di tutte le nozioni prime e l'affermarsi di una potenza legislativa illimitata" (43).

 

5. Concetto tomistico di sovranità, diritto di resistenza e governo misto.

Alle radici di ogni concezione totalitaria del potere politico c'è una concezione volontaristica del diritto e dell'uomo. Le teorie del potere limitato presuppongono invece l'esistenza di una sfera intangibile del diritto basata sull'oggettività di un ordine ontologico non modificabile.

S. Tommaso, affermando il primato dell'intelletto sulla volontà, definisce la legge come "ordinatio rationis" (44) e giudica come iniquità il comando dal legislatore basato su un mero atto di volontà contrario alla retta ragione (ergo alla legge naturale): sed voluntas de his quae imperantur ad hoc quod legis rationem habeat, oportet quod sit aliqua ratione regulate. Et hoc modo intelligitur quod voluntas principis habet vigorem: alioquin voluntas principis magis esset iniquitas quam lex (45).

Da questa affermazione del primato della retta ragione sulla volontà discende la subordinazione della legge positiva alla legge naturale, eterna e divina: la volontà umana non può, né ha il diritto, di mutare con le leggi l'eterna disposizione delle cose. La legge contraria al diritto naturale è ingiusta e non ha alcuna efficacia (46).

Il vero sovrano, nella comunità politica, non è dunque un uomo e non è neppure la massa formata dalla somma di monadi egoistiche chiuse in sé stesse (47): il vero sovrano è la Legge (48), o, meglio il fine per cui esiste la legge, il bene comune (49). Il principe terreno è un sovrano con poteri limitati: ed è sovrano in tanto in quanto rappresenta (vicem gerens) il popolo nel suo sforzo collettivo e organico per raggiungere il bene comune (50). La relatività dell'ordine temporale impedisce il conferimento alle supreme autorità di un potere assoluto.

S. Tommaso distingue, nel governante, una persona pubblica, o persona repraesentativa, come diranno i giuristi, il cui fine costante è il bene comune e i cui atti non possono ledere in alcun modo la Legge, e una persona privata che, per la debolezza della natura umana, può errare e compiere atti ingiusti (51). Questa distinzione consente, nei casi più gravi e come extrema ratio, l'esercizio di un diritto di resistenza da parte del popolo e delle gerarchie sociali intermedie contro un principe che è divenuto tiranno (52). Il metro di giudizio per valutare se il diritto di resistenza viene esercitato in modo legittimo è sempre costituito dalla violazione grave, sistematica e prolungata dei diritti naturali fondamentali (53).

La dottrina tomistica non legittima in nessun caso un diritto illimitato del popolo e dei singoli all'insurrezione. Il diritto di resistenza deve essere diretto alla riparazione del Diritto leso e alla restaurazione del bene comune: non è mai lecita l'insurrezione per la difesa di beni meramente privati e per l'affermazione di diritti relativi.

S. Tommaso, seguendo Aristotele, vede l'attuazione concreta e istituzionale della teoria del potere limitato e della sovranità della Legge in un modello costituzionale dello Stato che preveda la presenza stabile e simultanea delle tre forme classiche di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia (54).

La sua concezione dell'ordine pubblico è una concezione essenzialmente pluralistica: un pluralismo organico che consenta a tutte le componenti della società un ampio spazio di autonomia, basato sulla partecipazione del popolo temperata da elementi aristocratici. Significativo è anche il modello proposto per le deliberazioni collettive: la simultanea concorrenza del ruolo delle moltitudini (principio maggioritario) e del ruolo della sanior pars, costituita dalle gerarchie superiori che hanno il dovere di imporre il rispetto della Legge o, anche, semplicemente da chi si è mostrato intellettualmente e moralmente più idoneo a difendere il bene comune (55).

S. Tommaso è realista e non ritiene che si possa definire, in assoluto e aprioristicamente, una forma di governo ottima: per questo ritiene che anche la moltitudine degli incolti debba svolgere un certo ruolo e avere un certo peso nelle deliberazioni collettive. Tuttavia esiste il limite del bene comune che, in nessun modo, può essere superato, pena la disgregazione della società (56).

Nell'ordine socio-giuridico .dalla convivenza politica prevista da Tommaso, il singolo gode dei diritti naturali intangibili da parte dello Stato; contro certe tesi estreme propugnate dai teologi suoi contemporanei S. Tommaso si schiera, basandosi sul diritto naturale, anche in difesa della libertà di coscienza come mostra chiaramente il suo pensiero in merito alle conversioni forzate e al battesimo dei bambini ebrei (57).

 

Conclusione.

Gli aspetti essenziali della filosofia politico-giuridica tomistica sopra delineati mostrano con evidenza alcuni punti fermi, irrinunciabili per una dottrina sociale cattolica degna di tale nome, e irrinunciabili anche per la restaurazione di una autentica pace sociale fondata sulla giustizia (opus justitie pax secondo la divisa tomistica).

(1) La naturalità e la positività, ai fini della tutela e della promozione dell'uomo, delle strutture politiche e sociali.

(2) II primato del bene comune sul bene privato e l'impossibilità della loro identificazione: da ciò e in forza della natura ontologica del bene comune discende l'impossibilità di rimettere i contenuti del bene comune ali semplice arbitrio del legislatore umano.

(3) Priorità e inalienabilità dei diritti fondamentali della persona, della famiglia, dei gruppi naturali sul diritti storico-relativi. Da ciò discende l'illiceità di ogni legislazione positiva volta a vanificare i contenuti essenziali dei diritti naturali.

(4) Sotto il profilo istituzionale: attuazione di una forma di governo mista basata sulla attribuzione, più ampia possibile, di autonomie alle espressioni spontanee della società, alla famiglia, ai gruppi religiosi e culturali secondo il canone fondamentale del principio di sussidiarietà (58).

S. S. Giovanni Paolo II, con la sua vigorosa battaglia in difesa dei diritti umani, ha mostrato, in molti importanti documenti del suo Magistero e in perfetta sintonia con il costante Magistero della Chiesa Universale, come siano queste le battaglie decisive per le sorti dell'umanità futura (59).

 

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Note

 

(1) Cfr. Aeterni Patris in ASS 12 (1879) p. 113 e il mio recente studio L'Aeterni Patris e la battaglia delle idee in Cristianità Anno VII n. 55, Piacenza, 1979.

(2) Cfr. Aeterni Patris cit. p. 111. Questa tematica è dominante nel Magistero di Leone XIII, come si può facilmente desumere dal complesso poderoso costituito dalle sue Encicliche dedicate ai problemi culturali, sociali e politici. Particolarmente significativa è la Lettera Apostolica Pervenuti all'anno vigesimoquinto, vero e proprio testamento spirituale del grande Pontefice, in cui si indicano i criteri generali per una interpretatio authentica del suo corpus dottrinale. Sul punto specifico delle radici culturali e spirituali del processo di disgregazione della società politica e civile si vedano le considerazioni svolte, nella citata Lettera Apostolica, sul protestantesimo e la Rivoluzione francese. (Cfr. ASS 34 (1902/03) pp. 517-20).

(3) Cfr. Aeterni Patris p. 111.

(4) Ibid. p. 114

(5) Il principio del positivismo giuridico radicale e della illimitata estensione dei poteri dello Stato è apertamente condannato nel Sillabo di Pio IX (1864) prop. 39 'Reipublicae status, utpote omnium iurium origo et fons, iure quodam pollet nullis circumscripto limitibus' (cfr. in Denzinger-Schónmetzer (DS) Enchiridion Symbolorum Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum Ed. XXXIV Herder 1967, n. 2939). Cfr. anche le Encicliche di Leone XIII 'Diuturnum' (1881) e 'Immortale' (1885).

(6) Sull'illiceità morale dell'indifferentismo, come frutto del ripudio naturalistico della dipendenza dell'uomo da Dio cfr. Gregorio XVI Enc. Mirari vos (1832) DS 2730-32; Sillabo DS 2915-2918; Leone XIII Enc. Libertas (1888) in ASS 20 (1887-88) pp. 593 ss. e la condanna del razionalismo naturalista del Concilio Vaticano I (1870) in DS 3031.

(7) J.F. COX, T. Thomistic Analysis of the Social Order, The Catholic University of America Press, Washington 1943, p. 21.

(8) Le frange più estreme del radicalismo libertario attribuiscono allo Stato la funzione di legalizzare l'uso più sfrenato della c.d. autodeterminazione individuale anche contro i diritti innati dell'altro, come avviene nella pratica omicida dell'aborto. Su questi temi scottanti cfr. la lucida e penetrante analisi di LUIGI LOMBARDI VALLAURI, Abortismo libertario e sadismo, Scotti Camuzzi, Milano 1976 e Il soggetto assoluto e i suoi diritti nell'universo sadista, in Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, 1979.

(9) J. TALMON, The Origini of Totalitarian Democracy (trad. it., Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna 1967).

(10) I testi di S. Tommaso sulla naturale socialità e politicità dell'uomo sono innumerevoli. Mi limito a citare .soltanto alcuni fra i più significativi: IV Sent. d. 26, q. 1 a. 1; I Eth. Lectio I (Ed. Marietti 1964, n. 4); ibid. Leotio IX (n. 112); I Poi. Lectio I (Ed. Marietti, 1966 n. 34 ss.); De Regimine Principum (DRP) I, 1; Summa Contra Gentiles (SCG) III, 128-29; Summa Theologica I q. 96, a. 4; I-II q. 61 a. 5; q. 72 a. 4; q. 94 a. 2.

(11) I Eth. Lectio IX (n. 112) e Leone XIII Enc. Satis cognitum (1896) in AAS 28 (1895-96), pp. 709 ss.

(12) Cfr. sul punto G. DE LAGARDE, Naissance de l'esprit laique au declin du Moyen Age. T. III, Secteur social de la Scolastique Presses Universitaires de France, Paris 1942, pp. 94 ss.

(13) Ibid., p. 94.

(14) Cfr. I Pol. Lectio I; I-II, q. 90 a. 3 ad 3m.

(15) DRP I, 1; I-II q. 100 a. 6; II-II q. 188 a. 8.

(16) Cfr. B. GROETHUYSEN, La nascita dello spirito borghese in Francia, I. La Chiesa e la borghesia, Il Saggiatore, Milano 19752 e, dello stesso Autore, Filosofia della Rivoluzione francese, Il Saggiatore, Milano 1967; M. WEBER, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Sansoni, Firenze 1965; G. MARANINI, Classe e Stato nella Rivoluzione francese, Vallecchi, Firenze 1964.

(17) Sul potere assoluto dello Stato in Rousseau si veda ad esempio Contrat Social (CS) II, 4 e III, 16. Sul potere illimitato delle assemblee deliberanti CS III, 11. Sul punto cfr. le importanti osservazioni di O. v. GIERKE, Das deutsche Genossenschaftsrecht, Bd. IV, Die Staats una Korporationslehre der Neuzeit, Weidmannsche Buchandiung, Berlin 1913, pp. 432-36.

(18) E. SIEYES, Qu'est que ce que le Tiers Etat, Droz, Genève 1970, Cap. VI, p. 180; cfr. GROETHUYSEN, Filosofia della Rivoluzione francese, op. cit., pp. 305-6.

(19) Sulle basi antropologiche del diritto moderno cfr. gli essenziali rilievi critici di LUIGI LOMBARDI VALLAURI, in Corso di filosofia del diritto, Cedam, Padova 1978, pp. 233 ss.

(20) I, q. 5 a. 3; q. 48, a. 5, a. 6; SCG III, 24.

(21) I q. 5 a. 3; q. 48, a 5, a. 6; SCG III, 24.

(22) Sul primato del bene comune i testi tomistici sono innumerevoli, per esempio: III Sent. d. 35 q. 1 a. 3; IV Sent. d. 2 q. 1 a. 3; arg. 3; d. 19 q. 2, a.1 ad 6 m; d. 26 q. 1 a. 2; SCG III, 125, 146; DRP I, 9; In 5 Eth. Lectio II (N. 910) I Poi. Lectio I (N. 39); II-II q. 26 a. 4 ad 3 m; II-II q. 40 a. 4 etc.

(23) VI Meta. Lectio IV; I Eth. Lectio III (n. 30). Su questo punto cfr. anche C. DE KONINCK, De la primauté du bien commun contre les personalistes. Quebec 1943. Su posizioni diverse J. MARITAIN, Persona e bene comune, Morcelliana, Brescia 1973.

(24) Sulla classificazione dei beni e sul loro rapporto con le ideologie e le forme istituzionali cfr. LUIGI LOMBARDI VALLAURI, Corso, cit., Tomo II, pp. 456 ss.

(25) Cfr. V. CATHREIN, Philosophia moralis, Herder 1959, pp. 411-12.

(26) Sul tema dello Stato, sui suoi limiti, cfr. G. AMBROSETTI, L'essenza dello Stato, Studium, Roma 1972.

(27) Sulla giustizia nel pensiero tomistico cfr. l'esauriente esposizione di G. AMBROSETTI, Introduzione al trattato sulla giustizia in S. Tommaso e la filosofia del diritto oggi (Studi Tomistici 4, Pontificia Accademia Romana di S. Tommaso d'Aquino, Città Nuova ed.. Roma 1974, pp. 1-20) e l'ormai classico J. PIEPER, Sulla giustizia, Morcelliana, Brescia 1962.

(28) Cox, op. cit., p. 55. Sul rapporto individuo-società nel pensiero scolastico cfr. M. DE WULF, L'individu et le group dans la Scolastique du XIII Siècle, in Revue néoscolastique de philosophie, 1920, pp. 341-57.

(29) Sul quadruplice ordine di cause della società, secondo lo schema di Aristotele e S. Tommaso cfr. CATHREIN, Phil. mor., op. cit., pp. 381 ss.

(30) Sulla dimensione soggettiva dei diritti naturali cfr. SCG III, 34, Operationes iustitiae ad servandam pacem inter homines ordinantur, per hoc quod unusquisque quiete quod suum est possidet e ibid., Cap. 129; III Poi. Lectio IV; II-II, q. 122, a. 1. Il limite dei poteri dello Stato nei confronti della persona è basato sulla natura spirituale dell'uomo: Cfr. I-II, q. 21, a. 4 ad 3m: Homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totium et secundum omnie sue. La dottrina sociale della Chiesa, nel corso dell'ultimo mezzo secolo, si è più volte soffermata sul carattere primario dei diritti naturali, ispirandosi chiaramente al pensiero di S. Tommaso. Testi fondamentali in Pio IX Enc. Divini Redemptoris (1937) in AAS 29 (1937) pp. 107-38; Pio XII Radiomessaggio natalizio 1942 in AAS 35 (1943) p. 19 e i frequenti interventi di Giovanni Paolo II citati nella nota 59.

(31) I-II q. 94 a. 2.

(31 bis) Cfr. D. composta, Natura e ragione, Pas Verlag 1971, pp. 222 ss.

(32) Ibid. e SCG III, 122-124.

(33) Sul punto le fondamentali Encicliche: leone XIII, Arcanum divinae sapientiae (1880) in ASS 12 (1879-80) pp. 57-94; Pio XI, Divini illius magistri (1929), in AAS 21 (1929), pp. 723-762.

(34) Cfr. I-II, q. 94 a. 2.

(35) Ibid. e DRP I, 15. Per il Magistero cfr. i testi indicati nella nota 30.

(36) I-II, q. 94 a. 2: 'praecepta legis naturae hoc modo se habent ad rationem practicam sicut principia prima demonstrationum se habent ad rationem speculativam'.

(37) Significativa è la brutale definizione di Spinoza (nel Trattato teologico-politico, Cap. XVI). "Tutto ciò che l'uomo fa, spinto dalla ragione o dalla passione è conforme alle leggi di natura, cioè al diritto naturale; (e questo) non proibisce se non ciò che l'uomo non desidera o non può fare". (Cito da G. GRANERIS, La filosofia del diritto nella sua storia e nei suoi problemi, Desclée & C., Roma-Parigi-Tournai-New York 1961, pp. 91-92).

(38) Cfr. GROETHUYSÈN, filosofia della Rivoluzione francese, op. cit., p. 252.

(39) Sul carattere totalitario della volontà generale, ancora più esplicito è Diderot (voce Droit naturel nell'Encyclopédie, scritto probabilmente nel 1755) "c'est a la volente generale que l'individu doit s'addresser pour savoir jusqu'où il doit étre homme, citoyen, sujet, pere, enfant et quand il lui convien de vivre ou de mourit" (sic!) in DIDEROT, Oeuvres politiques, Garnier, Paris 1963, p. 33.

(40) TALMON, op. cit., p. 19.

(41) A. DEL NOCE, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano 1978.

(42) B. de Jouvenel, Il potere, Rizzoli, Bologna 1947, p. 205.

(43) Ibid., p. 305, sottolineatura nostra.

(44) I-II, q. 90, a. 4 (lex) nihil aliud est quam quaedam ratonis ordinatio ad bonum commune ab eo qui curam communitatis habet promulgata. Sul punto cfr. le osservazioni di J. Balmes nel Cap. 53 di El protestantismo comparado con el catolicismo in: Obras completas, Tomo IV, Ed. BAC, Madrid 1967, pp. 568-69.

(45) I-II q. 90 a. 1 ad 3 m.

(46) II-II q. 57 a. 2 ad 2 m; q. 60 a. 5 ad 1 m.

(47) I-II q. 105 a. 2: "...ad rationem populi pertinet ut communicatio hominum ad invicem iustis praeceptis legis ordinetur". Sulla differenza fra 'popolo' e 'massa' cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio 1944, in AAS 37 (1945), pp. 13-14.

(48) III Pol. Lectio IX (n. 439).

(49) G. DE LAGARDE, Op. cit., p. 108.

(50) I-II q. 90, a. 3; DRP I, 1: De ratione regis est quod sit unus et quod sit pastor commune multitudinis bonum et non suum commodum quaerens.

(51) La distinzione fra persona privata e persona pubblica del governante è applicata da S. Tommaso anche alle strutture di potere della Chiesa. Cfr. ad esempio Quodlibetum IX a. 16 e G. MOLTENI MASTAI FERRETTI, La Chiesa di Tommaso, Ed. Milanesi, Milano 1979, pp. 55-37.

(52) Cfr. II Sent. d. 44, a. 3; DRP III, 11.

(53) Questa dottrina trovò, storicamente, attuazione pratica presso i popoli di lingua inglese (cfr. C.H. Mc Ilwain, Costitutionalism Ancient and Modern, Cornell Unversity Press Ithaca, New York 1947). La dichiarazione di indipendenza delle Colonie americane dalla Gran Bretagna può essere considerata, per i suoi contenuti, come l'ultimo significativo esempio di applicazione, nei tempi moderai, della teoria tomistica del diritto di resistenza.

(54) I-II, q. 105, a. 1.

(55) Cfr. sul tema delle elezioni di persone Expositio in Ev. Johannis XXI, Lectio III e III, Poi. Lectio IX (nn. 427 ss.).

(56) Infatti, l'attacco contro le basi essenziali della convivenza civile equivale alla negazione della legge naturale.

(57) II-II, q. 10 a. 8; a. 12.

(58) Sul principio di sussidiarietà: Pio XI, Enc. Quadragesimo Anno (1931), in AAS 23 (1931), pp. 177-220; nn. 79-80; giovanni XXIII, Enc. Mater et Magistra (1961), in AAS 53 (1961), pp. 49-64, n. 152.

(59) Cfr. Giovanni Paolo II Lettera al Segretario dell'ONU Waldheim del 2-XII-78 (in Osservatore Romano, 11-12 XII-78). Discorso di Puebla ai vescovi latino-americani del 27-1-79; discorso di Varsavia alle autorità polacche del 2-VI-79; discorso all'ONU del 29-9-79 Enc. Redemptor hominis (16-III-79), n. 17. Sulla tematica generate dei diritti naturali soggettivi nella dottrina della Chiesa e in S. Tommaso cfr. il mio Sull'attualità e validità del diritto naturale, in AA.VV., Valori-diritti-norme, Milano 1979 (a cura dei partecipanti alle Salzburger Hochschulwochen 1978), pp. 147-157