Repubblica Italiana:
laboratorio per un regime tecnocratico?
Articolo apparso sul n. 247 di Cristianità

 

Non intendo negare quanto viene consuetamente affermato, cioè che il voto del 27 ottobre 1995, sulla mozione di sfiducia al governo guidato dal dottor Lamberto Dini, abbia svelato la natura politica, e non tecnica, di tale compagine. Credo però di qualche utilità leggere la stessa situazione e il suo esito temporaneo anche altrimenti, in un modo che non collide con l’interpretazione ricordata, ma fondatamente l’articola e la integra.

Come effetto — e come segno inequivocabile — della "fine delle ideologie", si è diffuso un certo timore, una certa reticenza, da parte degli uomini politici — ma non solo da parte loro —, a usare termini concettuali, sì che è invalso l’uso di contenitori, che alludono ai contenuti piuttosto che precisarli. Valga per tutti il termine inflazionato "valore", che ha sostituito "principio", evidentemente troppo "dogmatico", ma che ha la perspicuità di un container senza l’indicazione di che cosa contiene. Qualcuno potrebbe far notare che "valore" viene usato anche dal Magistero della Chiesa cattolica, che è difficile immaginare inconsapevole dei contenuti del proprio messaggio; rispondo che — per quanto, anche in questo caso, si possa discutere tale uso per la ragione enunciata, cioè per il suo carattere sostanzialmente fluido, segnato da un ampio margine almeno di indecisione se non di indecidibilità — la fonte dell’enunciazione formale permette una ricostruzione abbastanza facile del suo contenuto: infatti, se lo dice il Papa, il riferimento è presumibilmente al Credo, al decalogo o al Padre Nostro. Ma — mutatis mutandis e senza far torto a chicchessia — non si può dire lo stesso a proposito di nessuna "cattedra" politica, per nessun esponente politico.

Poiché non ci si chiede se la "fine delle ideologie" coincida con o implichi la fine di comportamenti ideologici, oppure non costituisca piuttosto il loro trionfo, la loro "ora", si parla senza difficoltà di "governo dei tecnici", ma non si parla mai di tecnocrazia. Anzitutto, il "governo dei tecnici", se non configura la realizzazione della tecnocrazia, suggerisce almeno la sua possibile instaurazione con il trionfo della corrispondente ideologia, che costituisce l’ultimo travestimento dell’ideologia tout court come innalzamento del particolare a universale, come trasformazione di un punto periferico nel centro, come assunzione della pars pro toto. Tale governo, proprio anche perché sembra attualmente senza possibile e affidabile determinazione di durata — in tesi coesteso al mandato presidenziale di Oscar Luigi Scalfaro —, ha un elevato tasso di esemplarità, il che può qualificare l’episodio più come un esperimento che come un intervallo destinato a coprire le difficoltà di transizione fra un governo politico e un altro governo politico, un semplice momento di passaggio fra essi e, conseguentemente, fa dello Stato italiano un laboratorio.

In questa ottica merita di essere evidenziato che un "governo con tecnici", se non un "governo dei tecnici" — espressioni diverse per allontanare dall’identificazione della comune sostanza? —, guidato dal governatore della Banca d’Italia dottor Carlo Azeglio Ciampi, è succeduto al governo politico dell’on. Giuliano Amato e ha retto la Repubblica Italiana dall’aprile del 1993 al maggio del 1994, quando è stato sostituito dal governo politico dell’on. Silvio Berlusconi, cui è seguito, dal gennaio del 1995, il "governo dei tecnici" capeggiato dal direttore generale della Banca d’Italia dottor Lamberto Dini.

Come si può notare, negli anni seguenti il "fatale" 1989, la sequenza vede il governo politico simpliciter se non come eccezione all’interno di una "regola nuova", almeno come una pari possibilità rispetto al governo con o dei tecnici, e — come ben dicono i francesi — c’est le premier pas qui coute.

Quindi, a questo punto, si deve rilevare il sostegno che tale "governo dei tecnici" riceve ormai tematicamente e ad essendum dalle forze politico-partitiche di centro-sinistra. Sia detto di passaggio, il perseguimento di questa rilevazione e il suo pubblico svelamento è stato il senso della presentazione della mozione di sfiducia al Governo Dini da parte del Polo delle Libertà, una mozione intesa a verificare e a confermare il fatto agli occhi della pubblica opinione, non a far cadere lo stesso Gabinetto, per il cui abbattimento mancano attualmente i numeri: se vi fossero i numeri per sfiduciare il governo in carica, vi sarebbero anche stati per sostenere quello che lo ha preceduto, quindi sarebbe ancora vigente il Governo Berlusconi. Questa constatazione ovvia rende falsa e maliziosa la denuncia massmediatica di una presunta sconfitta parlamentare del Polo delle Libertà, sconfitta inesistente perché relativa a una battaglia che — oltre la cortina fumogena e la turbativa costituite dal comportamento tenuto dai parlamentari del Partito della Rifondazione Comunista, che hanno autonomamente offerto e tolto sostegno alla mozione — non è stata data in quanto non poteva essere vinta; e, ad abundantiam, si rivelano infondate la delusione e la sofferenza per tale "sconfitta".

I capisaldi dell’ideologia tecnocratica — la descrizione è di Domenico Fisichella in sede scientifica e risale agli anni Settanta — "[...] sono — oltre la preminenza dell’efficienza e della competenza — la concezione della politica come regno dell’incompetenza, della corruzione e del particolarismo, il tema del disinteresse delle masse nei confronti della res publica con la conseguente professionalizzazione del decision-making, la tesi del declino delle ideologie politiche e la costituzione di una sorta di koiné tecnologica" (1).

La tecnocrazia — prosegue il politologo — come "[...] regime sociale [è] caratterizzato dall’emancipazione del potere dai suoi tradizionali connotati politici, e dall’assunzione di una diversa configurazione, spoliticizzata e "di competenza". In altri termini, [...] si assiste ad un vero e proprio spossessamento della funzione di decision-making sulla cosa pubblica ad opera degli "esperti", i quali prendono il posto degli uomini politici, mentre la decisione di tipo politico, e per ciò stesso aperta alla discrezionalità, cede il campo ad una decisione intesa come risultato di calcoli e di previsioni scientifici, e quindi del tutto priva di residui discrezionali" (2).

La stessa prospettiva avalutativa propria della tecnocrazia caratterizza, in ultima analisi, anche le due linee di pensiero ampiamente dominanti — per non dire esclusivamente dominanti — nel campo dell’Ulivo, dove la Quercia giganteggia sui Cespugli. Queste linee non si possono qualificare come tecnocratiche, ma si tratta di esiti ampiamente coincidenti di itinerari diversi: mi riferisco al pensiero debole e al relativismo. In entrambe le ipotesi viene negata, con diverse motivazioni e con diversa forza nonché per diverse vie, l’esistenza di valori assoluti e si avversa la loro affermazione sociale, pubblica. Pensiero debole e relativismo rimandano a diverse matrici, l’una genericamente neomarxista — ma non mancano assolutamente ascendenze esistenzialistiche —, l’altra animata da spirito massonico, cioè da massonismo, in ampia quando non totale indipendenza da ipotetiche affiliazioni iniziatiche.

Ma, come dicevo, l’esito è identico, per cui il "governo dei tecnici" appare tanto credibilmente al servizio del fronte della sinistra — un Fronte Popolare con enormi poteri sulla società, ma con sempre meno consenso nella società —, quanto quest’ultimo al servizio del "governo dei tecnici".

Se le cose stanno nei termini enunciati, che cosa cambia rispetto alla lettura corrente della situazione? Anzitutto una diagnosi più raffinata permette di pensare una terapia più raffinata, quindi di realizzare una propaganda che, mentre informa l’elettorato, non trascura di formarlo. E gli dice: "Attenzione, non è sospesa la democrazia, come sostiene enfaticamente e semplicisticamente qualcuno, ma è sospesa la politica. Il governo in carica può non essere un "governo ponte", ma costituito nella prospettiva della riduzione della politica ad amministrazione. Perciò, si contraddice e inganna chi denuncia la litigiosità politica e l’"avvelenamento" della vita politica e mantiene tale sospensione, che è sostanzialmente all’origine della litigiosità e dell’avvelenamento. Infatti, se "l’ozio è il padre dei vizi", gli ozi di Capua a cui il "governo dei tecnici" e i suoi complici costringono la vita politica ne sono ampiamente all’origine. Perciò — ancora — la richiesta di elezioni non è ritornello o slogan indicativo di scarsa progettualità, ma è richiesta di profilo alto, perché significa chiedere nientemeno che il riavvio della vita politica, in questo modo riducendo a percentuali tollerabili l’inquinamento da litigiosità e da "veleni", riportando i tecnici alla funzione di consulenti apprezzati e ascoltati ma non di guide, e riequilibrando il rapporto fra i diversi poteri dello Stato a fronte del debordamento del potere giudiziario".

Il tutto — sia ben chiaro — senza nessuna nostalgia del gramsciano "tutto è politica" (3), ma solamente perché non tutto è economia e tanto meno finanza.

Giovanni Cantoni

* Articolo sostanzialmente anticipato in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLIV, n. 258, 8-11-1995, p. 6, con il titolo redazionale Con i tecnici la politica non prospera e senza note.

 

(1) Domenico Fisichella, voce Tecnocrazia, in Norberto Bobbio e Nicola Matteucci (a cura di), Dizionario di politica, redattore Gianfranco Pasquini, UTET, Torino 1976, pp. 1028-1030 (p. 1028).

(2) Ibid., p. 1030.

(3) Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, vol. secondo, Quaderni 6 (VIII)-11 (XVIII), edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Giarratana, Einaudi, Torino 1975, Quaderno 7 (VII). 1930-1931. (Appunti di filosofia II e Miscellanea), p. 886.