BISOGNA LAVORARE SOLTANTO PER LO STATO?
La proprietà privata può servire il bene comune?
Articolo apparso sul n. 15 (1975) di
Cristianità

Sostanzialmente utilizzando un opuscolo pubblicato dalla TFP argentina, offriamo ai nostri lettori un dialoghetto - che ai più informati ricorderà gli scritti del conte Monaldo Leopardi - nel quale diversi temi della dottrina sociale naturale e cristiana sono presentati con un linguaggio estremamente semplice e corrente, proprio delle conversazioni quotidiane. In questo modo sono messi alla portata di tutti, in una forma accessibile e attraente, argomenti che, esposti in modo diverso, sarebbero difficilmente abbordabili per i più.
Interlocutori:
BERNINI: un vecchio uomo politico, che non crede in Dio, ma pretende di fondare le sue teorie rivoluzionarie sulle encicliche pontificie. Trent'anni fa è stato consigliere comunale socialdemocratico.
SARTORI: un agricoltore tradizionale, che difende con energia i suoi diritti, ma è disorientato dagli argomenti "teologici" di Bernini.
FERNANDO: un giovane ed entusiasta propagandista di Cristianità, che conosce bene la dottrina sociale naturale e cristiana e controbatte efficacemente le fandonie di Bernini.

 

Il corso è movimentatissimo. Comincia a calare il sole di una splendida giornata d'autunno e tutti si affrettano a portare a termine le incombenze del giorno. Contrariamente alle proprie abitudini, però, una cerchia di ascoltatori staziona attorno ad alcune persone che discutono. Al centro della discussione, l'agricoltore Sartori e l'esponente socialdemocratico Bernini.

Sartori, con la forza dei suoi quarant'anni, alto, corpulento, calvo, autosufficiente e sicuro di sé, domina il gruppo sia per la statura che per la naturale considerazione in cui lo tengono i presenti.

L'altro, di statura appena vicina alla media, molto magro, si contrappone a Sartori con la sua voce acuta e penetrante, con la sovrabbondanza delle parole e per un non so che di letterario che comunica a tutto quanto dice. Sono gli ultimi sprazzi che conserva, con i suoi sessantasette anni, dal tempo in cui era stato oratore focoso in consiglio comunale. Infatti Bernini da più di trent'anni è un esponente socialista di punta.

[Fine individuale della proprietà]

SARTORI. Io lavoro soprattutto per me e per la mia famiglia. E confesso che non avrei stimolo per dedicarmi dalla mattina alla sera alla mia campagna, se non vedessi direttamente in questo un vantaggio per me e per la mia famiglia.

BERNINI. Proprio così! Voi proprietari non vedete oltre le vostre persone. Non sapete che l'uomo può vivere soltanto in società e che quindi vive anzitutto per la società. Bisogna pensare in primo luogo alla comunità, in secondo luogo ai propri cari, e in terzo luogo a sé stessi. Finché non si farà così, assisteremo a ogni genere di abusi, e in nome del popolo io affermo (e alza la voce): Difendo la sovranità popolare, che non è soltanto l'indipendenza del paese, ma anche il diritto della comunità dei cittadini di limitare tutti i diritti privati, nella misura in cui sia necessario per l'interesse della patria!

SARTORI. Signor Bernini, questo è il suo punto di vista. Colgo in Lei alcuni echi degli intellettuali della Rivoluzione francese, e nella sua eloquenza qualche fermento della propaganda comunista. Io personalmente sono cattolico, e seguo le encicliche, che garantiscono i diritti privati contro gli attacchi della demagogia.

[Funzione sociale della proprietà]

BERNINI (con un sorriso di vittoria). Lei parla di encicliche, caro Sartori. Non le seguo, come Lei, ma le ho lette. Io sono dalla parte delle encicliche! Ha sentito parlare della funzione sociale della proprietà?

Ebbene, la sua proprietà, quella dell'industriale, quella del commerciante, quella del

locatore di immobili, hanno soprattutto una funzione sociale. Questo significa che il

proprietario esiste principalmente non per sé stesso - come sembra pensino

imprenditori e i locatori come Lei - ma per il popolo. La proprietà deve servire compiutamente le necessità del popolo e dare ad esso vantaggi, e soltanto in un secondo tempo, nella misura in cui non serve più al popolo, può servire a voi proprietari.

[Intervento dello Stato]

SARTORI. In queste condizioni, non mi serve assolutamente! Infatti la pubblica amministrazione può sempre inventare qualche nuovo utilizzo di un immobile urbano o rurale o di una impresa. Magari soltanto per riempirlo di uffici e funzionari pubblici. O per installare organismi parastatali che servano come pretesto per la preparazione di nuovi sistemi diretti in ultima analisi dallo Stato.

BERNINI. Lei vede come un fatto negativo quello che io vedo diversamente. Nella nostra epoca, in cui l'economia ha assunto uno sviluppo così prodigioso, e l'amministrazione consegue risultati meravigliosi, bisogna concedere che lo Stato sviluppi sempre più la sua capacità di tutelare il bene comune. E lo Stato eserciterà la sua funzione sociale se amplierà sempre di più il suo raggio d'azione. Perciò dovrà ridurre il vostro, facendovi pagare imposte sempre maggiori e lasciandovi una funzione direttiva sempre minore. Accettando questa situazione, la proprietà adempie alla sua funzione sociale.

[La morte della proprietà]

SARTORI. Allora, sarebbe la morte del diritto di proprietà privata e individuale?

BERNINI. Forse della sua proprietà. Non però una morte immediata, perché lo Stato, come la natura, non fa salti. Avanza nel corso degli anni. Ma non è la morte del diritto di proprietà, ma la nascita di un altro tipo di diritto di proprietà. L'importante è che il diritto di proprietà esca dalle mani di alcuni e passi in quelle di tutti. L'importante è che i beni appartengano direttamente a chi li utilizza, la casa a chi la abita, l'impresa a chi vi lavora. Vi sarà la piccola proprietà per gli individui e la grande proprietà comunitaria per i gruppi sociali di grandi dimensioni. E' la società comunitaria del futuro, in cui tutti saranno proprietari...

SARTORI. ...o in cui ciascuno sarà di una tale miseria, che l'unico proprietario reale finirà per essere lo Stato.

Nella misura in cui la discussione si accalora, si incrociano tra i presenti dialoghi paralleli. Improvvisamente uno di essi estrae un orologio ed esclama: "Devo andare via di corsa prima che chiudano i negozi!". Rapidamente, appena ricordata l'ora, la cerchia si disperde come se fosse caduto un acquazzone. Sartori e Bernini, cadendo bruscamente dal mondo della dottrina in cui contendevano, si trovano improvvisamente in quello della realtà quotidiana, nel quale mantengono rapporti cordiali. Si riforma tra di loro, inaspettatamente, l'abituale bonomia. Si separano cordialmente, e ciascuno ritorna alla cura dei propri affari.

La sera, al circolo, vi è poco movimento. Tuttavia, nella sala del biliardo, una conversazione vivace riunisce un gruppo considerevole di amici. La partita è interrotta. Sartori, con la stecca in mano, si rivolge animatamente al suo compagno di gioco, che,

pure senza abbandonare la stecca, lo guarda con attenzione.

[la dottrina sociale della Chiesa]

SARTORI. Finché ha esposte le sue teorie socialiste, non mi è importato molto. Sono cose che tutti sanno, e che quasi tutti respingono. Rivelano una completa mancanza di buon senso. Però ti confesso, Fernando, che mi sono sentito disorientato quando il vecchio demonio socialista ha cominciato a parlare con voce da sacrestano, citando testi di Papi e decreti conciliari. Francamente, da un momento all'altro mi è parso di essere messo nei panni di un feroce egoista, senza amore per i poveri e con gli occhi rivolti esclusivamente a sé e ai suoi. Si è formato in me qualcosa di simile a uno scrupolo, che mi sussurrava: "Tu non esisti per te, i tuoi parenti non esistono per loro, voi tutti esistete per il popolo, e solo gli egoisti consumati dissentono da questa posizione!". Tu studi questi temi, e forse puoi togliermi da questa rete di argomentazioni teologiche in cui mi ha avvolto l'ateo Bernini.

Prima che Sartori abbia finito di parlare, Fernando, di statura media, con l'espressione sana e allegra della vitalità propria di un giovane di ventidue anni, guardando con occhi intelligenti il suo amico, incomincia a sorridere.

[Unione armonica del bene comune e del bene individuale]

FERNANDO. Immagini, signor Sartori, che tutti gli italiani si persuadano delle dottrine del signor Bernini. Nessuno penserebbe più a sé stesso, ma al tutto sociale, di modo che il bene individuale finirebbe per essere trascurato, e prevarrebbe soltanto la preoccupazione per il bene comune. Ma siccome l'Italia è costituita da una somma di individui, il disprezzo del proprio bene individuale da parte di ciascuno porterebbe alla dissoluzione di tutto il paese.

La contraddizione che Bernini suppone esistere tra il bene individuale e il bene comune non c'è. Se ciascun individuo cura diligentemente il proprio bene e quello dei suoi, rispettando i diritti altrui, l'intero paese prospera.

SARTORI. Allora non esiste il bene comune?

[difesa di ogni essere individuale]

FERNANDO. Esiste, ma non come contrario ai beni individuali. Ogni essere vivente ha, secondo le leggi della natura, un insieme di necessità e corrispondentemente un insieme di risorse individuali per soddisfare queste Necessità e necessità. Questo è vero, per esempio, nel caso di una pianta che ha necessità di respirare e di conseguenza ha i suoi mezzi specifici che le permettono di farlo. Allo stesso modo, un passero che deve nutrirsi e difendersi dai pericoli, ha le ali per volare, procurarsi il nutrimento o fuggire l'avversario. Ogni essere individuale è un circuito chiuso di necessità e di mezzi di azione corrispondenti. E se ogni individuo si serve a proprio vantaggio dei mezzi di cui dispone, ciascuno secondo l'ordine posto da Dio nella natura, ogni individuo sostiene nello stesso tempo, nella misura che gli compete, quella enorme meraviglia che è l'ordine universale.

SARTORI. Ma Bernini direbbe che questa è poesia pura...

FERNANDO. No. E' semplicemente scienza. Immagini che ogni individuo, in natura, smetta di provvedere a sé stesso: vi potrebbe essere un cataclisma più immediato e più totale?

SARTORI. No certamente. Ma tu non puoi venirmi a dire che questo principio, buono per le galline o per i rospi, è valido anche per l'uomo.

[l'uomo, essere individuale con un'anima immortale]

FERNANDO. Infatti, così come l'ho enunciato non vale. Perché vi è qualcosa nell'uomo che altera il problema. Contrariamente alle galline e ai rospi, l'uomo ha un'anima immortale, creata da Dio per la realizzazione di un destino personale, cioè per amarlo e servirlo su questa terra, al fine di contemplarlo, amorosamente, faccia a faccia, per tutta l'eternità.

SARTORI. Proprio a questo non pensa il nostro ateo Bernini.

FERNANDO. E' il male che deriva dallo studio di documenti ecclesiastici fatto da atei! Molto spesso interpretano male la lettera, perché non conoscono lo spirito. Leggono i Papi, come se fossero economisti puri che dimenticano che l'uomo ha un'anima immortale. E così capiscono molte cose a rovescio.

SARTORI. Comincio a sentire meno tesa attorno al mio collo la corda della argomentazione di Bernini. Continua, perché voglio vedere fino a dove vai a parare.

[L'ordine dell'amore di Dio e del prossimo]

FERNANDO. Il fine dell'uomo non è di ordine terreno, diversamente da quello degli animali e delle piante, il cui fine immediato è, in un certo senso, l'ordine universale. L'uomo esiste principalmente per Dio, come tutti gli esseri, ma, avendo una natura spirituale, il suo fine immediato è lui stesso e poi quelli che gli sono prossimi secondo l'ordine della natura, quello dei rapporti sociali di ogni tipo, famiglia, amici, dipendenti, ecc. In questo vasto " ecc. " cade anche tutta la società.

In altre parole, si curi di sé stesso e dei suoi, sia giusto e caritatevole verso sé stesso e verso tutti, e avrà prestato al bene comune uno dei servizi più fondamentali che possa prestare.

[Il retto amore di sé stessi non è egoismo]

SARTORI. Ma è proprio in questo che non vedo chiaro. Non è egoismo? Non è amore di sé?

FERNANDO. Mio caro signore, qui sta un altro dei presupposti collettivistici che fanno di Bernini uno strabico nel momento di leggere le encicliche. L'amore di sé non è egoismo. Sta all'egoismo come l'originale sta alla caricatura. Come la forza sta alla brutalità o come la bontà sta alla debolezza.

SARTORI. E dove metto l'amore del prossimo?

FERNANDO. Esattamente dove metto l'amore per me stesso. Chi è più prossimo a me di me stesso? Perciò devo osservare la giustizia e la carità, anzitutto verso di me, e poi, in cerchi concentrici, verso i miei, verso gli amici, i dipendenti, ecc. Tutto nella misura del diverso rapporto di prossimità.

SARTORI. E se Bernini mi chiedesse, in che cosa questo atteggiamento si differenzia dall'egoismo, che cosa gli dovrei rispondere?

FERNANDO. Che egoista non è chi è consapevole di venire dopo Dio, al centro dell'amore per sé stesso, ma chi, per amore di sé stesso, rifiuta di amare Dio o il prossimo, e quindi abbandona la fede, trasgredisce gli obblighi di giustizia o quelli di carità, e diventa, in misura maggiore o minore, nemico di Dio e degli uomini. Il retto amore di sé non è egoismo. E non esclude assolutamente, anzi, partecipa dell'amore di Dio e del prossimo. Curi sé stesso e i suoi, adempiendo i doveri di giustizia e di carità verso Dio e verso il prossimo, e potrà essere sicuro di essere un buon cattolico e un ottimo italiano.

[Primato del bene comune]

SARTORI. Ti confesso, Fernando, che la tua argomentazione mi conquista e mi convince, ma che lascia nel mio spirito un certo dubbio. Secondo quanto hai appena affermato, un diritto individuale non dovrebbe mai subire limitazioni a favore del bene comune. Bernini fiuterebbe in questo atteggiamento un individualismo utopistico e irriducibile. Ogni uomo, esercitando completamente i suoi diritti, lavorerebbe per il bene comune. Perciò, mai sacrifici per la società!

FERNANDO. Se Lei ha prestato attenzione a quanto ho detto, avrà notato che ho avuto cura di presentare questa promozione del bene individuale da parte di ogni persona o di ogni famiglia, come un enorme contributo di base al bene comune, e non come l'unico contributo che si può dare a questo fine. La società, in quanto è un tutto organico di individui e di famiglie, le supera in nobiltà.

[Funzione sociale di altri diritti]

E quindi è indispensabile capire che quando la comunità è in pericolo, o quando una ragione autentica di necessità pubblica o sociale esige il sacrificio di diritti individuali, questo sacrificio si deve fare. E' la funzione sociale di ogni diritto individuale.

SARTORI. Di ogni diritto individuale? Ho sentito parlare soltanto della funzione sociale della proprietà...

FERNANDO. E' vero, Bernini e i suoi simili parlano soltanto della funzione sociale della proprietà. Ma se ammettessimo che gli altri diritti - quelli del lavoro, per esempio - non hanno una funzione sociale, non vi sarebbe ragione di affermare che solo il diritto di proprietà privata è soggetto a questa funzione. Il buon Bernini tralascia di parlare della funzione sociale degli altri diritti perché porterebbe a limitare certe forme di tirannia sindacale, come esistono negli Stati Uniti, e come esistono nel nostro paese. Ebbene, Bernini pensa di essere nemico di tutte le tirannie, ma promuove, per omissione, tutte le forme di azione che portano alla tirannia sindacale.

SARTORI (ridendo allegramente). Domani stesso, quando lo incontro sul corso, glielo dico!

[Casi in cui possono essere limitati i diritti individuali]

FERNANDO. Così, nel caso sia necessaria la restrizione di uno o di alcuni diritti individuali sull'altare del bene comune, questa restrizione deve essere fatta. Ma tanto nel caso della proprietà privata che in quello degli altri diritti, la realizzazione di questa restrizione è soggetta ad alcuni principi. Si deve fare soltanto quando è comprovatamente necessaria, soltanto nella misura del necessario, soltanto per il tempo che è necessario, e devono essere indennizzati scrupolosamente, in tutta la misura del possibile, i titolari dei diritti limitati.

SARTORI. Bene, allora la funzione sociale della proprietà non porta alla sua abolizione?

[La funzione (sociale) non deve uccidere l'organo (la proprietà)]

FERNANDO. La funzione, per definizione, è un servizio prestato da un organo. Se questo servizio è necessario a tutto l'organismo, bisogna che l'esercizio della funzione non distrugga l'organo. Tutte le volte in cui si pretende da un organo una attività di cui muore, si fa qualcosa di mostruoso e si attenta all'intero organismo. Se, per il bene comune, è necessario che la proprietà privata eserciti la sua funzione sociale, uccidere la proprietà significa colpire a morte, nello stesso tempo, il bene comune.

SARTORI. Splendido! Lo dirò a Bernini quando lo incontrerò sul corso, ma non domani, domani l'altro! Una dose per giorno prolungherà ulteriormente il mio trionfo, e gli darà il tempo di digerire risposta dopo risposta.

FERNANDO. Dopo domani l'altro, per ridurre la pressione, faccia a Bernini un regalo. Se vuole, glielo faccia da parte mia. Lei conosce Cristianità? Se sono riuscito a vedere con chiarezza nell'imbroglio di opinioni teologiche che pullulano dalle nostre parti, messe in circolazione dai Bernini socialisti "democratici", "nazionali" e "internazionali", democristiani e di ogni altro tipo, dei quali la nostra patria è piena, lo devo a questo periodico. Dottrina chiara, argomentazioni coerenti, specializzate nell'offrire contravveleni per le tesi "berniniane"... Insomma, in questa rivista non manca niente. La leggo da anni, e mi farebbe piacere che la leggesse anche Bernini. Gli regali l'abbonamento.

SARTORI. Bernini, a sessantasette anni, parla come se fosse un leader della gioventù. Mi dirà che Cristianità è una noiosa rivista di sessagenari superati, e rifiuterà il regalo.

FERNANDO. Allora gli dica che, in occasione di un incontro degli "Amici di Cristianità", gli farò avere il biglietto di invito. Alla manifestazione troverà poche persone con più di trent'anni. E soprattutto gli organizzatori sono un gruppo di giovani attivi, combattivi e gioviali.

Una risata generale rilassa i presenti che seguono con attenzione la conversazione. La cerchia si scioglie con successivi "Buona notte" reciproci, e rapidi commenti giocosi, quando Sartori chiama Fernando, che si sta avviando verso l'uscita.

[Proprietà piccole, medie e grandi]

SARTORI. Senti, Fernando! Voglio che tu mi dica ancora una cosa. Che cosa pensi della società comunitaria di Bernini, con la piccola proprietà per gli individui, e la grande proprietà comune per i gruppi sociali?

FERNANDO. E' vero, mancava questo! Cominciamo dalla piccola proprietà individuale. Non discuto che, in molti casi, sia altamente raccomandabile, e degna di una profonda simpatia. Ma proibire al piccolo proprietario di diventare un proprietario medio, e quindi un grande proprietario, è caratteristico dello spirito dittatoriale di Bernini. Anche se non lo confessa, vuole una legge che dica: "E' proibito che gli uomini che lavorano di più e che sono più capaci, lavorino di più, producano di più e migliorino le proprie condizioni di vita e quelle del paese". E tutto questo chiama democrazia e funzione sociale della proprietà!

SARTORI. E le proprietà eccessivamente grandi?

FERNANDO. Stia bene attento: una proprietà molto grande può non essere eccessivamente grande. Sarebbe eccessivamente grande se avesse proporzioni concretamente incompatibili con le necessità vitali della società. Solo allora, e se il bene comune lo esigesse, la legge potrebbe determinarne la divisione, previo un giusto indennizzo.

[La proprietà industriale]

SARTORI. Passando a un altro aspetto del problema, che cosa posso rispondere se mi dice che ammette la mia posizione a proposito del mondo rurale, ma che nel mondo industriale le fabbriche devono essere di proprietà degli operai?

FERNANDO. Non discuto che in qualche caso una fabbrica possa essere costituita e acquistata lecitamente dagli operai. Ma questa situazione eccezionale non può trasformarsi in una norma. Normalmente una fabbrica, come una impresa commerciale, deve appartenere a un individuo ed essere sotto la sua responsabile direzione. Non si esclude che, in certi casi, mediante un libero accordo tra le parti, la proprietà individuale della impresa possa coesistere con una certa partecipazione degli impiegati e degli operai al capitale sociale, e anche agli utili, nonché alla gestione. Questa soluzione potrà essere talora eccellente, qualche volta indifferente, e qualche volta anche dannosa

SARTORI. Quando presenterò a Bernini una soluzione di questo tipo rimarrà disarmato. La sua grande arma contro di me consiste nel chiamarmi monopolista, intransigente, difensore a oltranza dei diritti della mia classe. Arriva perfino a insinuare che sono una sorta di condottiero capitalista della lotta di classe! Ma quando mi sentirà la prossima volta, non avrà più niente da dire!

Fernando si allontana con una grande risata. Ancora sulla porta, rivolto a Sartori, esclama:

FERNANDO. Mi dia ascolto! Non dimentichi di invitare il vecchio Bernini a un incontro degli "Amici di Cristianità"! Il condottiero sindacale potrà vedere in questa occasione dei giovani che lottano ... contro la lotta di classe!

Si spengono le ultime luci del circolo, e ridendo e conversando tutti coloro che hanno assistito al dialogo tra Sartori e Fernando scompaiono nel tranquillo silenzio della città addormentata.