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La Ratio studiorum dei gesuiti:
l'apogeo dell'educazione occidentale

 

La prima evangelizzazione del continente europeo ha come caratteristica non soltanto l’annuncio della Rivelazione cristiana ma anche la sua inculturazione, cioè la progressiva cristianizzazione del diritto romano, della parte migliore della filosofia greca, della matematica araba, della religiosità celtica e dello spirito guerriero dei popoli germanici, per citare solo le entità più macroscopiche (1). Così, al naturale bisogno di un’unità politica e spirituale dei diversi popoli occidentali, il cristianesimo risponde proponendo anche una straordinaria sintesi culturale - orientata innanzi tutto all’unità del sapere ed a far convergere le diverse conoscenze in una unificante visione globale del reale (2) - dalla quale nasce e si sviluppa la civiltà cristiana romano-germanica.

In questa prospettiva, la Cristianità occidentale può essere vista anche come il frutto di una plurisecolare opera educativa, volta a tramandare quanto di più consono alla natura umana avevano prodotto le precedenti culture dei popoli mediterranei e dell’Europa dall’Atlantico agli Urali (3).

Come insegna Giovanni Paolo II, contro tale unità si scatena la "rivoluzione culturale del Rinascimento, la cui radice ultima consisteva nella sostituzione dell’idea di Dio con quella dell’uomo come misura e luce della creazione" (4). Se - continua il Pontefice - "la crisi messa in moto dall’Umanesimo [...] raggiunse piena consapevolezza culturale nell’epoca dell’Illuminismo" (5), a detta di Francisco Elias de Tejada y Spinola (1917-1978), la "frattura religiosa del protestantesimo luterano" costituisce il primo di cinque momenti che, passando per "la frattura etica con Macchiavelli, la frattura politica per mano di Bodin, la frattura giuridica in Grozio e in Hobbes e la definitiva frattura del corpo mistico cristiano con le disposizioni della pace di Westfalia" (6), dal 1517 al 1648 caratterizzano la rottura dell’unità culturale d’Occidente.

Dal punto di vista della storia dell’educazione, tale frattura si configura come la drammatica interruzione di un processo di trasmissione culturale (7) - iniziato de facto con la costituzione della prima famiglia -, teso a promuovere la formazione della persona umana in vista sia del suo fine ultimo che del bene delle varie comunità di cui essa é partecipe, ed in cui divenuta adulta dovrà svolgere precisi compiti (8).

Del resto, già dall’Appello ai magistrati e ai consiglieri di tutte le città della Germania, lanciato da Martin Lutero (1483-1546) nel 1524 (9), dalla Instructio visitorum (10) indirizzata nel 1528 da Filippo Schwarzerd detto Melantone (1497-1560) all’Elettore Giovanni Federico di Sassonia (che regna dal 1525 al 1554), e ancor più durante il regno di Elisabetta I (11) d’Inghilterra (1533-1603), le scuole e le Università divengono instrumentum regni, ossia mezzo con cui il potere politico, ormai arbitro indiscusso di ogni norma religiosa, morale e giuridica, tende a consolidare la propria posizione.

La reazione dell’Occidente - la cosiddetta Contro-Riforma - procede invece da una logica rilevabile già dal metodo di orazione mentale diffuso da sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) che, al dire del Pourrat, ebbe anche lo scopo di "proteggere la pietà nel momento in cui la società cessò di essere cristiana" (12). La trasposizione di questo principio in campo educativo implica che, col venire meno dell’educazione impartita da una società culturalmente omogenea - e, anzi, con la diffusione di false culture disgregatrici della Civiltà -, le famiglie e le società debbano dar vita a strutture educative sussidiarie, con un’organizzazione degli studi e dei programmi educativi in cui la sintesi culturale operata dal cristianesimo possa continuare ad essere agevolmente trasmessa ai loro discendenti. E sarà proprio dall’Ordine religioso fondato dal Loyola che nascerà uno dei mezzi più efficaci per provvedere a tale continuità culturale (13).

Nel 1546, dopo appena sei anni dall’approvazione pontificia della Compagnia di Gesù, questa apre la sua prima scuola pubblica a Gandia, sulla costa mediterranea della Spagna. Seguiranno quasi subito i collegi, voluti insistentemente dalle famiglie proprio per supplire al venir meno della funzione educativa della società (14).

Sant’Ignazio intuisce subito la necessità di regolare - possibilmente in modo uniforme - la formazione dei professori, la dottrina insegnata, i metodi e i sussidi didattici e l’organizzazione delle scuole. Tuttavia, se per le Costituzioni dell’Ordine - che pur contengono importanti indicazioni pedagogiche nella loro quarta parte -, l’approvazione é del 1558, la ratifica definitiva della Ratio atque Institutio studiorum Societatis Jesu, promessa dal Loyola sin dalla prima fondazione, avviene solo nel 1599. Infatti, avendo di mira anche la formazione dei gesuiti stessi, lo sviluppo di quello che verrà indicato - persino da parte avversa - come il sistema pedagogico più avanzato di qualsiasi altro dell’epoca, é il risultato dell’opera dei migliori talenti dell’Ordine, dello studio degli ordinamenti scolastici di tutte le più celebri istituzioni scolastiche dell’epoca e dell’uso ad experimentum per mezzo secolo di almeno otto precedenti bozze.

Nel corso dei primi due secoli di vita della Ratio, le varie scuole dei Gesuiti - da quelle per fanciulli alle Università - non fanno che crescere con rapidità vertiginosa; valga come esempio la sola Germania, che nel 1616 conta su ben 372 sedi con 13.112 studenti: un numero quasi inverosimile per l’epoca. I collegi verranno via via disposti strategicamente in tutta Europa e nell’America coloniale; accogliendo persone anche di umili origini purché dotate d’ingegno, già dalla fine del Cinquecento forniscono al mondo occidentale una nuova élite culturale, che va a ricoprire i più importanti incarichi nel mondo intellettuale, scientifico e delle corti europee. Se si considera poi che essa verrà più o meno imitata da numerose altre congregazioni ed ordini religiosi, si può dire che sua influenza é davvero incalcolabile.

La Ratio é una raccolta di regole - sia comuni che specifiche - per i professori di ogni ordine e grado, i loro aiutanti, gli studenti interni ed esterni; esse riguardano le mete da raggiungere e i programmi d’insegnamento, le tecniche di lezione, discussione, esercizio e ripetizione, gli esami scritti e i premi. La sua rigidità é solo apparente, perché sin dalla prima approvazione vengono fatte "concessioni" particolari per diverse regioni, che col tempo saranno sempre più numerose: l’adattabilità é del resto prevista nel testo stesso.

Volendo indicare alcune delle caratteristiche che più divergono dalla moderna didattica - l'attualità delle quali può essere opinabile - si possono evidenziare (15): lo studiare una materia per volta, al fine di conseguire una maggiore e profonda assimilazione dei contenuti, che implica l’abbandono dell’attuale "enciclopedismo" che non approfondisce e non aiuta a ricordare quanto appreso; l’importanza data allo sviluppo della memoria con gli esercizi di ripetizione ed emulazione, contraria alla corrente cultura dell’immagine che può favorire l’assenza di ogni sforzo mnemonico; lo scarso tempo lasciato alle vacanze estive e le invece frequentissime - perché legate alle feste liturgiche - interruzioni infrasettimanali (16), che evitano i rischi di dimenticanze dovute ai lunghi periodi estivi o alla "saturazione" invernale; lo spirito di competizione e di emulazione tra i discenti, favorito specialmente da gare periodiche e relativi premi, le quali si oppongono sia alla passività che alla "teoria dell'interesse" nella ricezione dell’insegnamento.

Tra i principi che conservano grande attualità si devono segnalare: l’unità culturale che guida i programmi di tutto l’ordinamento - segno del primato dato alla persona umana rispetto alle mutevoli situazioni contingenti -, che si manifesta con la cura umana e spirituale dello studente e prevede la possibilità di dialogare al di fuori dell’orario scolastico e, una volta terminati gli studi, con la possibilità di ingresso nelle congregazioni mariane (17); la non definizione del tempo occorrente per completare il programma di una classe, che - grazie anche alle esercitazioni sia obbligatorie che libere degli alunni - non rallenta i più dotati e permette comunque ai volonterosi di proseguire, comportando la naturale e rigorosa selezione dei discenti e precludendo ogni forma di massificazione (18); la richiesta - che il sistema dell’unico docente per classe impone - di uno straordinario e faticoso impegno ai docenti, per preparare, accompagnare e correggere le molteplici ed assidue esercitazioni degli alunni.

Sebbene per la Ratio la meta immediata sia l'apprendere il latino fino a parlarlo elegantemente e scriverlo correntemente (19), le lingue non sono il suo fine, ma solo il mezzo a quel tempo più adatto per la formazione e lo sviluppo della persona e la trasmissione dell’unità del sapere. Questi due fini intermedi spiegano la differenza di atteggiamento dei gesuiti nei confronti della cultura classica, totalmente contrario a quello di gran parte degli umanisti rinascimentali, che la usano al solo fine di infangare la cultura della Cristianità occidentale (20): i classici non vengono accettati per il solo fatto di essere tali, ma perché portatori di una parte dei valori perenni (21). Un pedagogo marxista contemporaneo ha involontariamente riconosciuto - pur col linguaggio tipico della sua ideologia - il valore della concezione educativa soggiacente la Ratio con lo scrivere: "Questa concezione considera l’educazione come un’azione di assoggettamento dei giovani alla chiesa ed alla tradizione: alla Chiesa, in quanto depositaria dei valori assoluti, alla tradizione in quanto custode dei valori storici. Già i Gesuiti fecero il tentivo di eliminare l’antica contraddizione tra l’interpretazione ascetico-teologica della vita umana e la difesa umanistica del classicismo. Il compromesso gesuitico priva l’antichità della sua forza razionalistica e materialistica, mentre spoglia l’educazione religiosa di quanto nella storia del cristianesimo era tradizione mistica e radicale" (22). L’opera di attenta selezione dei classici - che non risparmia neppure Aristotele -, l’adeguamento alle nuove conoscenze scientifiche e, in genere, l’apertura alle novità dottrinali, hanno quindi come unico criterio la formazione di una personalità più completa ed umana.

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La Ratio viene ritoccata dalla VII congregazione generale del 1616, e da allora il testo rimane sostanzialmente invariato. Nel corso del XVIII secolo la Compagnia di Gesù viene costantemente attaccata dalla massoneria e dagli illuministi che, servendosi della pressione fatta dai Governi d’Europa, giungono ad ottenere la sua soppressione nel 1773. Lo smantellamento della vasta rete di istituti che garantivano una capillare continuità con la cultura della Cristianità (23), é certamente una delle cause prossime dell’affermarsi della Rivoluzione francese.

Al ristabilimento dei gesuiti nel 1814, il testo viene aggiornato sotto la guida del nuovo Preposito Generale Joannes Philippe Roothan (1785-1853): vede così la luce la Ratio del 1832 che, a seguito del rivolgimento epocale sopravvenuto e quindi dell’obbligo imposto dagli Stati moderni di adeguarsi alle norme e ai programmi scolastici che man mano vengono adottati, viene ormai usata principalmente per gli studi ecclesiastici. Altre lievi modifiche vengono apportate dai Prepositi Generali nel corso dei successivi decenni, per giungere alla progressiva e definitiva dismissione dei giorni nostri.

Sebbene oggi gli ordinamenti, le forme e in parte anche i contenuti della Ratio studiorum, siano improponibili se presi alla lettera, la loro meditazione può tuttavia essere foriera di numerosi spunti critici verso le moderne tendenze pedagogiche. L’eredità più importante che il testo ci lascia é però costituita dall’atteggiamento pedagogico degli uomini della Contro-Riforma: gli obiettivi, i contenuti e i metodi dell’educazione dei giovani - come scrive sant’Ignazio - puntavano sempre a che "con le lettere acquistassero anche costumi degni di cristiani" (24), alla continuità del processo di trasmissione di quella visione del mondo che, sola, porta l’uomo a ben vivere e - per chi crede - a conseguire l’eterna beatitudine in Cielo.

David Botti
31 luglio 1996
festa di sant'Ignazio di Loyola

NOTE

(1) Dante Morando, La pedagogia, Morcelliana 1951, pp. 93-135; Leopold Genicot, Profilo della civiltà medievale, Vita e Pensiero, Milano 1968, pp. 19-71; e, in genere, Christopher Dawson, La nascita dell'Europa, Giulio Einaudi editore, 1959; IDEM, Il cristianesimo e al formazione della civiltà occidentale da Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997.

(2) Sul ruolo svolto dall’educazione, ad esempio, nella genesi della cristianità medioevale, cfr. Giovanni Paolo II, All’Università di Bologna, 7/6/88, nn. 1 e 2: "Ma la presente ricorrenza é per questo Ateneo un motivo di più alto prestigio in virtù del tempo e delle circostanze: essa, infatti, ci riporta agli albori del Secondo Millenio cristiano, allorché l’Europa si andava configurando nell’ormai compiuta fusione tra l’antico ceppo latino e la vitalità dei popoli germanici e slavi, sotto l’influsso decisivo e - si direbbe - catalizzante della forza spirituale del Vangelo. Proprio nello sviluppo di questo processo di amalgama e di rinnovamento, tra gli altri importanti fattori, fu determinante il contributo dato dalle Università, che andavano via via sorgendo anche sul modello della primigenia ed esemplare esperienza bolognese. Era il tempo in cui, pur in mezzo a tensioni e contrasti, emergeva potente l’esigenza di un’unità politica e spirituale dei popoli. Ad essa il cristianesimo - ormai pienamente diffuso e radicato nell’intero Continente - seppe efficacemente rispondere con la sua proposta di una verità una e unificante, con l’affermazione della dignità della ragione quale indispensabile componente dell’atto di fede, con il suo messaggio di elevazione dell’uomo, figlio e interlocutore di Dio, e di fraternità universale. Al servizio di questa stessa esigenza unitaria si posero le Università degli studi, tutte entro l’alveo di una cristianità chiaramente consapevole della sua identità, spesso addirittura istituzionalmente collegate con la Chiesa. 2. La scuola universitaria - a differenza delle scuole antiche e anche delle scuole monastiche - mira alla formazione e organizza la ricerca non più solo in ordine alla perfezione dell’individuo o alle necessità della comunità religiosa, ma si apre all’intera società, alle sue richieste, alle funzioni della nuova vita cittadina. In connessione con questo allargamento di prospettiva sociale, si avverte l’importanza di un lavoro di sintesi, orientato a raggiungere l’unità del sapere ed a far convergere le diverse conoscenze in una visione globale della realtà. Tutto ciò si iscriveva nello sforzo di esplorare l’unica e suprema verità di Dio, riflessa nelle verità parziali che la mente umana riesce ad indagare. Come ho già ricordato in altre occasioni, la nozione di "università" comporta infatti un’esigenza di universalità, e cioè un’apertura a tutta la verità che tutti attrae e sovrasta e si identifica nella verità di Dio e nella verità dell’uomo, che é il Verbo incarnato" (cfr. Discorsi ai docenti delle Università di Bologna, 18/4/82; di Lovanio Nuova, 21/5/85; di Perugia, 26/10/86).

(3) Pierre Riché, Educazione e cultura nell’Occidente barbarico. Dal sesto all’ottavo secolo, Armando, Roma1966: IDEM, Dall’educazione antica all’educazione cavalleresca, Mursia, Milano 1970.

(4) Giovanni Paolo II, 15-10-82.

(5) IDEM, 19-4-91.

(6) Francisco Elias de Tejada y Spinola, La monarquìa tradicional, Speiro, Madrid 1954.

(7) Gran parte dell’inquadramento nella storia dell’educazione qui proposto , trova un significativo riscontro anche nel progressista James Bowen, Storia dell’educazione occidentale, Mondadori 1983, vol. II e vol. III, opera "raccomandata" dal comunista Mario Alighieri Manacorda nella sua Storia dell’educazione dall’antichità ad oggi, ERI Edizioni RAI, Torino, 1983.

(8) Giovanni Paolo II, 7/12/87

(9) "L’autorità statale ha veramente l’obbligo di far sì che esistano predicatori, giuristi, parroci, notari, maestri di scuole e simili, poiché di loro non si può fare a meno: e se può costringere i sudditi, in quanto sono ideonei, a portare lance e schioppi, a scalare mura e ad altre cose, quando si tratta di guerra, tanto più può e deve obbligare i sudditi a mandare i figli a scuola, poiché qui si tratta di una guerra ancor più aspra con lo spirito maligno, che si aggira ovunque per dissanguare di soppiatto città e principati, per allontanare tutte le persone buone dall’istruzione" (Lutero, Appello ai magistrati e ai consiglieri di tutte le città della Germania, 1524, cit. nel fazioso Nicola Abbagnano - Antonio Visalberghi, Linee di storia della pedagogia, vol. 2, Paravia, Torino 1959-1981).

(10) Storia dell’educazione occidentale, op. cit., p. 37.

(11) Ibid., p. 41.

(12) P. Pourrat, La spiritualité chrétienne, J. Gabalda et C. Editeurs, Paris 1947, vol. III, Les temps Modernes, p. 34: "L’orazione metodica é stata dunque creata alla fine del XV secolo. Lo Spirito Santo ha ispirato tale genere d’esercizio ai riformatori della vita religiosa, destinato a proteggere la pietà nel momento in cui la società cessò di essere cristiana. E siccome il mondo, paganizzato dal Rinascimento e sovvertito dal protestantesimo, senza dubbio non ridiventerà più totalmente cristiano per lungo tempo, l’orazione metodica sarà sempre più necessaria".

(13) Le notizie di carattere generale relative alla Ratio studiorum sono tratte da varie fonti, ma ho tenuto come riferimento la voce redatta da Angelo Martini in Enciclopedia Cattolica e quella di L. Lukács S.J. - M. Colpo s.j. nella "tiepida" Enciclopedia pedagogica (diretta da Mauro Laeng, La Scuola, Brescia 1994, vol. V), nella quale sostiene che l’edizione italiana più ragguardevole sarebbe quella curata dal p. Mario Barbera s.j. nel 1942 (La Ratio Studiorum e la Parte Quarta delle Costituzioni della Compagnia di Gesù, CEDAM, Padova). Cfr., oltre agli altri saggi del Mario Barbera S.J. successivamente citati, anche "Ne ignorata damnetur". A proposito di un recente volgarizzamento della "Ratio studiorum", in Civiltà Cattolica, 1943, vol. II, pp. 364-368; la sua ultima edizione completa é stata stranamente pubblicata nel 1979 da Feltrinelli, con una introduzione di Mario Salomone. Un’edizione più recente - limitata alla parte relativa ai soli studi inferiori ma arricchita con la Ratio studiorum nella versione emendata del 1586 - é stata pubblicata nel 1989 dai Gesuiti di San Fedele in Milano, col titolo di "La "Ratio studiorum"" ed una introduzione di p. Giuliano Raffo S.J.

(14) Per quanto concerne l’istituzione dei Collegi dei gesuiti ed i relativi dati numerici, ho consultato la voce relativa redatta dal padre L. Lukács S.J in Enciclopedia pedagogica, diretta da Mauro Laeng, La Scuola, Brescia 1994, vol. V; Mario Barbera S.J. L’educazione nei convitti della Compagnia di Gesù nel secolo XVI, in Civiltà Cattolica, 1946, vol. III, pp. 117-123; IDEM, La missione educatrice del collegio (1), in Civiltà Cattolica, 1940, vol. I, pp. 182-190, e (2), ibidem, pp. 372-381.

(15) Cfr. IDEM, Malintesi sulla scuola classico-umanistica, in Civiltà Cattolica, 1945, vol. III, pp. 43-50.

(16) Regola 39 del Padre Provinciale, che ha la responsabilità di tutte le istituzioni scolastiche.

(17) Le Congregazioni Mariane - popolarmente indicate come il Terzo Ordine della Compagnia di Gesù - prolungano l'opera del Collegio col continuare a riunire, istruire a far esercitare nelle pratiche ascetiche ignaziane i suoi ex alunni.

(18) Cfr. Mario Barbera, S.J., Particolarità pedagogiche della "ratio studiorum", in Civiltà Cattolica, 1940, vol. II, pp. 116-122; Ciò che la scuola umanistica antica può insegnare alla scuola d’oggi, in Civiltà Cattolica, l941, vol. I, pp. 179-189.

(19) Cfr. IDEM, Esercitazioni letterarie nella Ratio Studiorum, in Civiltà Cattolica, 1940, vol. III, pp. 16-25; e ibid., L’ideale della formazione umanistica secondo la "Ratio studiorum", 1940, vol. II, pp. 362-369.

(20) IDEM, Giovanni Ludovico Vives e la pedagogia dei gesuiti, in Civiltà Cattolica, 1923, vol. I, pp. 522-532; (continuazione) in 1923, vol. II, pp. 130-137;

(21) P. J. Nadal: "Spolia Aegypti intentione charitatis sancta redduntur".

(22) Bogdan Suchodolski, Trattato di pedagogia generale. Educazione per il tempo futuro, Armando, Roma 1964, p. 436.

(23) Cfr. la confutazione della tesi secondo cui "Dai collegi uscì la rivoluzione" (sostenuta dal ven. Antonio Rosmini Serbati) in Mario Barbera S.J, in Civiltà Cattolica, 1944, vol. III, pp. 76-86.

(24) "cum litteris mores etiam christianis dignos hauriant", Costituzioni, edizione curata da p. Mario Gioia S.J., con una introduzione generale di p. Giuseppe de Gennaro S.J., parte IV, capitolo 7, n. 2, edizione UTET, Torino 1977, p. 514.