Conte Joseph De Maistre (1753-1821)

XI. Frammenti di una Storia della rivoluzione francese, di David Hume (1)

 

EADEM MUTATA RESURGO

...II Lungo parlamento dichiarò, con giuramento solenne, che non poteva essere dissolto, p. 181. Per assicurare il proprio potere, non smetteva di agire sullo spirito del popolo; ora eccitava gli animi con artificiosi proclami, p. 176; e ora si faceva inviare, da tutte le parti del regno, petizioni che andavano nel senso della rivoluzione, p. 133. L'abuso della stampa era stato portato al colmo; un gran numero di club provocavano ovunque fragorosi disordini: il fanatismo aveva trovato un suo proprio linguaggio; era un gergo nuovo, inventato dal furore e dall'ipocrisia del tempo, p. 131. La mania universale era di lanciare invettive contro gli antichi abusi, p. 129. Tutte le antiche istituzioni vennero rovesciate una dopo l'altra, pp, 125, 188. Il bill di Self-deniance e il New-model disorganizzarono completamente l'esercito e gli dettero una nuova forma e una nuova composizione, che costrinsero molti vecchi ufficiali a rinunciare ai loro incarichi, p. 13.

Tutti i delitti venivano attribuiti ai realisti, p. 148; e l'arte di ingannare il popolo e di terrorizzarlo giunse al punto di fargli credere che i monarchici avevano minato il Tamigi, p. 177, Non più re! non più nobiltà! uguaglianza universale! era questo il grido generale, p. 87. Ma in mezzo all'effervescenza popolare, si poteva distinguere la setta estremista degli Indipendenti, che finì per incatenare il Lungo parlamento, p. 374.

Contro una tale tempesta, era inutile la bontà del re. Le stesse concessioni fatte al suo popolo venivano calunniate come se fossero fatte in malafede, p. 186.

È per mezzo di questi preliminari che i ribelli avevano preparato la rovina di Carlo I; ma un semplice assassinio non avrebbe soddisfatto i loro disegni; un tale delitto non sarebbe stato abbastanza nazionale. La vergogna e il rischio avrebbero riguardato i soli uccisori. Bisognava dunque immaginare un altro piano; bisognava stupire il mondo con una procedura inaudita, adornarsi con i segni. esteriori della giustizia, e mascherare la crudeltà con l'audacia; bisognava, insomma, fanatizzando il popolo con l'idea di un'uguaglianza perfetta, assicurarsi l'obbedienza della moltitudine, e formare insensibilmente una coalizione generale contro la monarchia, tomo 10, p. 91.

L'annientamento della monarchia fu il prodromo della morte del re. Questo principe fu detronizzato di fatto, e la costituzione inglese fu rovesciata (nel 1648), dal bill di non addresses che lo mise fuori dalla costituzione.

Ben presto, le più atroci e le più ridicole calunnie vennero diffuse sul conto del re, per uccidere quel rispetto che è la salvaguardia dei troni. I ribelli non trascurarono niente per macchiare la sua reputazione; l'accusarono di avere dato degli incarichi ai nemici dell'Inghilterra, di aver fatto scorrere il sangue dei suoi sudditi. Con la calunnia si preparavano alla violenza, p. 94.

Durante la prigionia del re al castello di Carisborne, gli usurpatori del potere si misero a tormentare questo sventurato principe con angherie di ogni genere. Lo privarono dei suoi servitori; gli vietarono di comunicare con i suoi amici: nessuna socialità, nessuna distrazione gli erano consentite per addolcire la malinconia dei suoi pensieri. Ad ogni istante, si attendeva di essere assassinato o avvelenato (2), giacché l'idea di un processo non gli veniva neppure in mente, pp. 59 e 95.

Mentre il re soffriva atrocemente nella sua prigione, il Parlamento faceva pubblicare che egli vi si trovava benissimo, e che era di ottimo umore, ibid. (3).

In mezzo alle calamità che lo opprimevano, la grande fonte da cui il re traeva tutte le sue consolazioni era senza dubbio la religione. Questo principe non aveva in sé niente di duro né di austero, niente che gli ispirasse risentimento contro i suoi nemici o che potesse allarmarlo sull'avvenire. Mentre tutto intorno a lui aveva un aspetto ostile, mentre la sua famiglia, i suoi parenti, i suoi amici venivano tenuti lontani o nell'impossibilità di essergli utili, egli si abbandonava con fiducia nelle braccia del grande Essere, il cui potere penetra e sorregge l'universo, e i cui castighi, subiti con pietà e rassegnazione, parevano al re le garanzie più sicure di una ricompensa infinita, pp. 95 e 96.

Carlo non dubitava della propria morte; sapeva che raramente un re viene detronizzato senza perire; ma credeva a un assassinio piuttosto che a un processo solenne, p. 122.

Nella sua prigione era già detronizzato; era stata eliminata tutta la pompa dovuta al suo rango, e le persone che lo avvicinavano avevano avuto l'ordine di trattarlo senza alcun segno di rispetto, p. 122. Ben presto, si abituò a sopportare le familiarità e perfino l'insolenza di quegli uomini, così come aveva sopportato le altre sue disgrazie, p. 123.

I giudici del re si definivano rappresentanti del popolo, p. 124. Del popolo... unico principio di ogni potere legittimo, p. 127, e l'atto di accusa recava scritto che abusando del limitato potere che gli era stato affidato, egli aveva cercato, in modo subdolo e malizioso, di edificare un potere illimitato e tirannico sulle rovine della libertà.

Dopo la lettura dell'atto, il presidente disse al re che poteva parlare. Carlo diede prova nelle sue risposte di molta presenza di spirito e forza d'animo, p. 125. E tutti sono d'accordo che la sua condotta, in questa ultima scena della sua vita, ne onora la memoria, p. 127. Fermo e intrepido, mise in tutte le sue risposte la più grande chiarezza e la più grande precisione di pensiero e di espressione, p. 128. Sempre dolce, sempre calmo, l'ingiusto potere che veniva esercitato su di lui non riuscì a farlo uscire dai limiti della moderazione. La sua anima, senza sforzo e senza affettazione, pareva trovarsi nel suo normale equilibrio e contemplare con disprezzo le insidie dell'ingiustizia e della malvagità umana, p. 128.

Il popolo, in generale, si mantenne in quel silenzio che è il risultato delle grandi passioni compresse; ma i soldati, sedotti da lusinghe di ogni sorta, mostrarono alla fine una specie di furore e considerarono come titolo di gloria l'orrendo delitto di cui si macchiavano, p. 130.

Si accordò al re un rinvio di tre giorni; egli trascorse questo tempo tranquillamente, e ne impiegò una gran parte nella lettura e in esercizi di pietà; gli fu permesso di vedere la propria famiglia, che ricevette da lui eccellenti consigli e grandi segni di tenerezza, p, 130. Dormi quietamente, come sempre, durante le notti che precedettero il suo supplizio. Il mattino del giorno fatale, si alzò di buon'ora e dedicò cure particolari al proprio abbigliamento, p. 131. Un sacerdote, che possedeva quello stesso carattere dolce e quelle solide virtù che distinguevano il re, l'assistette nei suoi ultimi momenti, p. 132.

Il patibolo fu collocato, ad arte, di fronte al palazzo, per mostrare nel modo più impressionante la vittoria conseguita dalla giustizia del popolo sulla maestà reale. Quando il re fu salito sul patibolo, lo trovò circondato da una forza armata cosi numerosa che non poté sperare di essere inteso dal popolo, di modo che fu costretto a rivolgere le sue ultime parole al piccolo numero di persone che si trovavano presso di lui. Perdonò i suoi nemici; non accusò nessuno; fece voti per il suo popolo. Sire, gli disse il prelato che lo assisteva, ancora un passo! È difficile, ma è breve, e deve condurvi in ciclo. Sto per cambiare, rispose il re, una corona effimera con una corona incorruttibile e con una felicità inalterabile. Un solo colpo separò la testa dal corpo. Il boia la mostrò al popolo, tutta grondante di sangue, gridando ad alta voce: Ecco la testa di un traditore! pp. 132 e 133.

Questo principe meritò piuttosto il titolo di buono che quello di grande. Qualche volta danneggiò gli affari dello Stato dando ascolto, a sproposito, ai consigli di persone di una capacità inferiore alla sua. Egli era più adatto a guidare un governo regolare e pacifico che a eludere o a respingere gli assalti di un'assemblea popolare, p. 136; ma, se non ebbe il coraggio di agire, ebbe sempre quello di soffrire. Nacque, per sua disgrazia, in tempi difficili, e, se non ebbe sufficiente abilità per sottrarsi a una situazione cosi imbarazzante, è facile scusarlo, poiché anche dopo l'avvenimento, quando è di solito agevole scorgere tutti i suoi errori, resta ancora un gran problema sapere che cosa avrebbe dovuto fare, p. 137. Esposto senza aiuti all'urto delle più odiose e più implacabili passioni, non gli fu mai possibile commettere il minimo errore senza attirare su di sé le conseguenze più fatali; situazione la cui difficoltà supera le forze del più grande ingegno, p. 137.

Si è voluto spargere dubbi sulla sua buona fede; ma l'esame più scrupoloso della sua condotta, che è oggi perfettamente nota, confuta pienamente questa accusa; anzi, se si considerano le circostanze estremamente delicate in cui si trovò impigliato, se si confronta la sua condotta alle sue dichiarazioni, si sarà costretti ad ammettere che l'onore e l'onestà formavano la parte saliente del suo carattere, p. 137.

La morte del re coronò la distruzione della monarchia. Essa fu abolita da un apposito decreto del corpo legislativo. Venne inciso un sigillo nazionale, con su scritto: ANNO PRIMO DELLA LIBERTÀ. Tutte le forme cambiarono, e il nome del re scomparve da ogni luogo per lasciare il posto a quello dei rappresentanti del popolo, p. 142. Il Banco del re sì chiamò Banco nazionale. La statua del re eretta alla Borsa fu rovesciata, e vennero incise queste parole sul piedistallo; EXIIT TYRANNUS REGUM ULTIMUS, p. 143.

Morendo, Carlo lasciò ai suoi popoli un'immagine di sé in questo scritto famoso, capolavoro d'eleganza, di semplicità e di candore. Quest'opera, da cui non traspare che la pietà, la dolcezza e l'umanità, fece sugli animi una impressione profonda. Molti sono giunti perfino a credere che ad essa si dovesse la restaurazione della monarchia, p. 146.

È raro che il popolo guadagni qualcosa nelle rivoluzioni che cambiano la forma dei governi, perché la nuova istituzione, necessariamente gelosa e diffidente, ha bisogno, per sostenersi, di una maggiore quantità di difese e di severità che l'antica, p. 100.

Mai la verità di tale osservazione si era fatta sentire più vivamente che in questa occasione. Le proteste contro alcuni abusi nell'amministrazione della giustizia e delle finanze avevano sollevato il popolo; e, come premio per la vittoria che esso ottenne sulla monarchia, si trovò caricato di una quantità di imposte fino allora sconosciute. A mala pena il governo si degnava di mostrare un'ombra di giustizia e di libertà. Tutte le cariche vennero affidate alla più abietta plebaglia, che si trovava cosi elevata al di sopra di tutto quanto essa aveva fino allora rispettato. Alcuni ipocriti, dietro la maschera della religione, si abbandonavano ad ingiustizie di ogni genere, p. 100. Esigevano prestiti forzosi ed esorbitanti da tutti coloro che dichiaravano sospetti.

L'Inghilterra non aveva mai visto un governo cosi duro e cosi arbitrario come quello di questi patroni della libertà, pp. 112, 113.

Il primo atto del Lungo parlamento era stato un giuramento col quale dichiarava che non poteva essere sciolto, p. 181.

La confusione generale che seguì alla morte del re non dipendeva solo dalla distruzione degli antichi poteri, ma anche dallo spirito di innovazione, che era la malattia del giorno. Ognuno voleva fare la sua repubblica; ognuno aveva i suoi progetti che voleva fare adottare ai suoi concittadini con la forza o con la persuasione: ma questi progetti altro non erano che chimere senza fondamento nell'esperienza, e si raccomandavano alla moltitudine solo per il gergo alla moda e per l'eloquenza plebea, p. 147.

I livellatori respingevano ogni tipo di dipendenza e di subordinazione (4). Una setta attendeva il regno millenario (5); gli antinomicini sostenevano che i comandamenti della morale e della legge naturale erano sospesi. Un partito numeroso predicava contro le decime e gli abusi del sacerdozio; costoro pretendevano che le Stato non proteggesse ne finanziasse alcun culto, lasciando a ciascuno la libertà di pagare quello che meglio gli convenisse. Del resto, tutte le religioni erano tollerate, eccetto la cattolica. Un altro partito lanciava invettive contro la giurisprudenza del paese e contro i maestri che l'insegnavano; e col pretesto di semplificare l'amministrazione della giustizia, proponeva di abbattere tutto il sistema della legislazione inglese, perché troppo legato al governo monarchico, p. 148. I repubblicani ardenti abolirono i nomi di battesimo, per sostituirli con nomi stravaganti, affini alle spirito della rivoluzione, p. 242. Decisero che il matrimonio, non essendo altro che un semplice contratto, doveva essere celebrate davanti ai magistrati civili, p. 242. Infine, ed è una tradizione in Inghilterra, spinsero il fanatismo fino al punto di sopprimere la parola regno nell'orazione domenicale, dicendo, Venga la tua repubblica. Quanto all'idea di una propaganda ad imitazione di quella di Roma, essa appartiene a Cromwell, p. 285.

I repubblicani meno fanatici si ponevano, anch'essi, al di sopra di tutte le leggi, di tutte le promesse, di tutti i giuramenti.

Tutti i legami sociali venivano allentati, e le più pericolose passioni si avvelenavano ulteriormente, appoggiandosi su teorie ancor più antisociali, p. 148.

I monarchici, privati delle loro proprietà e cacciati da tutti gli impieghi, guardavano con orrore i loro ignobili nemici che li schiacciavano col loro potere; essi conservavano, per principio e per sentimento, il più tenero affetto verso la famiglia dello sventurato sovrano, di cui non cessavano di onorare la memoria e di deplorare la tragica fine.

Da un'altra parte, i presbiteriani, fondatori della repubblica, la cui influenza aveva contribuito a che si affermassero le armi del Lungo parlamento, erano sdegnati nel vedere che il potere sfuggiva dalle loro mani e che, per il tradimento o per la superiore abilità dei loro compagni, essi perdevano il frutto degli sforzi passati. Questo malcontento li spingeva verso il partito realista, senza però ancora determinarli ad una decisione: restavano loro grandi pregiudizi da vincere; dovevano passare sopra molti timori, sopra molte gelosie, prima di potersi occupare sinceramente della restaurazione di una famiglia che avevano così crudelmente offeso.

Dopo avere assassinato il loro re con tante apparenti forme di giustizia e di solennità, ma in realtà con tanta violenza e perfino tanta rabbia, questi uomini pensarono di darsi una forma regolare di governo: istituirono un grande Comitato o Consiglio di Stato cui spettava il potere esecutivo. Questo Consiglio comandava alle forze di terra e di mare; riceveva tutte le petizioni, faceva eseguire le leggi e preparava tutti gli affari che dovevano essere sottoposti al parlamento, pp. 150, 151. L'amministrazione era divisa fra numerosi comitati che si erano impadroniti di tutto, p. 134, e non rendevano mai conto di nulla, pp. 166, 167.

Benché gli usurpatori del potere, per il loro carattere e per la natura degli strumenti che usavano, fossero molto più adatti alle imprese vigorose che alle meditazioni legislative (p. 209), tuttavia l'Assemblea aveva l'aria di non occuparsi che della legislazione del paese. A sentir lei, lavorava a un nuovo progetto di rappresentanza, ed appena avesse terminato la costituzione, non avrebbe tardato a restituire al popolo il potere di cui esso era la fonte, p. 151,

Nel frattempo, i rappresentanti del popolo credettero opportuno estendere le leggi sull'alto tradimento molto al di là dei limiti fissati dall'antico governo. Semplici discorsi, o anche solo intenzioni, che pure non si fossero manifestate' con alcun atto esteriore, presero il nome di cospirazione. Affermare che il governo in carica non era legittimo, sostenere che l'Assemblea dei rappresentanti o il Comitato esercitavano un potere tirannico o illegale, cercare di abbattere la loro autorità, oppure eccitare contro di loro qualche movimento sedizioso, equivaleva a rendersi colpevoli di alto tradimento. Quel potere di imprigionare, di cui il re era stato privato, si credette necessario accordarlo al Comitato, e tutte le prigioni d'Inghilterra vennero riempite di uomini che le passioni del partito dominante presentavano come sospetti, p. 163

Era un gran diletto per i nuovi padroni spogliare i signori del nome della loro terra; e quando il valoroso Montiose fu giustiziato in Scozia, i suoi giudici non mancarono di chiamarlo James Graham, p. 180.

Oltre alle imposizioni fino allora sconosciute e applicate severamente con continuità, il popolo doveva pagare una tassa di novantamila lire sterline al mese per il mantenimento dell'esercito. Le somme immense che gli usurpatori del potere ricavavano dai beni della corona, del clero e dei realisti non bastavano alle spese enormi, o, come si diceva, alle depredazioni del parlamento e delle sue creature, pp. 163, 164.

I palazzi del re furono saccheggiati e i suoi mobili venduti all'incanto; i suoi quadri, ceduti a basso prezzo, arricchirono tutte le collezioni d'Europa; alcuni portafogli che erano costati 50.001 ghinee furono dati via per 300, p. 388.

I pretesi rappresentanti del popolo non avevano, in fondo, nessuna popolarità. Incapaci di pensieri elevati e di grandi concezioni, a nulla erano meno adatti che al ruolo di legislatori, Egoisti e ipocriti, procedevano cosi lentamente nella grand'opera della costituzione, che la nazione cominciò a temere che la loro intenzione fosse quella di perpetuarsi nei loro posti, e di dividere il potere fra sessanta o settanta persone che si facevano chiamare i rappresentanti della repubblica inglese. Mentre si vantavano di ristabilire la nazione nei suoi diritti, violavano i più preziosi di quei diritti di cui essa aveva goduto da tempi immemorabili.

Essi non osavano affidare i loro processi per cospirazione ai tribunali regolari, che avrebbero mal servito i loro disegni: istituirono quindi un tribunale straordinario, che riceveva gli atti di accusa prodotti dal Comitato, pp, 206, 207. Questo tribunale era composto di uomini devoti al partito dominante, anonimi, senza carattere, e capaci di sacrificare tutto alla propria sicurezza e alla propria ambizione.

Quanto ai realisti presi con le armi in mano, un consiglio militare li mandava a morte, p, 207.

La fazione che si era impadronita del potere disponeva di un forte esercito; le era sufficiente, malgrado essa non costituisse che una piccolissima minoranza della nazione, p. 149. Tale è la forza di un qualsiasi governo una volta istituito, che questa repubblica benché fondata sull'usurpazione più iniqua e più contraria agli interessi del popolo, aveva tuttavia il potere di arruolare, in tutte le province, soldati nazionali che venivano ad aggiungersi alle truppe di linea per combattere contro il partito del re, p. 199.

A Newbury (nel 1643) la guardia nazionale di Londra si batté altrettanto bene che le vecchie bande. Gli ufficiali predicavano ai loro soldati, e i nuovi repubblicani marciavano alla battaglia cantando inni fanatici, p. 13.

Un esercito numeroso aveva il duplice effetto di maniere all'interno un'autorità dispotica e di intimidire le nazioni straniere.

Le stesse mani riunivano la forza delle armi e il potere finanziario. I dissensi civili avevano esaltato il genio militare della nazione. Il rivolgimento universale prodotto dalla rivoluzione permetteva a uomini nati nelle infime classi della società di elevarsi a posti di comando militare degni del loro coraggio e del loro talento, ma da cui l'oscurità dei natali li avrebbe per sempre tenuti lontani, in un diverso ordine di cose, p. 209. Si vide un uomo di cinquant'anni (Blake) passare immediatamente dal servizio di terra a quello di mare e qui distinguersi nel modo più brillante, p. 210. In mezzo allo spettacolo, a tratti ridicolo, a tratti deplorevole, che offriva il governo civile, la forza militare era guidata con molto vigore, unità e intelligenza, e mai l'Inghilterra si era mostrata cosi temibile agli occhi delle potenze straniere, p. 248.

Un governo interamente militare e dispotico è quasi certo di cadere, dopo qualche tempo, in uno stato di languore e di impotenza; ma quando esso succede immediatamente a un governo legittimo, può nei primi momenti dispiegare una forza sorprendente, poiché impiega con violenza i mezzi accumulati dalla dolcezza, p. 262. È questo lo spettacolo che presentò allora l'Inghilterra. Il carattere mite e pacifico dei suoi ultimi due re, le difficoltà finanziarie e la perfetta sicurezza in cui si trovava nei riguardi dei suoi vicini, l'avevano resa disattenta nella politica estera; di modo che l'Inghilterra aveva, in qualche modo, perduto il rango che le apparteneva nel sistema generale dell'Europa; ma il governo repubblicano glielo rese immediatamente, p. 263. Benché la rivoluzione fosse costata fiumi di sangue all'Inghilterra, mai essa apparve cosi formidabile ai suoi vicini, p. 209, e a tutte le nazioni straniere, p. 248. Mai, durante i regni dei più giusti e dei più valorosi dei suoi re, il suo peso sulla bilancia politica fu percepito cosi vivamente come sotto il dominio dei più violenti e dei più odiosi usurpatori, p. 263.

Il parlamento, inorgoglito dai suoi successi, pensava che nulla potesse resistere alla forza delle sue armi; trattava con la più grande alterigia le potenze di second'ordine; e per offese reali o presunte, dichiarava la guerra oppure esigeva solenni soddisfazioni, p. 221.

Questo famoso parlamento, che aveva riempito l'Europa dell'eco dei suoi delitti e dei suoi successi, si vide tuttavia incatenato da un solo uomo, p, 128; e le nazioni straniere non riuscivano a spiegarsi come mai un popolo cosi turbolento, cosi impetuoso che, per riconquistare quel che chiamava i suoi diritti usurpati, aveva detronizzato e assassinato un eccellente sovrano, discendente da una antica stirpe di re; come mai, dicevo, questo popolo fosse diventato schiavo di un uomo fino a poco prima ignoto alla nazione, e il cui nome veniva appena pronunciato nella sfera oscura nella quale era nato, p. 236 (6).

Ma questa stessa tirannia che opprimeva l'Inghilterra al suo interno le dava all'esterno una considerazione di cui essa non aveva più goduto dopo il penultimo regno. Il popolo inglese sembrava nobilitarsi per i suoi successi esterni nella stessa misura in cui si avviliva nel proprio paese per il giogo che vi doveva sopportare; e la vanità nazionale, lusingata dal ruolo importante che l'Inghilterra giocava all'esterno, soffriva con meno impazienza le crudeltà e gli oltraggi che si vedeva costretta ad inghiottire, pp. 280, 281.

Vale ora la pena gettare uno sguardo sullo stato generale dell'Europa in quell'epoca e considerare le relazioni dell'Inghilterra e la sua condotta verso le potenze vicine, p. 262.

Richelieu era allora primo ministro di Francia. Fu lui, attraverso i suoi emissari, che attizzò in Inghilterra il fuoco della ribellione. In seguito, quando la corte di Francia si accorse che i materiali dell'incendio erano sufficientemente combustibili e che le fiamme erano a buon punto, allora non giudicò più conveniente aizzare gli inglesi contro il loro sovrano; al contrario, essa offrì la propria mediazione fra il principe e i suoi sudditi, e tenne con la famiglia reale in esilio le relazioni diplomatiche prescritte dalla decenza, p. 264.

In sostanza, però, Carlo non trovò a Parigi alcun aiuto, e non gli furono nemmeno prodigate molte cortesie, pp. 170, 266.

Si vide la regina d'Inghilterra, figlia di Enrico IV, tenere il proprio letto a Parigi in mezzo ai suoi parenti, per la mancanza di legna da riscaldamento, p. 266.

Finalmente, il re pensò bene di lasciare la Francia, per evitare l'umiliazione di riceverne l'ordine, p. 267.

La Spagna fu la prima potenza che riconobbe la repubblica, benché la famiglia reale fosse parente di quella d'Inghilterra. Inviò un ambasciatore a Londra e ne ricevette uno dal parlamento, p. 268.

Essendo allora la Svezia al punto più alto della propria grandezza, la nuova repubblica cercò la sua alleanza e l'ottenne, p. 263.

Il re del Portogallo aveva osato chiudere i suoi porti all'ammiraglio repubblicano; ma ben presto, spaventato dalle proprie perdite e dai terribili pericoli di una lotta troppo ineguale, concesse all'orgogliosa repubblica tutti gli atti di sottomissione immaginabili, e cosi ottenne di rinnovare l'antica alleanza dell'Inghilterra col Portogallo, p. 210.

In Olanda il re era amato, tanto più che egli era imparentato con la casa di Grange, estremamente cara al popolo olandese. Si compiangeva, d'altronde, questo principe sventurato, e si aborrivano gli uccisori di suo padre. Tuttavia la presenza di Carlo, che era venuto a cercare un asilo in Olanda, metteva in imbarazzo gli Stati generali, che temevano di compromettersi con quel parlamento cosi minaccioso per la sua forza e cosi fortunato nelle sue imprese. Vi erano tanti rischi nell'offendere uomini così alteri, cosi violenti, cosi precipitosi nelle loro risoluzioni, che il governo credette necessario dare alla repubblica una prova di deferenza, e allontanò il re, p. 169.

Si vide Mazzarino impiegare tutte le risorse del suo genio astuto e intrigante per accattivarsi l'usurpatore, le cui mani grondavano ancora del sangue di un re che era parente prossimo della famiglia reale di Francia. Lo si vide scrivere a Cromwell: Mi dispiace che gli affari mi impediscano di recarmi in Inghilterra a presentare personalmente i miei rispetti al più grande uomo del mondo, p. 307.

Si vide questo medesimo Cromwell trattare da pari col re di Francia e mettere il proprio nome prima di quello di Luigi XIV sulla copia di un trattato fra le due nazioni, che fu mandata in Inghilterra, p. 268 (nota).

Infine, si vide il principe palatino accettare un impiego ridicolo e una pensione di ottomila lire sterline da quegli stessi uomini che avevano scannato suo zio, p. 263 (nota).

Tale era l'ascendente di cui la repubblica godeva nel mondo.

Nella stessa Inghilterra, vi era un gran numero di persone il cui principio era di legarsi al potere del momento e di sostenere il governo in carica, qualunque esso fosse, p. 239. Alla testa di tale sistema era l'illustre e virtuoso Blake che diceva ai suoi marinai: Il nostro dovere immutabile è di batterci per la nostra patria, senza preoccuparci in quali mani risieda il governo, p. 279.

In una situazione così ben congegnata, i realisti intrapresero solo azioni sbagliate, che si risolsero a loro danno, II governo aveva spie dappertutto, e non gli era troppo difficile sventare i progetti di un partito che si distingueva più per lo zelo e la fedeltà che per la prudenza e la discrezione, p. 259. Uno dei grandi errori dei realisti era di credere che tutti i nemici del governo fossero dalla loro parte: non vedevano che i rivoluzionari della prima ora, privati del potere da una nuova fazione, non avevano, oltre a questa, altra causa di scontento, e che essi, erano ancora meno lontani dal potere in carica che dalla monarchia, la cui restaurazione li minacciava delle più terribili vendette, p, 259.

La situazione di questi infelici, in Inghilterra, era miseranda. A Londra non si chiedeva di meglio che siffatte imprudenti cospirazioni, le quali giustificavano le più tiranniche misure di repressione, p, 260. I realisti furono imprigionati; venne confiscata la decima parte dei loro beni per indennizzare la repubblica delle spese che le costavano gli attacchi ostili dei suoi nemici. Essi potevano riscattarsi solo per mezzo di altissime somme; molti di loro furono ridotti in estrema povertà. Bastava essere sospette per venire schiacciato da tutte queste esazioni, pp. 260, 261.

Più della metà dei beni mobili e immobili, rendite e redditi del regno erano stati sequestrati. Facevano compassione la rovina e la desolazione di una gran quantità di famiglie antiche i rispettabili, distrutte per aver fatto il proprio dovere, pp. 66, 67.

La situazione del clero non era meno deplorevole; più della metà dei componenti di questo corpo erano ridotti alla mendicità, senza altra colpa che il loro attaccamento ai principi civili e religiosi, garantiti dalle leggi sotto il cui imperio essi avevano scelte la propria condizione, e per il rifiuto di prestare un giuramenti che essi avevano in orrore, p. 67.

Il re, che conosceva lo stato delle cose e degli animi, ammoniva lui stesso i realisti di tenersi tranquilli e di nascondere i loro veri sentimenti sotto la maschera repubblicana, p. 254

Quanto a sé, errava per l'Europa, cambiando asilo secondo le circostanze e consolandosi delle proprie disgrazie presenti con la speranza di un avvenire migliore, p. 152.

Ma la causa di questo sventurato monarca pareva assolutamente disperata al mondo intero, p. 341, tanto più che, per suggellare le sue disgrazie, tutti i comuni d'Inghilterra avevano appena sottoscritto, senza esitare, l'impegno solenne di mantenere la presente forma di governo, p. 325 7, I suoi amici erano stati sfortunati in tutte le imprese che avevano tentato in suo favore, ibid. Il sangue dei realisti più ardenti era colato sul patibolo altri, in gran numero, avevano perduto il loro coraggio nelle prigioni; tutti erano rovinati dalle confische, le ammende e le imposte straordinarie. Nessuno osava confessarsi realista, e questi partito sembrava cosi poco numeroso a uno sguardo superficiale, che se mai la nazione fosse stata libera di scegliere (il che non era affatto probabile), sarebbe stato assai difficile divinare quale forma di governo si sarebbe data, p. 342. Eppure, nel bel mezzo di queste sinistre apparenze, la fortuna8, con uno straordinario mutamento, spianava al re la strada del trono e lo riconduceva in pace e in trionfo al rango dei suoi antenati, p. 342.

Quando Monk cominciò a mettere in atto i suoi grandi progetti, la nazione era caduta in un'anarchia completa. Questo generale non aveva che sei mila uomini e le forze che gli si potevano opporre erano cinque volte più numerose. Sulla strada che lo portava a Londra, gli abitanti più eminenti di ogni provincia accorrevano al suo passaggio e lo pregavano di voler essere lo strumento che restituisse alla nazione la pace, la tranquillità e il godimento di quelle franchigie che appartenevano agli inglesi per diritto di nascita e di cui essi erano stati cosi a lungo privati a causa di sventurate circostanze, p. 352. Soprattutto ci si aspettava da lui la convocazione legale di un nuovo parlamento, p. 353.

Gli eccessi della tirannia e quelli dell'anarchia, il ricordo del passato, il timore dell'avvenire, l'indignazione contro le prevaricazioni del potere militare, tutti questi sentimenti uniti insieme avevano riavvicinato i partiti e formato una tacita coalizione fra i realisti e i presbiteriani. Questi ultimi riconoscevano di essere andati troppo oltre, e le lezioni dell'esperienza li ricongiungevano finalmente al resto dell'Inghilterra nel desiderio di un re, unico rimedio a tanti mali, pp. 333, 353 (9).

Monk però non aveva ancora intenzione di rispondere al voto dei suoi concittadini, p. 353. Rimarrà anche sempre un mistero in quale momento cominciasse in buona fede a desiderare un re, p. 345. Giunto a Londra, nel suo discorso al parlamento si felicitò di essere stato scelto dalla Provvidenza per restaurare quella istituzione, p. 354. Aggiunse che spettava al parlamento in carica pronunciarsi sull'opportunità di una nuova convocazione e che, se esso si fosse arreso ai voti della nazione su questo punto importante, sarebbe bastato, per la pubblica sicurezza, escludere dalla nuova assemblea i fanatici e i realisti, due specie di uomini fatti per distruggere il governo o la libertà, p. 355.

Egli rese perfino servigi al Lungo parlamento, usando le maniere forti, p. 356. Ma appena si fu finalmente deciso per una nuova convocazione, tutto il regno esultò di gioia. I realisti e i presbiteriani si abbracciavano e si riunivano per maledire i loro tiranni, p. 358. Non restavano, a costoro, che alcuni uomini disperati. p. 353 (10).

I repubblicani più risoluti, e soprattutto i giudici del re, cercarono di salvarsi in tutti i modi. Direttamente, o attraverso i loro emissari, facevano sapere ai soldati che tutti gli atti di valore che li avevano resi illustri agli occhi del parlamento sarebbero apparsi come dei delitti agli occhi dei monarchici, le cui vendette non avrebbero avuto limiti; che non bisognava prestare fede alle promesse di oblio e di clemenza; che l'esecuzione del re, quella di tanti nobili e la detenzione di tutti gli altri erano, a giudizio dei realisti, dei crimini imperdonabili, p. 366.

Ma l'accordo di tutti i partiti formava uno di quei torrenti popolari che nulla può arrestare. Persino i fanatici erano disarmati, e, sospesi fra la disperazione e lo stupore, lasciavano fare quel che non potevano impedire, p. 363. La nazione voleva, con ardore infinito, quantunque in silenzio, la restaurazione della monarchia, ibid. (11). I repubblicani, che in quel momento si trovavano ancora quasi interamente padroni del regno (12), vollero allora parlare di condizioni e riesumarono antiche proposte; ma l'opinione pubblica disapprovava queste concessioni fatte ai loro sovrani. La sola idea di trattative e di dilazioni atterriva uomini spossati da tante sofferenze. D'altronde, l'entusiasmo della libertà portato all'eccesso aveva fatto posto, per un moto naturale, a un generale spirito di lealtà e di subordinazione. Dopo le concessioni fatte alla nazione dal defunto re, la costituzione inglese pareva sufficientemente consolidata, p. 364.

Il parlamento, il cui mandato era sul punto di spirare, aveva fatto una legge per impedire al popolo di eleggere determinate persone alla successiva assemblea, p. 365, giacché sentiva bene che, in quelle circostanze, convocare liberamente la nazione equivaleva a richiamare il re, p. 361. Ma il popolo si beffò della legge e nominò i deputati che preferiva, p. 365.

Tale era la disposizione generale degli animi, quando...

Coetera DESIDERANTUR.

(Si dovrebbe continuare...)

Post scriptum (1)

 

La nuova edizione di quest'opera (2) era quasi terminata, quando alcuni francesi, degni della massima stima, mi hanno assicurato che il libro Développement des vrais principes, ecc, che ho citato nel capitolo VIII, contiene affermazioni che il re non approva affatto.

"I magistrati, essi dicono, autori del libro in questione, lasciano ai nostri Stati generali soltanto la facoltà di esprimere delle doléances e attribuiscono ai parlamenti il diritto esecutivo di verificare le leggi, perfino quelle che sono state emanate su richiesta degli Stati; vale a dire che essi elevano la magistratura al di sopra della nazione".

Confesso che non mi sono accorto per nulla di questo mostruoso errore nell'opera dei magistrati francesi (che non ho più sotto mano); esso mi pare perfino escluso da alcuni passi di questo testo, citati alle pagine 110 e 111 del mio; e si è potuto vedere, nella nota di pagina 116 (3), che il libro di cui si tratta ha suscitato obiezioni di tutt'altro genere.

Se, come mi si assicura, gli autori si sono allontanati dai princìpi autentici a proposito dei diritti legittimi della nazione francese, non mi stupirei che il loro lavoro, pieno d'altronde di cose eccellenti, abbia allarmato il re, poiché perfino le persone che non hanno l'onore di conoscerlo sanno, grazie a un'infinità di testimonianze inconfutabili, che questi sacri diritti non hanno un partigiano più leale di lui e che non si potrebbe offendere maggiormente la sua sensibilità che attribuendogli delle opinioni opposte.

Ripeto che non ho letto il libro Développement, ecc. in maniera sistematica. Separato dai miei libri da lungo tempo, obbligato ad utilizzare non quelli che cercavo, ma quelli che trovavo, ridotto perfino a citare spesso a memoria oppure sulla base di appunti presi molto tempo prima, avevo bisogno di una raccolta di quel genere per riordinare le mie idee. Quel libro mi fu raccomandato (devo dirlo) dal male che ne dicevano i nemici della monarchia; ma se contiene degli errori che mi sono sfuggiti, li sconfesso sinceramente. Estraneo a tutti i sistemi, a tutti i partiti, a tutti gli odi; per carattere, per convinzione, per posizione, sarò veramente molto soddisfatto di ogni lettore che mi leggerà con intenzioni altrettanto pure di quelle che mi hanno dettato quest'opera.

Se volessi, del resto, esaminare la natura dei diversi poteri di cui si compone l'antica costituzione francese; se volessi risalire alla fonte degli equivoci e presentare idee chiare sull'essenza, le funzioni, i diritti, i danni e i torti dei parlamenti, uscirei dai limiti di un Post scriptum, perfino da quelli di quest'opera, e farei del resto una cosa perfettamente inutile. Se la nazione francese ritornerà al suo re, come ogni amico dell'ordine deve desiderare, e se essa avrà delle assemblee nazionali regolari, i poteri, qualunque essi siano, verranno naturalmente a prendere il loro posto, senza contrasti e senza scosse. In ogni caso, le pretese esagerate dei parlamenti, le discussioni e le polemiche che esse hanno provocato, mi sembrano appartenere interamente al passato.

 

NOTE

1 Cito dall'edizione inglese di Basilea, 12 volumi in 8°, presso Legrand, 1789 [n.d.a. Il titolo di questo capitolo, chiaramente anacronistico, mira a richiamare l'attenzione del lettore sulle analogie fra la rivoluzione francese e quella inglese del 1648. L'epigrafe eadem mutata resurgo conferma una tale intenzione. Tutte le edizioni pubblicate durante la vita dell'autore recano questo titolo, paradossale. L'edizione Vitte delle Oeuvres complètes ha corretto "rivoluzione francese " in " rivoluzione inglese ". È una scelta contestabile: tradisce le intenzioni dell'autore e spezza ogni legame del capitolo con quelli precedenti].

2 Questa era anche l'opinione di Luigi XVI. Vedi il suo elogio storico [n.d.a].

3 Ricordo di aver letto sul giornale di Condorcet un brano sul buonappetito del re al suo ritorno da Varennes [n.d.a.].

4 Vogliamo un governo... in cui le distinzioni non sorgano che dalla stessa eguaglianza; in cui il cittadino sia sottoposto al magistrato, il magistrato al popolo, e il popolo alla giustizia. Robespierre. Vedi il Moniteur del 7 febbraio 1794 [n.d.a].

5 Questa analogia non va sottovalutata [n.d.a.].

6 Gli uomini che regolavano allora gli affari dello Stato erano così estranei all'arte della legislazione, che li si vide fabbricare in quattro giorni l'atto costituzionale che pose Cromwell alla testa della repubblica. Ibid., p. 245. A questo proposito possiamo ricordare quella costituzione del 1795, fatta m qualche giorno da qualche giovane, come si diceva a Parigi dopo la caduta di quelli che ci lavorarono [n.d.a.].

7 Nel 1659, un anno prima della restaurazione!" Mi inchino dinanzi alla volontà del popolo [n.d.a.].

8 Senza dubbio! [n.d.a.].

9 Nel 1659, quattro anni prima, secondo questo stesso storico, i realisti si ingannavano di molto, immaginando che i nemici del governo fossero amici del re [n.d.a.].

10 Nel 1660. Ma nel 1655 essi temevano assai di più la restaurazione della monarchia di quanto non odiassero il governo in carica, p. 209 [n.d.a.].

11 Ma l'anno prima IL POPOLO firmava, senza esitare, l'impegno a mantenere la repubblica. Bastano dunque 365 giorni per trasformare nel cuore di questo corpo sovrano l'odio o l'indifferenza in infinito ardore [n. d. a.]

12 Notate bene! [n.d.a.].

13 Questo Post scriptum fu aggiunto da Maistre, su richiesta di Luigi XVIII, alla seconda edizione delle Cnnsidérations (settembre 1797). Restò in tutte le edizioni successive.

14 E’ la terza in cinque mesi, considerando anche l'edizione francese contraffatta che è appena apparsa. Questa ha ricopiato fedelmente gli innumerevoli errori della prima e ne ha aggiunti degli altri [n.d.a.].

15 In questo testo.